di Michele Giorgio,
pagineesteri.it, 20 ottobre 2022
Si allunga l’elenco di adolescenti palestinesi uccisi dall’inizio del 2022 dalle forze armate israeliane in Cisgiordania. Nella notte è spirato Mohammed Nouri, 16 anni, colpito dall’addome circa un mese fa da proiettili sparati da soldati israeliani durante proteste contro l’occupazione a Betounia (Ramallah). Domenica un altro palestinese era stato ucciso, sempre durante proteste, a Qarawat Bani Hassan nel nord della Cisgiordania. Ieri sera invece è stato ucciso al posto di blocco di Maale Adumin (Gerusalemme Est), il più grande degli insediamenti coloniali israeliani nei Territori palestinesi occupati, Odai Tamimi, il 22enne palestinese ricercato da Israele perché ritenuto il responsabile dell’uccisione due settimane fa circa di una soldatessa al posto di blocco del campo profughi di Shuafat (Gerusalemme). Tamimi, che si riteneva nascosto nel campo di Shuafat, ieri sera, secondo le autorità israeliane e un filmato che circola sui social, ha attaccato a colpi di pistola i militari all’ingresso di Maale Adumin, ferendone uno, ed è stato poi colpito a morte.
Sono circa 110 i palestinesi uccisi da Israele in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. Molti erano combattenti armati, molti altri civili e adolescenti. Gran parte delle morti palestinesi sono avvenute dopo gli attacchi armati compiuti da giovani della Cisgiordania che hanno provocato la scorsa primavera 18 morti in Israele. Da allora l’esercito israeliano è impegnato in una operazione fatta di incursioni quotidiane nei centri abitati palestinesi. Operazione che nelle intenzioni dichiarate dai comandi israeliani dovrebbe “mettere fine al terrorismo”. Sul terreno però l’elevato numero di morti palestinesi e i ripetuti raid hanno innescato una reazione sempre più armata da parte di giovani palestinesi che dichiarano di voler combattere l’occupazione israeliana che dura da 55 anni.
La crescita significativa della resistenza armata – che raccoglie entusiasmo tra la popolazione dei Territori occupati – preoccupa l’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), oggetto di dure critiche da parte dell’opinione pubblica in Cisgiordania anche per la sua cooperazione di sicurezza con le autorità israeliane. I suoi dirigenti stanno provando, con scarsi risultati, a dare una immagine migliore e più nazionalista dell’Anp.
Con questo intento, scortato da decine di agenti dei reparti di massima sicurezza, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Muhammad Shtayyeh, domenica ha raggiunto Jenin, città simbolo della resistenza armata, e nel campo profughi locale ha preso parte ai riti funebri per Muhammad Turkman responsabile di un attacco contro un autobus di soldati nella Valle del Giordano. Shtayyeh è apparso accanto a Fathi Khazem, padre dei fratelli Raad e Abdel Rahman Khazem, entrambi uccisi da Israele (il secondo è stato autore di una sparatoria a Tel Aviv che ha fatto tre morti). Il premier ha pronunciato un discorso come se fosse il capo della lotta armata in corso da settimane contro l’esercito israeliano. «L’occupazione militare non vuole la pace» ha proclamato, «piuttosto ogni giorno alimenta la campagna elettorale (israeliana) con il sangue palestinese…ma il sangue dei nostri martiri non sarà vano. L’oscurità delle prigioni che pagano i nostri prigionieri non sarà vana. Questa lotta è un lungo percorso e Jenin guida l’unità sul campo». Parole che hanno attirato l’attenzione di alcuni commentatori israeliani, tra cui Elor Levy del quotidiano di destra Maariv. «Non ricordo una foto di un primo ministro palestinese al fianco di combattenti», ha scritto, aggiungendo con sarcasmo «questa è la migliore ricetta per calmare la piazza».
Levy guarda le cose dal punto di vista israeliano ma, a conti fatti, non è lontano dalla realtà. L’Anp del presidente Abu Mazen, anche attraverso performance ultranazionaliste come quella messa in atto da Shtayyeh a Jenin, sta facendo il possibile per calmare la situazione e tenere a freno il Battaglione Jenin e «Areen al Aswad» (Fossa dei Leoni), le due principali organizzazioni che, con l’approvazione della maggioranza dei palestinesi, si oppongono, mitra in pugno, alle incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania. In questi giorni hanno rivendicato attacchi contro postazioni militari e l’uccisione di un soldato. Non è un caso che sia sparito dai riflettori il numero due (di fatto) dell’Anp, Hussein Sheikh, considerato troppo coinvolto in rapporti con Israele per dialogare con i comandanti dei gruppi armati. Nell’Anp pensano di poter gestire la situazione evitando che sfoci in una ampia Intifada armata contro l’occupazione israeliana che finirebbe per allargarsi a tutta la Cisgiordania.
Pochi però credono al successo del tentativo dell’Anp, fragile e, da anni, contestata anche per la cooperazione di sicurezza con Israele. Un fallimento potrebbe aprire la strada all’operazione militare israeliana più ampia da venti anni a questa parte – sul modello di Muraglia di difesa del 2002 – con la rioccupazione della old city e Balata a Nablus e del campo profughi a Jenin, le basi dei combattenti palestinesi. Il primo ministro israeliano Yair Lapid ha tenuto un incontro di emergenza su «Areen al Aswad», durante il quale ha discusso con i capi della sicurezza e il ministro della difesa Gantz le prossime mosse da compiere a Nablus e Jenin.