Il nord della Cisgiordania sta prendendo le armi. Il sud si unirà a loro?

Ott 14, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Basil Adra,

+972 Magazine, 12 ottobre 2022. 

La resistenza armata contro le incursioni israeliane è concentrata soprattutto a Jenin e Nablus. Ma i palestinesi sul campo dicono che le cose potrebbero cambiare rapidamente.

Uomini armati palestinesi delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa durante una parata militare nel campo profughi di Balata, Cisgiordania, 21 settembre 2022. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

Nonostante le incursioni militari israeliane quasi quotidiane nelle città palestinesi del nord della Cisgiordania occupata –in particolare Jenin e Nablus– che continuano a provocare scontri gravi e spesso mortali con le forze di resistenza palestinesi, il sud della Cisgiordania sembra mantenere una tesa tranquillità, almeno per ora.

Perché la resistenza armata cresce nel nord della Cisgiordania ma non nel sud? Si diffonderà al di là del nord? Continuerà? Dalle conversazioni con giornalisti, commentatori e attivisti politici è emerso chiaramente che non esistono risposte semplici a queste domande. Una delle ragioni di questa difficoltà è che la resistenza armata agisce in modo relativamente indipendente, senza un movimento politico centralizzato che proponga un piano e senza una leadership che delinei un percorso chiaro.

“Socialmente parlando, a Jenin e Nablus c’è stato a lungo un sostegno pubblico palese alla resistenza”, ha detto Akram Al-Natsha, un giornalista di Hebron che ha cercato di spiegare il fenomeno. “Durante la Seconda Intifada, ad esempio, tutti sapevano e potevano vedere chiaramente le azioni militari in queste città, ma a Hebron tutto avveniva in segreto. Ecco perché, ancora oggi, vediamo meno attività militari a Hebron, mentre sono molto più comuni nel nord della Cisgiordania. È una questione di tradizione, la gente [del nord] è favorevole alla resistenza armata”.

Anche l’Autorità Palestinese (AP) svolge un ruolo nella divisione della Cisgiordania in nord e sud. Secondo Al-Natsha, il sostegno popolare non dichiarato alla resistenza a Jenin e Nablus rende molto difficile per l’Autorità Palestinese condurre arresti in quelle zone. L’AP è costretta a entrare a Nablus con grandi forze di sicurezza, ma incontra comunque una feroce opposizione, come si è visto durante il recente arresto dell’agente di Hamas Musab Shtayyeh. Gli agenti di sicurezza non entrano affatto nel campo profughi di Jenin.

Palestinesi della Brigata Jenin unificata affrontano le forze di sicurezza israeliane dopo un’incursione a Jenin, Cisgiordania occupata, 28 settembre 2022. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

“L’AP è uno dei principali ostacoli alla resistenza”.

Alcuni commentatori che hanno parlato con +972 hanno affermato che l’Autorità Palestinese considera ogni atto di resistenza come un atto di opposizione alla sua stessa esistenza. “Dicono che l’Autorità Palestinese sostiene la resistenza popolare, ma non è vero. L’AP la reprime anche”, ha detto Al-Natsha.

La disparità tra il livello di controllo che l’AP mantiene nel nord e nel sud è visibile in molti modi. Non solo è più difficile per l’Autorità Palestinese agire nel nord, ma c’è un grande divario nel numero di arresti effettuati in ciascuna regione. “Le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese eseguono molti più arresti a Hebron che nel nord”, ha detto Al-Natsha. “L’esercito di occupazione è anche più attivo nel sud. Tutto questo diminuisce la resistenza nel sud rispetto al nord”.

Ahmed Abu Hashash, residente nel campo profughi di Al-Fawwar, vicino a Hebron, nella Cisgiordania meridionale, ne è stato testimone in prima persona. Pochi giorni prima di parlare con +972, è stato rilasciato dopo una breve detenzione in una prigione dell’Autorità Palestinese.

“Ci si è accorti da tempo che l’Autorità Palestinese fa sfoggio di potenza per mantenere la calma nel sud della Cisgiordania”, ha detto. “Conosco decine di giovani che di recente hanno ricevuto telefonate da parte di ufficiali palestinesi che chiedevano loro di presentarsi per interrogatori e conversazioni minacciose, ma loro si sono rifiutati”.

Scontro tra palestinesi e forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese a Nablus, in Cisgiordania, il 20 settembre 2022, dopo l’arresto di membri di Hamas da parte delle forze di sicurezza palestinesi. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

Abu Hashash, che ha due fratelli detenuti nelle carceri israeliane, è stato arrestato dall’AP perché sospettato di aver trasferito 1.400 shekel (400 euro) sul conto bancario di uno dei suoi fratelli detenuti, provenienti da un’entità che l’Autorità Palestinese considera nemica: la Jihad Islamica Palestinese (PIJ). Abu Hashash nega completamente l’accusa, testimoniando nel processo di aver trasferito il denaro da una fonte legale, ovvero il comitato dell’AP per gli affari dei prigionieri. Sebbene sia stato rilasciato, Abu Hashash vede il suo arresto come parte di una tendenza generale: l’Autorità Palestinese è sempre più coinvolta negli sforzi per reprimere le fazioni concorrenti nel sud della Cisgiordania, come PIJ, Hamas e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP).

“L’Autorità Palestinese è uno dei principali ostacoli alla resistenza, perché dà la caccia a chiunque sia armato e lo arresta”, ha dichiarato Al-Natsha. “Inoltre, durante l’attuale ondata [di resistenza], l’AP si trova, ancor più del solito, tra l’incudine e il martello: da un lato, i palestinesi rimproverano alle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese di agire in opposizione alla resistenza popolare e sono furiosi per gli arresti dei combattenti armati della resistenza. Dall’altro lato, Israele incolpa l’Autorità Palestinese dopo ogni atto di resistenza che non riesce a sventare”.

Resistenza senza visione

Un altro residente della zona, Ismail Abu Hashash, non ripone le sue speranze nell’attuale resistenza nel nord della Cisgiordania. È un attivista del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (DFLP) e gli ho chiesto perché i palestinesi prendono le armi nel nord e non nel sud. Secondo lui, la domanda è irrilevante.

“In questo momento, la resistenza armata è sporadica e disorganizzata”, ha detto. “Queste ondate possono iniziare all’improvviso, a sorpresa, e scomparire altrettanto improvvisamente. È una resistenza per il gusto di resistere, senza una visione politica. È un modo per rifiutare l’occupazione, per rifiutare lo status quo, e questo è essenzialmente un vuoto politico senza alcuna possibilità di statualità all’orizzonte”.

La sua critica è profonda: “Il nostro problema è che, dalla fine della Seconda Intifada, le fazioni palestinesi non sono riuscite a riunirsi, in modo serio, per costruire un piano nazionale unitario. Qual è il nostro obiettivo? Qual è la soluzione politica e come possiamo resistere in modo coordinato per raggiungerla?”.

Uomini armati palestinesi e partecipanti al funerale di Mohammed Marei, 25 anni, ucciso durante un raid dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, il 29 giugno 2022. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

“Le fazioni palestinesi sono in lotta tra loro per obiettivi strettamente di parte e non hanno una visione”, ha detto Abu Hashash. “Uno dei motivi è che ogni fazione fa affidamento su una diversa fonte di finanziamento straniero. Ogni fazione deve quindi agire alla luce degli obiettivi prescritti dal gruppo straniero che la finanzia. Questo denaro politico, purtroppo, distrugge – o almeno indebolisce seriamente – le forze palestinesi di sinistra, come il DFLP e il PFLP”. È noto che la Jihad Islamica riceve sostegno finanziario dall’Iran, mentre Hamas è sostenuto da Qatar e Turchia.

“Ma nonostante questa situazione”, ha continuato Abu Hashash, “i palestinesi continuano a sollevarsi contro l’occupazione. Lo fanno da soli. Questa abitudine non è arrivata senza sofferenza. Non credo che sia necessario resistere con armi e pietre: si può resistere anche con il sumud [la fermezza]. Nella Valle del Giordano settentrionale, a Gerusalemme, a Masafer Yatta, a Beita, in ogni luogo dove stanno cacciando via i palestinesi, dobbiamo resistere, dobbiamo unire le fila e costruire una nuova visione nazionale condivisa”.

Resistenza alimentata dalla continua occupazione

Un giornalista e scrittore del campo profughi di Jenin, che ha chiesto di essere intervistato in forma anonima a causa della crescente tensione all’interno del campo, ha parlato anche della “resistenza dei singoli” – che potrebbe diffondersi a sud, anche se gli è impossibile prevederlo – in contrasto con la “resistenza collettiva”, che è stata un segno distintivo della Prima e della Seconda Intifada.

“L’attuale ondata – la resistenza dei singoli – non è nata dal nulla”, ha spiegato. “Si è radicata all’indomani della Seconda Intifada e della scissione politica palestinese che si è verificata in seguito. Durante l’Intifada, la resistenza contro l’occupazione era ampia e profonda e vi partecipavano tutte le fazioni palestinesi, compresa l’Autorità Palestinese. Israele ha preso di mira e represso tutte le fazioni e ha assassinato la maggior parte dei leader dell’epoca”.

Dimostranti palestinesi si scontrano con le forze di sicurezza israeliane durante una protesta nel villaggio di Kafr Qaddum, vicino a Nablus, Cisgiordania occupata, 7 ottobre 2022. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

Ma poi, ha spiegato, è iniziata la scissione palestinese. Hamas ha preso il controllo di Gaza ed è quasi scomparso dalla Cisgiordania, mentre il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha sciolto i battaglioni armati di Fatah, per facilitare un accordo con Israele.

“Questo è uno dei motivi per cui la Cisgiordania ha vissuto un periodo di calma e stabilità per anni”, ha detto il giornalista. “Ma la presenza dell’occupazione, l’oppressione, il continuo controllo militare – tutto questo alimenta costantemente il bisogno di resistenza. Così, in Cisgiordania è iniziata una guerriglia non organizzata da alcuna fazione. I palestinesi medi capiscono che hanno bisogno di difendersi e di creare movimenti popolari per riempire il vuoto lasciato dalle varie fazioni politiche”.

Il giornalista ha respinto la possibilità che la Cisgiordania possa essere chiaramente divisa in un “nord” e un “sud”. Il periodo dal 2015 al 2016, ha detto, ha visto un certo numero di palestinesi commettere accoltellamenti sia contro le forze di sicurezza israeliane che contro i civili. “La maggior parte [degli accoltellatori] proveniva dai dintorni di Hebron, Betlemme e Gerusalemme, mentre il nord non ha partecipato”. In altre parole, a volte il sud è il luogo della resistenza e a volte lo è il nord, e non c’è alcuna differenza significativa tra i due.

Durante quel periodo, che viene comunemente definito “Intifada dei coltelli”, durato poco più di un anno, sono stati uccisi 70 palestinesi del distretto di Hebron, contro i soli 19 palestinesi del distretto di Jenin, la maggior parte durante tentativi di accoltellamento. Nonostante le disparità, non si trattava di atti di resistenza armata contro i soldati, ma piuttosto di accoltellamenti, il che rafforza l’affermazione che la resistenza si scatena in modo intermittente, in luoghi diversi.

Agenti della polizia di frontiera israeliana perquisiscono un uomo palestinese fuori dalla Porta di Damasco, Città Vecchia di Gerusalemme, 23 ottobre 2015. (Anne Paq/Activestills)

Eppure, come hanno notato diversi intervistati, Jenin ha una storia unica come centro della resistenza palestinese, una storia che risale a un secolo fa. Negli anni ’20 e ’30, Izz ad-Din al-Qassam – da cui prende il nome l’ala militare di Hamas – riunì gruppi di palestinesi armati, molti dei quali contadini del nord della Palestina, per combattere il sionismo e il colonialismo britannico. Quando fu costretto a spostare in clandestinità le sue operazioni, si nascose sulle colline tra Jenin e Nablus. La polizia britannica lo trovò e lo uccise nel 1935, vicino a Jenin.

Il giornalista ha citato un altro esempio: il gruppo Al-Fahd al-Aswad (La Pantera Nera) affiliato a Fatah, sorto a Jenin e Nablus durante la Prima Intifada. “Centinaia di membri del gruppo sono stati uccisi o imprigionati, e alcuni di loro sono ancora oggi prigionieri in Israele”, ha spiegato. L’area intorno a Jenin è stata il luogo di nascita di rivoluzioni e ondate di protesta nel corso della storia della Palestina, prima durante l’epoca ottomana, poi durante l’occupazione britannica e ancora oggi sotto l’occupazione israeliana. Una visione storica ampia del fenomeno ci aiuta a capire cosa sta succedendo oggi nel nord della Cisgiordania”.

Basil Adraa è un attivista, giornalista e fotografo dal villaggio di a-Tuwani nelle Colline a sud di Hebron.

https://www.972mag.com/west-bank-hebron-armed-struggle/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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1 commento

  1. Sebastiano Comis

    Non ho letto nessun accenno al fatto che è difficile costruire politiche unitarie in un paese dove da 16 anni non si tengono elezioni.

    Rispondi

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