I principali produttori di Hollywood collaborano con Israele per difendere i suoi crimini di guerra

di Alan MacLeod,

Israel-Palestine News, 27 settembre 2022. 

Documenti pubblicati da Wikileaks rivelano che, per anni, i pezzi grossi di Hollywood hanno usato la loro grande influenza per nascondere la realtà della violenta occupazione di Israele dietro una patina di vittimismo. Hanno contrabbandato la brutalità israeliana come autodifesa contro un imminente (e fittizio) Olocausto, demonizzando al contempo chi era per la giustizia e il movimento pacifico BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni].

Nel 2014, mentre Israele lanciava un assalto mortale a Gaza, uccidendo migliaia di civili e dislocando più di 100.000 persone, molti dei maggiori produttori televisivi, musicali e cinematografici americani si stavano organizzando per proteggere la reputazione dello Stato di apartheid da una generale condanna internazionale.

Inoltre, l’Archivio Sony – un deposito di e-mail pubblicate da Wikileaks – dimostra che influenti magnati dell’intrattenimento hanno tentato di sbiancare i crimini israeliani e di presentare la situazione come una difesa da un imminente “genocidio”. Si sono messi in contatto con funzionari militari e governativi israeliani per coordinare il loro messaggio, hanno tentato di metter da parte coloro che si esprimevano contro l’ingiustizia e hanno esercitato pressioni finanziarie e sociali sulle istituzioni che ospitavano artisti critici nei confronti delle azioni del governo dell’apartheid.

Mentre Israele attacca, Hollywood gioca in difesa

“Il messaggio di Israele deve essere ripetuto all’infinito finché la gente non lo capirà”, ha scritto l’avvocato e produttore di Hollywood Glenn D. Feig in una catena di e-mail a molti dei dirigenti più influenti di Tinsel Town [il quartiere di Hollywood a Los Angeles]. Questo in risposta all’attacco israeliano, non provocato, del 2014 a Gaza, uno dei capitoli più sanguinosi di oltre mezzo secolo di occupazione. (NOTA: l’intera catena di e-mail si può vedere qui.)

Glenn D. Feig: difensore dell’attacco israeliano a Gaza

Con il nome di “Operazione Protective Edge”, l’esercito israeliano si è impegnato in sette settimane di bombardamenti quasi costanti sulla fascia costiera densamente popolata. Secondo le Nazioni Unite, oltre 2.000 persone sono state uccise, un quarto delle quali erano minori. 18.000 case sono state distrutte, lasciando più di 100.000 persone senza casa.

L’esercito israeliano ha deliberatamente preso di mira le infrastrutture civili, mettendo fuori uso l’unica centrale elettrica di Gaza e chiudendo gli impianti di trattamento delle acque, provocando una devastazione economica, sociale ed ecologica in un’area che Human Rights Watch ha etichettato come la più grande “prigione a cielo aperto” del mondo.

Molti a Hollywood hanno espresso profonda preoccupazione. “Dobbiamo fare in modo che questo non accada mai più”, ha insistito il produttore Ron Rotholz. Rotholz, tuttavia, non si riferiva alla morte e alla distruzione che Israele ha imposto a Gaza, ma al fatto che molte delle più grandi star del mondo dello spettacolo, tra cui la coppia di celebrità Penélope Cruz e Javier Bardem, avevano condannato le azioni di Israele, etichettandole come un “genocidio”.

Ron Rotholz: “Mai più” succeda che i grandi del cinema condannino le azioni di Israele

“Il cambiamento deve partire dall’alto. Dovrebbe essere inaudito e inaccettabile che un attore premiato con l’Oscar definisca una legittima difesa armata del proprio territorio… come un genocidio”, ha proseguito, preoccupato che il movimento BDS –una campagna mondiale per esercitare pressioni economiche su Israele nel tentativo di spingerlo a rispettare i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale– stia prendendo piede nel mondo dell’arte. Ma la legittimità di Israele si basa sul sostegno politico e militare degli Stati Uniti.

Pertanto, mantenere il sostegno del pubblico americano è fondamentale per la sostenibilità a lungo termine del progetto coloniale israeliano di insediamento.

Rotholz ha poi cercato di organizzare una campagna mondiale di pressione silenziosa sui luoghi e sulle organizzazioni artistiche, tra cui la Motion Picture Academy di Hollywood e i Festival del Cinema di Sundance e Cannes, per eliminare il BDS, scrivendo:

“Quello che possiamo fare è sollecitare i leader delle principali organizzazioni cinematografiche, televisive e teatrali, i festival, i mercati e potenzialmente i capi delle società di media a rilasciare dichiarazioni ufficiali che condannino qualsiasi forma di boicottaggio culturale o economico contro Israele”.

Altri hanno concordato sulla necessità di sviluppare uno “schema di gioco” per opporsi al BDS.

Naturalmente, quando i produttori influenti, i festival e i responsabili delle società di media rilasciano dichiarazioni di condanna di una certa posizione o pratica, si tratta, in effetti, di una minaccia: o smetti di prendere queste posizioni o ne subisci le conseguenze professionali.

Ken Loach sotto accusa

Ken Loach: ha chiesto il boicottaggio culturale e sportivo di Israele

Le e-mail della Sony rivelano anche una quasi ossessione contro il regista e attivista sociale britannico Ken Loach. Il film del celebre regista, “Jimmy’s Hall”, era stato recentemente nominato per la prestigiosa Palma d’Oro al Festival di Cannes e, sulla scia dell’assalto di Israele a Gaza, Loach aveva pubblicamente auspicato un boicottaggio culturale e sportivo dello Stato dell’apartheid.

Questo ha indignato molti a Hollywood. Ryan Kavanaugh, amministratore delegato di Relativity Media, una società di produzione cinematografica responsabile del finanziamento di oltre 200 film, ha chiesto di cancellare non solo Loach, ma l’intero Festival di Cannes. “Gli studios e le reti devono unirsi e boicottare Cannes”, ha scritto.

Ryan Kavanaugh: I palestinesi stanno commettendo un genocidio contro gli israeliani

“Se non lo facciamo, invieremo il messaggio che un altro Olocausto va bene per Hollywood, purché ciò non turbi i nostri affari”, ha aggiunto, inquadrando l’attacco israeliano contro una popolazione civile quasi indifesa come un genocidio di israeliani fatto dai palestinesi.

Anche altri sono stati d’accordo. Ben Silverman, ex co-presidente di NBC Entertainment e Universal Media Studios e produttore di show come “The Office”, “The Biggest Loser” e Ugly Betty” ha detto che l’industria dovrebbe “boicottare i boicottatori”. Rotholz, nel frattempo, ha scritto al capo del Festival del Cinema di Cannes, chiedendogli di prendere provvedimenti contro Loach per i suoi commenti. “Non c’è posto per [i commenti intolleranti e odiosi di Loach] nel mondo globale del cinema e dei registi”, ha insistito.

Altri hanno proposto un altro modo per contrastare Loach. “Che ne direste se ci unissimo e realizzassimo un documentario sull’ascesa del nuovo antisemitismo in Europa?”, ha suggerito il produttore cinematografico britannico Cassian Elwes, aggiungendo:

“Sarei disposto a contribuire e a dedicare del tempo se altri facessero lo stesso. Tra tutti noi, sono sicuro che potremmo trovare un modo per distribuirlo e portarlo in luoghi come Cannes, in modo da dare una risposta a persone come Loach. Magari potremmo cercare di raccogliere il sostegno delle comunità cinematografiche in Europa per aiutarci a distribuirlo in quei paesi”.

Jason Binn: avalla la propaganda come un’arte per sostenere Israele

“L’idea mi piace”, ha risposto l’oligarca dell’editoria Jason Binn: “E la promuoverò in modo massiccio a tutti i 3,2 milioni di abbonati alla rivista, su tutte le piattaforme on- e offline. Posso anche sfruttare i 9 milioni di membri di Gilt”, ha aggiunto, riferendosi al sito di shopping e lifestyle da lui gestito.

“Anch’io”, ha detto Amy Pascal, co-presidente della Sony Pictures Entertainment. Nel frattempo, Mark Canton, produttore di film come “Get Carter”, “Immortals” e “300”, si è impegnato a raccogliere altri consensi da Hollywood. “Aggiungiamo Carmi Zlotnik a questa lista in crescita”, ha risposto Canton, riferendosi al noto dirigente televisivo.

L’intera corrispondenza proveniva da una catena di e-mail di decine di potenti personaggi dello spettacolo intitolata “Buon anno. Peccato che la Germania sia ora una zona vietata agli ebrei”, in cui si faceva la ridicola affermazione che quel Paese europeo era diventato una teocrazia islamica controllata dai musulmani.

“È orribile. Ma alla fine non è una sorpresa, perché gli apologeti dell’oppressione israeliana sui palestinesi faranno di tutto per impedire alle persone di opporsi a loro”, ha detto Loach, interpellato da MintPress. “Non dovremmo sottovalutare l’odio di chi non può tollerare l’idea che i palestinesi abbiano diritti umani, che la Palestina sia uno Stato e che abbiano il loro Paese”, ha aggiunto.

Bloccare la libera espressione

Ben Silverman: la libertà di espressione va bene, ma non se coinvolge Israele

Il gruppo pro-Israele di Hollywood ha anche esercitato forti pressioni sulle istituzioni americane per reprimere il sostegno ai diritti umani dei palestinesi. Silverman ha rivelato di aver scritto a Peter Gelb, direttore generale del Metropolitan Opera di New York, nel tentativo di bloccare una rappresentazione de “La morte di Klinghoffer”, un’opera che racconta la storia del dirottamento nel 1985 di un aereo di linea da parte del Fronte di Liberazione della Palestina.

“Suggerisco comunque che ognuno di voi lo chiami lunedì nel suo ufficio al Metropolitan ed è importante che esprimiate il vostro punto di vista sull’aiuto che potrebbero dare i donatori del Metropolitan”, ha suggerito agli altri oligarchi dell’intrattenimento, facendo così luce sul modo in cui i potenti si muovono in segreto per mettere a tacere i discorsi che non approvano, e sul modo in cui usano il loro potere finanziario per costringere e forzare gli altri a seguire la loro linea.

È stata necessaria molta pressione, perché, come ha spiegato Silverman, “in quanto membri della comunità artistica è molto difficile essere a favore della libertà di parola solo alcune volte e non sempre”.

Alla fine lo spettacolo è andato in scena, ma non senza una protesta ampia e coordinata, sia all’interno che all’esterno del Lincoln Center for Performing Arts; alcuni individui hanno tentato di bloccare lo spettacolo, sostenendo che era “antisemita”.

I big di Hollywood sono in contatto con l’esercito israeliano

Le conversazioni via e-mail di molti dei personaggi più influenti di Hollywood mostrano che essi credono di essere sull’orlo di uno sterminio mondiale degli ebrei e che Israele – e loro stessi – sono le uniche cose che si frappongono a questo destino imminente.

Come ha scritto Kavanaugh “È nostro compito evitare che si verifichi un altro Olocausto. Molti di voi possono pensare che non possa accadere, che sia una cosa estrema… [ma] se si tirano fuori i giornali del periodo precedente all’Olocausto, sembra che quel mondo sia molto vicino al nostro mondo di oggi”.

Rotholz era dello stesso parere quando scriveva che:

“È indispensabile che le figure di spicco delle comunità cinematografiche, televisive, mediatiche, digitali e teatrali di Los Angeles e New York, che sostengono uno Stato ebraico forte e potente, sviluppino una strategia di contatto con i colleghi di Londra e d’Europa e con le comunità creative di qui e d’Europa per promuovere e spiegare la causa israeliana”.

Le e-mail dell’archivio Sony mostrano anche che non solo i vertici di Tinsel Town stavano coordinando le strategie per mettere a tacere i critici di Israele, ma che erano anche in stretto contatto con il governo israeliano e il suo esercito.

George Perez: stretto legame con l’IDF

Il produttore George Perez, ad esempio, ha scritto ai suoi colleghi nella catena di e-mail per presentare a loro un colonnello dell’IDF (enfasi aggiunta):

“Tutti sono pregati di utilizzare questo elenco rispondi a tutti da qui in avanti. Ho incluso Kobi Marom, un comandante in pensione dell’esercito israeliano. Kobi è stato così gentile da offrire a me e alla mia famiglia un tour in jeep delle alture del Golan durante il nostro viaggio di giugno in Israele.

Ci ha anche portato a visitare una base militare al confine tra Israele e Siria, un’area che ultimamente è stata al centro delle cronache. È difficile immaginare che i ragazzi che abbiamo incontrato alla base possano essere molto probabilmente impegnati in combattimenti con i nostri nemici”.

Dato che la maggior parte dei morti erano civili palestinesi, non è chiaro se egli consideri tutti i palestinesi o solo Hamas come nemici di Hollywood.

Perez ha anche sottolineato che “Kobi lavora a stretto contatto con gli Amici delle Forze di Difesa Israeliane (FIDF) che hanno bisogno di donazioni” e ha consigliato a Hollywood di “mettercela tutta per aiutare nella costante lotta per la sopravvivenza di Israele”.

Celebrità di Hollywood, tra cui il famoso produttore Haim Saban e l’attrice Fran Drescher, posano con i soldati dell’IDF al Gala della Regione Occidentale della FIDF, 1 novembre 2018. (www.mintpressnews.com)

Celebrità di Hollywood, tra cui il famoso produttore Haim Saban e l’attrice Fran Drescher, posano con i soldati dell’IDF al Gala della Regione Occidentale della FIDF, 1 novembre 2018. (www.mintpressnews.com)

Il gruppo ha anche tentato di reclutare la star del cinema israelo-americano Natalie Portman tra le sue fila. Ma l’attrice premio Oscar è apparsa più preoccupata per la condivisione dei suoi dati personali. “Come sono finita in questa lista? Anche Ryan Seacrest?”, ha risposto, prima di rivolgersi direttamente a Kavanaugh, scrivendo:

“Puoi per favore rimuovermi da questa lista e-mail? Non avresti dovuto mettere in copia il mio nome perché in tal modo 20 persone che non conosco avranno le mie informazioni personali. Ora dovrò cambiare il mio indirizzo e-mail. Grazie.”

Se l’aperto disprezzo della Portman per il gruppo di produttori rabbiosamente pro-Israele è notevole, lo è ancora di più la risposta di Kavanaugh, che ha rivelato quanto sia stretto il legame tra lo Stato israeliano e Hollywood.

Kavanaugh ha infatti risposto:

“Mi dispiace. Hai ragione, gli ebrei che vengono massacrati per le loro convinzioni e i membri di Cannes che chiedono il boicottaggio di tutto ciò che è israeliano o ebraico sono molto meno importanti del fatto che il tuo indirizzo e-mail sia stato condiviso con 20 dei nostri colleghi che stanno cercando di fare la differenza. Le mie più sentite scuse…

Ieri ho pranzato con il Console Generale di Israele che mi ha parlato di J Street. Era così perplesso, confuso e preoccupato quando ha saputo che tu hai sostenuto i nostri nemici, che mi ha pregato di mettervi in contatto”.

Insomma, le e-mail trapelate dimostrano senza ombra di dubbio che sia il governo israeliano che l’IDF sono in contatto con alcune delle persone più potenti del mondo dello spettacolo, al fine di portare avanti un messaggio pro-Israele e di eliminare qualsiasi deviazione da questa linea.

Un hip hopper per l’apartheid

Russell Simmons: si interessa della promozione di Israele nella comunità nera

Mentre i loro sforzi per reclutare la Portman sono caduti nel vuoto, una star che ha risposto con entusiasmo è stato il mega-produttore hip hop Russell Simmons, fondatore della Def Jam Records e fratello di Joseph “Rev.Run” Simmons, uno dei tre Run DMC.

Simmons è stato recentemente oggetto di controversie, dopo che 20 donne si sono fatte avanti, accusandolo di stupro o di altri comportamenti sessuali scorretti.

Le e-mail rivelano che promuovere l’impegno con Israele all’interno della comunità afroamericana è uno degli interessi principali di Simmons. Quando gli è stato chiesto se avesse qualche idea su come migliorare l’immagine di Israele, ha detto: “Semplice messaggistica da parte dei non ebrei, in particolare dei musulmani, che promuovono la pace e il diritto all’esistenza di Israele… Abbiamo le risorse e il desiderio di conquistare piuttosto che perdere i cuori dei giovani musulmani e degli ebrei”.

Quali fossero queste risorse, ha così spiegato:

“Abbiamo centinaia di programmi di collaborazione tra gli imam e i rabbini e le loro congregazioni. Abbiamo molti imam rispettati che si unirebbero all’ex rabbino capo metzker (ortografia), al rabbi Schneier e ai non ebrei nel promuovere il piano di pace saudita”.

“Con questa campagna aiuteremo Israele”, ha concluso.

Tutti gli sforzi di Hollywood non possono salvare Israele

Nonostante gli sforzi di Simmons e di altri, tuttavia, negli ultimi anni l’opinione pubblica americana ha iniziato a rivoltarsi contro Israele. I giovani americani, in particolare, sono ora più propensi a simpatizzare con la condizione del popolo palestinese e a sostenere uno Stato palestinese indipendente.

Questo ha a che fare in gran parte con la diffusione dei social media e con una nuova generazione di attivisti che ha superato ogni barriera per evidenziare le ingiustizie perpetrate dal proprio governo. Oggi gli americani preferiscono vedere i resoconti di prima mano e senza veli della brutalità israeliana sulle piattaforme dei social media.

Noam Chomsky: sostentore della giustizia per i palestinesi

Come ha spiegato l’anno scorso a MintPress il veterano studioso di politica Noam Chomsky, “Il velo dell’intensa propaganda [si sta] sollevando lentamente, [e] anche la cruciale partecipazione degli Stati Uniti ai crimini israeliani sta emergendo più chiaramente. Con un attivismo impegnato, questo potrebbe avere effetti salutari”.

Ciononostante, il sostegno del governo statunitense a Israele continua ad aumentare. Tra il 2019 e il 2028, si prevede che invierà quasi 40 miliardi di dollari in aiuti, quasi tutti militari, il che significa che i soldi dei contribuenti americani stanno aiutando l’oppressione e il dislocamento dei palestinesi.

Ken Loach è stato ancora più ottimista sulla questione, affermando che coloro che ostacolano la giustizia saranno giudicati male dalla storia,

“La negazione dei diritti umani dei palestinesi è uno dei grandi crimini [dell’era moderna] e i diritti dei palestinesi sono una delle grandi cause del secolo scorso e di questo secolo. Tutti noi dovremmo sostenere i palestinesi. Se avete a cuore i diritti umani, non c’è dubbio: i palestinesi devono essere sostenuti.

E queste persone che si oppongono a loro, alla fine, svaniranno. Perché la storia dimostrerà che si è trattato di un crimine terribile. I palestinesi hanno subito la pulizia etnica della loro patria. Dobbiamo sostenere i palestinesi, punto e basta”.

Quelle persone, tuttavia, non hanno alcuna intenzione di “svanire” e continuano a organizzarsi a favore del governo israeliano. Grazie ai documenti  venuti alla luce, coloro che hanno a cuore l’autodeterminazione palestinese hanno ora una comprensione più chiara di come operano.


Alan MacLeod è Senior Staff Writer per MintPress News. Dopo aver completato il suo dottorato di ricerca nel 2017 ha pubblicato due libri: Bad News From Venezuela: Twenty Years of Fake News and Misreporting e Propaganda in the Information Age: Still Manufacturing Consent, oltre a un numero di articoli accademici. Ha inoltre contribuito a FAIR.org, The Guardian, Salon, The Gray Zone, Jacobin Magazine, e Common Dreams.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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