Saleh Bakri: ho avuto il piacere di interpretare due film libanesi e presto uscirà il film “The Teacher” sull’arresto di bambini palestinesi.

Al Quds Al Arabi, 24 settembre 2022. 

La mia storia è quella della Palestina e di tutte le situazioni umanitarie del nostro pianeta.

Beirut. Il pubblico dei festival cinematografici in Libano, prima della pandemia di Covid, ha conosciuto l’attore Saleh Bakri grazie a diversi film palestinesi, la maggior parte dei quali della regista Anne Marie Jacir. “Wajib – Invito al matrimonio” è forse l’ultimo di questi film. Ma Saleh è un attore noto per il film “Il tempo che ci rimane” di Elia Suleiman e per il film di Jasser “Il sale di questo mare”. Saleh Bakri, figlio maggiore dell’artista ora in difficoltà Muhammad Bakri, vive la sua passione di attore professionista insieme al suo costante sogno nazionale di liberazione dall’occupazione.

Saleh Bakri ha recentemente fatto una bella sorpresa al pubblico di Beirut, apparendo sul grande schermo con due film in contemporanea, con registi libanesi e nel ruolo di protagonista. La sua presenza è bella e accattivante. Anche la sua pronuncia del dialetto libanese locale è risultata fluida. A Bakri non è stato permesso di assistere alla prima dei due film. In sua assenza, non si sa quali siano stati gli ostacoli, né sono giunte spiegazioni dai responsabili.

Con Saleh Bakri abbiamo avuto questa intervista:

Ÿ Quest’estate sei stato sul grande schermo in Libano con due film insieme. Qual è la storia?          La storia è iniziata con il regista Michel Kammoun nel 2017, con il film “Beirut Hold’em”, che non ha trovato spazio nei festival internazionali. La pandemia di Covid e poi l’esplosione nel porto di Beirut ne hanno ritardato la presentazione. Alla fine del 2020, abbiamo girato “Costa Brava Lebanon” e, per puro caso, i due film sono stati proiettati insieme in Libano. Così è fatto il mondo. Per me è stata una gioia, nonostante la distanza – vicinanza con Beirut. La distanza non è geografica, ma è causata dall’occupazione. Non ero nelle sale libanesi durante la prima dei due film, ma mi sono comunque sentito con gioia in mezzo a voi, anche se sono ansioso di ascoltare direttamente le persone e quello che dicono su queste due opere. Presentiamo i film per condividerli con il pubblico e poi ricevere le loro reazioni: questo ci aiuta ad andare avanti.

Ÿ Il dialetto libanese ti è risultato accessibile?
Con Michel Kammoun, essendo quello il primo film e il più lungo, è stato difficile. Non è stato il dialetto la difficoltà maggiore, ma il trovare fiducia in me stesso di fare l’attore in un ruolo libanese. Così, mi son sentito libero di recitare e di parlare fluentemente. Con il film “Costa Brava” è stato completamente diverso. Il primo film mi ha reso più facile il dialetto libanese. Penso che questo sia normale, perché una maggiore pratica di una lingua o di un dialetto lo rende più facile. Il mio rammarico permanente sulla realtà del mondo arabo è che non c’è apertura tra di noi. Questo ci impedisce un vero contatto tra le diverse e ricche culture e i diversi dialetti. La mia curiosità di imparare e di incontrare altre persone viene così ostacolata e sono privato del privilegio di imparare i dialetti dei nostri Paesi arabi. Mentre questo privilegio è vissuto da un attore francese o da uno inglese. Un attore inglese può scrivere nel suo curriculum che parla correntemente “scozzese, irlandese, australiano e americano”. E questo diventa un valore aggiunto, a differenza di noi che siamo privati di questo privilegio a causa della frammentata situazione politica tra noi arabi. Come artista, ho la padronanza di diversi dialetti, sia arabi che stranieri. Posso dire che l’esperienza nei diversi dialetti ha aumentato la mia sicurezza nella loro pronuncia, soprattutto nei dialetti levantini, ma anche in Tunisia, Marocco e Algeria. In definitiva, stiamo parlando di una lingua araba e di diversi dialetti che richiedono lavoro e pratica. L’attore arabo dovrebbe acquisire sicurezza parlando i dialetti iracheni, marocchini ed egiziani, soprattutto perché comprende la lingua e porta con sé la stessa cultura. “Ma i giorni stanno arrivando, romperemo le restrizioni e raggiungeremo e realizzeremo ciò che vogliamo”.

Ÿ Il regista Michel Kammoun ha detto di averti visto solo nel ruolo di “Zico”. Perché, secondo te?
Naturalmente ha visto i miei film; l’ho visto al Dubai Film Festival e lui era tra i giudici, e ha attirato la mia attenzione. È un regista molto colto e un artista vero e originale. Mi ha chiamato, mi ha onorato e sono felice che mi abbia visto come Zico. Il fatto che Michel Kammoun mi abbia scelto è un apprezzamento per il mio lavoro. Mi ha contattato direttamente e mi ha dato la sceneggiatura; l’ho letta e mi è piaciuta molto. Michel Kammoun ha aspettato 12 anni per completare il suo film prima di essersi assicurato la produzione.

Ÿ E cosa mi dici della comunicazione con Mona Akl nel film “Costa Brava”?
L’ho incontrata a un festival e abbiamo fatto amicizia. All’epoca stava scrivendo la sceneggiatura di “Costa Brava”. Sembra che la mia presenza le abbia ispirato le scene del protagonista. Non molto tempo dopo, mi ha inviato la sceneggiatura che mi è piaciuta molto. Mona mi chiese di accompagnarla al Sundance Workshop, cosa che avrebbe contribuito a garantire il finanziamento del film. Così ho fatto, e quindi sono andato dalla Palestina allo Utah, nell’America occidentale, dove è stata sviluppata la sceneggiatura e sono state girate alcune scene con Mona per provare a lavorare al suo film e trarre ispirazione dalle idee che scaturivano.

Ÿ La tua partecipazione a questo workshop si è tradotta in un’offerta di lavoro?
No. Il mio nome è conosciuto soprattutto nel cinema indipendente e i miei film rientrano in questa categoria. Purtroppo questo cinema non ha preso il posto che gli spetta nel mondo arabo. Ma il suo impatto sta aumentando e con il tempo avrà una posizione migliore. Forse il cinema arabo indipendente ha bisogno di una sua piattaforma sui canali satellitari arabi per essere esposto al nostro pubblico. Purtroppo, il sogno dei registi del cinema arabo indipendente si sta dirigendo verso i festival occidentali. È lì che guardano soprattutto. Il loro sogno non sono i festival arabi, anche se  naturalmente non ne mancano. Purtroppo, la scena del cinema indipendente nel nostro Paese non ha ancora raggiunto il suo vero obiettivo.

Ÿ Stai preparando un nuovo film?
Recentemente ho girato un film palestinese intitolato “The Teacher” con la regista Farah Nabulsi, con cui avevo fatto il cortometraggio “The Present”. “The Teacher” è il suo primo lungometraggio e il suo contenuto principale riguarda l’arresto di bambini per mano dell’esercito di occupazione in Palestina. Questo tema non è ancora stato affrontato adeguatamente dal cinema narrativo palestinese. È il primo lungometraggio che solleva la questione in modo evidente e forte. Ci auguriamo che sia un film di successo.

ŸFarah Nabulsi ha avuto un buon successo con il film “The Present”?
Il film ha vinto molti premi in tutto il mondo. È riuscito a penetrare anche in Occidente e ad avere una presenza nel mondo arabo, dove è stato visto attraverso la piattaforma Netflix. La partecipazione ai festival e la vittoria di premi fanno sì che la gente lo veda. Il cinema è un altro aspetto per conoscere i popoli della terra. Il cinema è il più grande mezzo che esprime lo spirito umano e la società in qualsiasi parte del mondo. Il cinema ci permette di raccontare le nostre storie. E la mia storia non è legata solo alla Palestina, anche se sono un palestinese che sogna che la sua patria venga liberata e che il suo popolo possa pensare liberamente. In fondo, sono figlio di questo pianeta e qualsiasi questione umana sulla sua superficie mi interessa molto. Non sono chiuso in me stesso e attraverso il mio caso vedo tutte le questioni umanitarie che devono essere affrontate su questa terra.

ŸL’influenza di Muhammad Bakri è passata ai figli Saleh, Ziyad e Adam. Sei contento di questo contagio?
È un contagio cinematografico con due lati, artistico e combattivo. Mio padre è un artista che lotta e combatte. Abbiamo imparato molto dalla sua esperienza di vita. Ci ha inculcato lo spirito di lotta e di combattimento, e allo stesso tempo abbiamo acquisito da lui il lato artistico e la fede in questo percorso. È un percorso molto bello e coinvolgente, che scuote i cuori delle persone. La via dell’arte trasmette a chi la percorre l’amore per la vita, nel momento in cui sente che sta creando, producendo e vivendo, nonostante tutte le situazioni di oppressione e di morte che lo circondano. Gli dà un senso di vittoria su ciò che ci viene imposto dalla realtà dell’occupazione. È una vittoria sulla cultura di morte diffusa dall’occupazione, perché al contrario noi creiamo una cultura di vita attraverso l’arte. Questo è ciò che abbiamo acquisito da nostro padre nell’arte, nella politica e nella lotta, e siamo fieri e orgogliosi di Muhammad Bakri. Siamo intorno a lui, al suo fianco e dietro di lui; il grande sostegno che ci dà deriva soprattutto dalla sua battaglia contro l’occupazione, con il caso del film “Jenin, Jenin”. Una battaglia iniziata nel 2002 e che continua ancora oggi. Stiamo ancora aspettando la sentenza della Corte Suprema, che deciderà l’esito dell’appello di mio padre contro il Tribunale Distrettuale, che gli ha ordinato di pagare un onorario di circa 230.000 NIS (100.000 dollari) a un soldato dell’occupazione. È mai possibile che un tribunale ordini al regista di pagare un risarcimento a un soldato criminale perché il film ha infangato la sua reputazione? A questo punto, si può immaginare l’arroganza di un occupante che a Jenin ha ucciso a sangue freddo ben 53 vite. L’arrogante sta diventando sempre più spudorato perché nessuno al mondo lo processa, ma lo sostiene.

ŸChe impatto ha il boicottaggio del cinema fatto dalla potenza occupante sulla tua carriera?
Boicottare un artista palestinese che vive sotto il dominio dell’occupazione, come quella che abbiamo vissuto nei territori dal 1948, costringendolo a possedere un passaporto israeliano, è una questione importante. Il boicottaggio della potenza occupante, che mi priva della comunicazione con il mio popolo, disperde il mio popolo e ruba tutte le risorse del mio Paese, equivale a dichiararmi esule. Il mio lavoro si svolge per lo più al di fuori dei confini del mio Paese. In fondo, siamo sotto occupazione e l’industria cinematografica ha bisogno di uno Stato che la sostenga. Nonostante ciò, faccio cinema, anche se il ritmo è molto lento rispetto alla mia capacità di lavorare, e per questo dico che mi sono in qualche modo condannato all’esilio. Per questo motivo trascorro alcuni mesi all’estero ogni anno, ma ora sono padre di un bambino di due anni e mezzo, e con la sua presenza sto trovando qualche difficoltà. Questa mia scelta ha un prezzo. È un percorso di lotta che continuo a seguire, credendo nella mia linea e nella mia posizione.

ŸIl boicottaggio che subisci esisteva prima del tuo matrimonio, quindi vuol dire che tua moglie ti sostiene in questa lotta?
È pienamente convinta della mia posizione e la sostiene, ma come me, con la presenza di un figlio nella nostra vita, trova difficile, ad esempio, stare da sola per mesi e mesi. Si può dire che l’amore vince su tutto. Ci conosciamo da vent’anni e lei è della Galilea, del villaggio di Mielia. Il nostro matrimonio è avvenuto quattro anni fa. Crediamo entrambi nelle stesse idee e negli stessi principi. Lei si occupa di progettazione di decorazioni teatrali.

ŸNei film palestinesi, quanto sei un artista e quanto un essere umano? E quanto conta il tuo dovere nazionale?
È molto importante impegnarsi nelle questioni umanitarie, e allo stesso tempo appartenere ad una  umanità illuminata è un impegno politico. Per essere un grande artista, una persona non deve essere impegnata politicamente. Fayrouz ha canzoni rivoluzionarie, appassionate e impegnate, e altre che parlano di amore, adorazione e bellezza della vita. Per questo Fayrouz è un grande artista, e ogni grande artista ha queste qualità. Mahmoud Darwish ha scritto poesie sulla politica. Ha scritto ben più che sulla Palestina, i suoi luoghi e la sua terra. Questa è la grandezza dell’artista che porta sulle spalle la sua causa, che è anche la causa delle persone, del popolo e della terra, e che si libra nel cielo della libertà sulle ali della fantasia. Questo è il genio dell’artista. (Conclude con una risata). Noi aspiriamo a essere così.

ŸC’è qualcosa che ti ha detto Muhammad Bakri e che non dimentichi?
 Sii te stesso.

ŸLa potenza dell’occupazione cerca di ostacolare la vostra presenza nel cinema mondiale?
Certo, perché il movimento sionista è globale e potente, e ha una grande influenza soprattutto nel campo dei media, e il cinema è uno dei rami dei media. Se non lo ostacolano direttamente, si può esser sicuri che lo faranno indirettamente. Ma, grazie a Dio, sto ancora lavorando, e sono i registi indipendenti a scegliere l’attore, non il produttore. Nel cinema commerciale, dove girano molti soldi, è il produttore che decide tutto, chi sono gli attori e chi è il regista, e queste persone non vogliono far arrabbiare i sionisti, quindi evitano di lavorare con me. Certamente da questo punto di vista le mie posizioni sono per me un ostacolo. Ma io non devo lavorare con un produttore che ha problemi con le mie idee politiche, e sono orgoglioso di starne lontano. La posizione sulla questione palestinese è innanzitutto una posizione morale.

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Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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