di Yaniv Kubovich,
Haaretz, 12 settembre 2022.
Da Shireen Abu Akleh, alle morti di civili e agli attacchi aerei nella Striscia di Gaza: in troppe situazioni l’esercito israeliano sta giocando a tira e molla con i fatti.
La scorsa settimana, i corrispondenti stranieri in Israele sono stati invitati a partecipare ad un evento piuttosto strano, una telefonata Zoom, condotta in ebraico, con il Magg. Gen. Yehuda Fuchs, capo del Comando Centrale.
Un interprete era a disposizione per tradurre il messaggio dell’ufficiale in inglese, ma l’intera situazione ha causato una certa costernazione. E ciò che è stato detto ha fatto ben poco per chiarire le cose.
La conferenza stampa virtuale è stata convocata nel tentativo di anticipare la copertura mediatica internazionale sull’indagine dell’IDF, appena pubblicata, riguardo all’uccisione di Shireen Abu Akleh.
Dopo aver ammesso che esiste un’alta possibilità che la giornalista palestinese-americana sia stata colpita da un soldato israeliano che l’avrebbe scambiata per un palestinese armato, Fuchs ha anche parlato di circostanze attenuanti, come l’esistenza di intense sparatorie nell’area. Un reporter della BBC è stato costretto a interrompere il comandante e a contestare questa affermazione.
È abbastanza comune che i corrispondenti stranieri non credano all’IDF, ma c’è dell’altro.
Un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, condotto nell’ottobre 2021 e pubblicato a gennaio, ha rilevato che mentre l’esercito continua ad avere il più alto livello di fiducia da parte degli israeliani ebrei tra tutte le istituzioni statali, questo livello è sceso al 78 percento, il più basso dal 2008, dal 90 percento del 2018. Haaretz ha passato in rassegna alcuni degli incidenti che potrebbero aver contribuito alla perdita di credibilità dell’esercito negli ultimi anni.
Il caso di Shireen Abu Akleh
L’esempio più recente è l’uccisione fatale, l’11 maggio, della giornalista di Al Jazeera mentre copriva un raid di arresti dell’IDF nel campo profughi di Jenin. In un primo momento, prima ancora di qualsiasi indagine, il portavoce dell’esercito si è affrettato ad azzardare che Abu Akleh poteva essere stata colpita da spari palestinesi.
Poche ore dopo, la storia è cambiata: non è stato possibile determinare la fonte degli spari.
Ma più tardi lo stesso giorno, il Brig. Gen. Ran Kochav, portavoce dell’IDF, ha dichiarato alla radio pubblica Kan Bet: “Abbiamo proposto ai palestinesi di condurre una rapida indagine congiunta, e se l’abbiamo uccisa noi ce ne assumeremo la responsabilità”. I palestinesi, ha aggiunto, hanno rifiutato l’offerta. “Il fatto che vogliono tener nascosta la verità vuol dire che hanno buone ragioni per farlo,” ha detto.
Molti funzionari politici e militari sono rimasti sorpresi nell’apprendere dell’offerta.
Dopo un breve esame, si è scoperto che non c’era nessuna proposta, per lo meno nessuna proposta formale, di indagine congiunta, e quindi i palestinesi non avrebbero potuto rifiutarla.
Due giorni dopo, il 13 maggio, l’unità portavoce dell’IDF ha detto che Abu Akleh poteva essere stata colpita da un soldato, ma ha subito rimodulato quanto detto aggiungendo: “Non è possibile determinare quale sia stata la fonte dello sparo che l’ha uccisa”.
Agli alti ufficiali della riserva dell’esercito che sono stati inviati per parlare ai giornalisti è stato chiesto, durante i briefing militari prima di queste interviste, di menzionare la possibilità che gli spari fatali siano stati sparati da palestinesi.
La bomba della CNN
Poi, il 24 maggio, la CNN ha lanciato la sua bomba. La rete ha mandato in onda un rapporto investigativo completo che suggeriva che Abu Akleh era stata deliberatamente presa di mira dall’IDF. L’onda d’urto di queste affermazioni è stata avvertita in tutto il mondo e anche all’interno dell’IDF.
In un evento a cui hanno partecipato alti ufficiali, tra cui il Capo di Stato Maggiore Ten. Gen. Aviv Kochavi, i funzionari dell’Unità Portavoce dell’IDF hanno sostenuto che gli investigatori della CNN non hanno dato loro l’opportunità di rispondere alle affermazioni fatte.
Ma un’indagine interna ha dimostrato che gli investigatori della CNN si erano rivolti alla divisione dei media esteri dell’Unità Portavoce, che ha organizzato per loro un colloquio con un alto funzionario militare che non era direttamente collegato al caso.
Questo funzionario ha fornito loro sia i risultati dell’indagine intermedia dell’IDF che la trascrizione delle osservazioni dell’avvocato generale militare alla conferenza annuale dell’Associazione degli Avvocati di Israele, che però non aveva affrontato le accuse che erano state sollevate. Quello che la divisione dei media esteri del Portavoce dell’IDF aveva omesso di fare era avvertire i vertici della propria organizzazione.
Nessuna responsabilità
Quando la portata del pasticcio è diventata chiara e le critiche internazionali si sono moltiplicate, i funzionari militari e politici hanno iniziato a trasmettere messaggi contrastanti attraverso i media locali: che l’indagine della CNN era completamente infondata, che le organizzazioni terroristiche erano coinvolte e che Abu Akleh stessa era responsabile della sua morte. L’unica cosa che nessuno di loro ha fatto è stata quella di assumersi le proprie responsabilità.
Anche ora, dopo la pubblicazione dei risultati completi dell’indagine dell’IDF, secondo cui esiste un’alta probabilità che la giornalista sia stata colpita accidentalmente dal fuoco militare, non è stata assunta alcuna responsabilità.
È stato detto che è stata colpita durante una battaglia in cui i soldati hanno affrontato un fuoco massiccio, indiscriminato e pericoloso per la loro vita. Anche la veridicità di questa affermazione è stata contestata.
L’unità Portavoce dell’IDF: la verità è un valore fondamentale
In una risposta scritta a una richiesta di Haaretz di affrontare non solo il caso di Abu Akleh, ma anche diversi altri incidenti, l’Unità portavoce dell’IDF ha detto, tra l’altro: “Prima di fornire informazioni al pubblico e ai media, queste vengono controllate e verificate con i comandanti e con tutte le fonti e i mezzi a nostra disposizione. La fiducia del pubblico nell’IDF e la credibilità dell’Unità Portavoce dell’IDF sono esaminate attraverso sondaggi e studi di istituti di ricerca indipendenti. …”
“Proteggere la verità è un valore fondamentale che guida l’Unità Portavoce dell’IDF e i suoi soldati nelle loro azioni. … Nei casi in cui vengono scoperte delle inesattezze nelle informazioni, l’Unità Portavoce dell’IDF si assicura di scusarsi e di correggere i suoi resoconti. Questi casi vengono indagati a fondo per evitare che si ripetano. L’IDF considera la fiducia del pubblico un elemento chiave per la sua capacità di adempiere alla sua missione e ai suoi compiti. Di conseguenza, l’Unità Portavoce dell’IDF lavora per rafforzare la fiducia del pubblico, preservando la verità e il diritto del pubblico di sapere.”
La fonte del razzo
Accanto alla campagna sul terreno durante l’Operazione Breaking Dawn all’inizio di agosto, l’Unità Portavoce dell’IDF ha condotto una guerra di parole contro la Jihad islamica palestinese nella Striscia di Gaza. Questa era in gran parte dedicata alle morti civili all’interno di Gaza come risultato dell’errato lancio di razzi da parte di quell’organizzazione.
Quando era possibile, i militari si sono affrettati a mostrare video di razzi che vacillavano dopo essere stati lanciati ed esplodevano nel territorio palestinese invece che in Israele. Un esempio notevole si è verificato il 6 agosto, quando otto civili gazani sono stati uccisi nel campo profughi di Jabalya.
Un incidente simile, almeno apparentemente, si è verificato il giorno successivo: cinque bambini, il più piccolo di appena 3 anni, sono morti a causa di un’esplosione nei pressi del cimitero di Al-Faluja, a est di Jabalya.
Non c’è stato alcun video mostrato dall’esercito, che non ha immediatamente commentato ufficialmente l’incidente. Ma nelle conversazioni e nei briefing con i media, i funzionari militari non hanno confutato i suggerimenti che la colpa fosse di un razzo palestinese lanciato male. In realtà, sapevano che l’Aeronautica Militare israeliana stava operando nell’area in quel momento ed era probabilmente la responsabile. Circa una settimana dopo, l’esercito ha ammesso formalmente la sua responsabilità.
Chi c’è nella torre
Il 15 maggio 2021, il quinto giorno dell’Operazione Guardian of the Walls, un edificio di 15 piani dedicato a uffici è crollato a Gaza City. È stato il risultato di un attacco aereo su quello che, secondo l’Unità Portavoce dell’IDF, ospitava attività di Hamas. L’esercito ha aggiunto che Hamas ha usato le organizzazioni giornalistiche civili presenti nella torre come scudi umani. Tra i media internazionali che si trovavano nella Torre Al-Jalaa c’erano l’Associated Press e Al Jazeera.
Le risposte straniere non si sono fatte attendere e sono state dure. I funzionari statunitensi hanno richiesto prove di operazioni di Hamas nell’edificio che avrebbero potuto giustificare l’attacco. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha respinto l’intelligence israeliana e il Presidente Joe Biden ha fatto un discorso severo all’allora Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
‘Sicuri al 100 percento’
Poi sono arrivate le indagini dell’IDF. Esse hanno stabilito che prima che l’aviazione eseguisse la sua procedura di ‘bussare alla porta’ (un colpo di un piccolo razzo destinato ad avvertire gli occupanti dell’edificio di evacuare prima di un imminente attacco aereo) l’intelligence militare non sapeva che l’Associated Press e Al Jazeera avevano uffici nell’edificio. Diversi funzionari della Difesa hanno cercato di fermare o almeno di ritardare l’attacco aereo, ma l’IDF ha rispettato il suo programma originale.
“Abbiamo controllato noi stessi e confermato con certezza al 100 percento la presenza di attività militari di Hamas nell’edificio dei media a Gaza City”, ha detto l’allora portavoce dell’IDF Hidai Zilberman. “Vorrei vedere cosa direbbero gli americani se un solo razzo venisse sparato contro Washington”.
Ma i suoi commenti non hanno migliorato la posizione israeliana. Israele ha poi fornito agli americani il dossier di intelligence, che era stato rivisto, nel tentativo di giustificare l’attacco aereo dopo il fatto. L’IDF non ha offerto una ritrattazione o delle scuse, ma in ottobre il Magg. Gen. (res.) Nitzan Alon, responsabile di uno studio dell’IDF sulle implicazioni dell’operazione per l’immagine di Israele, ha definito l’attacco ad Al-Jalaa un “attacco terroristico devastante per le pubbliche relazioni” e un “autogol”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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