Quando l’Occidente sosterrà pubblicamente il diritto dei palestinesi a difendersi?

di Ilan Pappe,

Palestine Chronicle, 11 agosto 2022.   

Una madre e una figlia palestinesi piangono la perdita dell’amato figlio e del fratello durante l’ultimo assalto israeliano a Gaza. (Foto: Mahmoud Ajjour, The Palestine Chronicle)

L’ultimo brutale assalto israeliano alla Striscia di Gaza ha messo in luce ancora una volta la risposta ipocrita e immorale dell’Occidente alle continue politiche genocide di Israele nei Territori Occupati. La continuazione di queste politiche insensibili e le risposte dei governi occidentali, in particolare di quelli americano e britannico, possono naturalmente portare alla disperazione e alla paralisi.

Tuttavia, la disperazione e l’inazione sono un lusso che i palestinesi sotto l’apartheid, l’assedio e l’occupazione non possono permettersi; pertanto, anche il movimento di solidarietà dovrebbe fare del suo meglio per non cedere a un senso di impotenza e di mancanza di speranza. È importante registrare la continua insincerità dell’Occidente, come è emerso anche questa volta, condannare questa doppiezza e contrastarla smascherando le falsificazioni e le distorsioni su cui si basa.

Il presidente americano, il Dipartimento di Stato e l’inviato americano alle Nazioni Unite hanno “sostenuto il diritto di Israele a difendersi”: questa la loro reazione all’assalto israeliano, così come quella del segretario agli Esteri britannico, che probabilmente sarà il prossimo primo ministro a settembre. È incredibile sentire queste dichiarazioni: in un momento in cui tutte le principali organizzazioni per i diritti umani e civili del mondo hanno definito Israele uno Stato di apartheid, le élite politiche occidentali hanno scelto di osannare il suo diritto all’autodifesa.

Non dobbiamo stancarci di ricordare al mondo che le persone che hanno il diritto di difendersi sono i palestinesi e che essi possiedono mezzi molto limitati per farlo, sia con la lotta armata che facendo appello al diritto e alle istituzioni internazionali. In molti casi, non sono stati in grado di difendersi, né a Gaza questo mese, né in nessun altro luogo della Palestina storica dal 1948. Quando riescono a farlo, vengono accusati di essere terroristi.

I governi occidentali sembrano preoccuparsi molto poco del diritto dei palestinesi alla vita, alla dignità e alla proprietà. Le Nazioni Unite si sono impegnate in tal senso con la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947 e sono rimaste a guardare quando tutti questi diritti sono stati violati durante la pulizia etnica della Palestina. Da allora, e in particolare dal 1967, nessuno dei governi occidentali ha mai cercato di proteggere i palestinesi quando l’esercito israeliano sparava contro di loro, li uccideva o li feriva – con armi fornite dall’Occidente o sviluppate con il suo aiuto. E non hanno fatto nulla quando le loro case venivano demolite, le loro vite distrutte, o quando venivano sottoposti a pulizia etnica. 

Possiamo guardare al solo luglio 2022 e registrare alcune delle vittime palestinesi il cui diritto all’autodifesa non è stato riconosciuto dal Presidente degli Stati Uniti o dal Ministro degli Esteri britannico. Questi politici sono rimasti in silenzio quando, nel corso di questo mese, Saadia Faragallah-Mattar, 64 anni, madre di 8 figli e nonna di 28, è morta nel carcere di Damon, dove aveva già trascorso 6 mesi di detenzione senza processo. Nessuno ha difeso o riconosciuto il diritto alla vita, proprio in questo mese, di Amjad Abu Aliya, un ragazzo di 16 anni ucciso dai soldati israeliani.

L’elenco delle persone uccise solo questo mese è lungo e comprende Nabil Gahnem, 53 anni, che ha cercato di tornare a casa dopo aver lavorato in Israele ed è stato ucciso dai soldati israeliani lo scorso luglio, e Taher Khalil Mohammad Maslat, un ragazzo di 16 anni colpito mentre si recava a scuola da cecchini israeliani che lo hanno puntato da una distanza di 100 metri uccidendolo. Odeh Mahmoud Odeh è stato ucciso a luglio, ad al-Midya, un villaggio vicino a Ramallah, in una settimana che ha visto anche l’uccisione di Ayman Mahmoud Muhsein, 29 anni, padre di tre figli e prigioniero politico da tre anni, ucciso nel campo di Dheisheh, vicino a Betlemme, e di Bilal Awad Qabha, 24 anni, ucciso a Yabad.

All’inizio del mese, Muhammad Abdulla Salah Suleiman, un ragazzo di Silwan, è stato ucciso sulla Route 60, una strada dell’apartheid dei coloni, da soldati israeliani che stavano su una torre di guardia. È stato lasciato sanguinare per circa due ore, mentre i soldati israeliani impedivano a un’ambulanza palestinese di raggiungerlo, sparando a chiunque si avvicinasse. Muhammad è poi morto per le ferite riportate.

Torri di guardia israeliane ce ne sono anche vicino alla barriera della Striscia di Gaza, ma non sono presidiate. Sono caricate con mitragliatrici azionate a distanza da giovani soldatesse israeliane, che sono state acclamate dalla radio israeliana come eroine che difendono la loro patria quando hanno spiegato come usano un joystick sul loro computer per uccidere chiunque si avvicini alla recinzione.

Dal 1° gennaio 2022, e fino all’assassinio di Shireen Abu Akleh, le forze israeliane hanno ucciso 61 palestinesi; queste uccisioni facevano parte di quella che le organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani hanno descritto come una “politica dello sparare per uccidere” contro i palestinesi, dietro l’incoraggiamento del primo ministro israeliano dell’epoca, Naftali Bennett, a usare la forza letale contro i palestinesi anche se non rappresentavano una minaccia imminente. Centinaia di persone sono state ferite durante il Ramadan di quest’anno, in particolare ad Haram al-Sharif.

Il bilancio delle vittime è cresciuto in quest’ultimo attacco. Bambini come Momen Salem, di 5 anni, e Ahmad al-Nairab, di 11 anni, a Jabaliya, sono stati uccisi insieme ad altri 14 bambini di età compresa tra i 4 e i 16 anni.

I bambini palestinesi muoiono anche a causa della politica israeliana di negare i permessi medici ai bambini di Gaza. Circa 840 bambini sono morti in attesa di permessi tra il 2008 e il 2021.

Nessuno nei media occidentali o nella politica mainstream ha parlato del diritto a difendersi dei palestinesi che sono stati mutilati dagli spari israeliani questo mese. Nassim Shuman, uno studente che camminava su un marciapiede vicino a Ramallah, ha perso una gamba e il suo amico Ussayed Hamail è rimasto paralizzato su una sedia a rotelle dopo essere stato colpito dai soldati israeliani. Un destino simile, questo mese, è toccato a Harun Abu Aram di Yatta, rimasto paralizzato dalla testa ai piedi dopo aver cercato di impedire ai soldati di rubare il generatore del suo vicino.

Un silenzio simile si è sentito forte e chiaro quando la comunità palestinese di Ras al-Tin, 18 famiglie, è stata espulsa dalle proprie case lo scorso luglio e quando le famiglie di Masafer Yatta sono diventate bersaglio dell’addestramento militare israeliano. Nessuno a Londra o a Washington, lo scorso luglio, ha parlato del diritto dei palestinesi a difendersi dopo la decisione della Corte Suprema israeliana di approvare il piano dell’esercito di espellere un migliaio di palestinesi dalla regione di Masafer Yatta.

E nessuno nell’Occidente ufficiale ha parlato del diritto a difendersi dei palestinesi torturati da Israele. Lo scorso luglio, abbiamo appreso dal “Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele” (PCATI) che la situazione è diventata così grave da decidere di deferire Israele alla Corte Penale Internazionale. Il PCATI ha concluso che Israele “non è interessato e non è in grado di fermare l’uso della tortura contro i palestinesi”; una politica che costituisce un crimine di guerra. Dopo 30 anni di lotta contro la tortura, il PCATI è giunto alla “spiacevole conclusione” che Israele non ha alcuna intenzione di porre fine alla tortura, di indagare onestamente sulle denunce delle vittime e di perseguire i responsabili.

In luglio, siamo stati esposti al racconto dell’orrore di Ahmad Manasra, incarcerato quando aveva 13 anni, pur soffrendo di un disturbo mentale. Malgrado gli appelli dell’ONU per il suo rilascio, Israele per tutta risposta l’ha messo in isolamento carcerario.

E non abbiamo il tempo di elencare i palestinesi usati come scudi umani, le cui case sono state demolite, i cui campi sono stati bruciati e le cui attività sono state distrutte.

Sicuramente, tutti loro avevano il diritto di difendersi – ma chi li ha difesi? Non la comunità internazionale, non l’Autorità Palestinese, non l’OLP ovunque si trovi, non i leader palestinesi in Israele, non il mondo arabo. Si pensava che dovessero rimanere del tutto indifesi e si pensa che debbano rimanere tali anche in futuro?

Israele offre ora ad Hamas ciò che ha offerto all’Autorità Palestinese: un modello di prigione a cielo aperto, in cui i detenuti sarebbero alla mercé dei carcerieri israeliani, che offrirebbero diritti di base limitati per vivere e lavorare in cambio di una “buona condotta”. Qualsiasi tentativo di vivere una vita normale e liberata viene immediatamente bollato come terrorismo e la forza dell’esercito viene immediatamente attivata. Il modello di “prigione aperta” è sostituito da un modello di “prigione di massima sicurezza”, dove la punizione collettiva si manifesta sotto forma di bombardamenti aerei, assedi e una lunga lista di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Chiedo ancora una volta: chi difenderà i palestinesi dalla necessità di scegliere tra due opzioni spietate in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza? Nessuno offre una terza opzione. Quando i leader dell’Occidente sosterranno pubblicamente il diritto dei palestinesi a difendersi, come fanno ad esempio in Ucraina? E quando noi del movimento di solidarietà riusciremo a fare pressione su quei leader affinché lo facciano, in modo da essere tutti in grado di prevenire la prossima uccisione, mutilazione ed espulsione di palestinesi innocenti? Speriamo che avvenga presto, prima che sia troppo tardi. 

Fino ad allora, i palestinesi che si difendono da soli dovrebbero avere il nostro pieno sostegno e la nostra ammirazione.

Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente senior di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine, The Modern Middle East, A History of Modern Palestine: Una terra, due popoli e Dieci miti su Israele. Pappé è descritto come uno dei “nuovi storici” israeliani che, dopo la pubblicazione di documenti pertinenti del governo britannico e israeliano all’inizio degli anni ’80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948. Ha contribuito con questo articolo a The Palestine Chronicle.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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