Gli autocrati mediorientali hanno messo in imbarazzo Biden a loro piacimento

di Shadi Hamid,

The Atlantic, 21 luglio 2022. 

I presunti alleati dell’America si sentono in diritto di umiliare il Presidente.

Mandel Ngan / Getty; Tom Brenner / Getty; The Atlantic

Il tanto pubblicizzato viaggio del Presidente Joe Biden in Medio Oriente – il suo primo da Presidente – è stato quasi del tutto privo di drammi o emozioni. Non ha prodotto alcun risultato significativo, né era destinato a farlo. Essere solo delusi, tuttavia, vorrebbe dire perdersi una cosa ben più preoccupante. La visita può essere stata inutile e fine a se stessa, ma è stata anche una grande battuta d’arresto per gli interessi americani, confermando ciò che molti sospettavano da tempo: i presunti alleati possono mancare di rispetto, mettere in imbarazzo e minare gli Stati Uniti quanto vogliono.

Il prezzo pagato è già evidente. Sabato, meno di 24 ore dopo la partenza di Biden dalla regione, gli Emirati Arabi Uniti hanno condannato un cittadino americano, Asim Ghafoor, a tre anni di carcere con accuse poco chiare. Ghafoor, membro del consiglio di amministrazione di un’organizzazione no-profit che l’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi aveva contribuito a fondare, era stato arrestato solo due giorni prima mentre transitava all’aeroporto internazionale di Dubai.

Queste sono cose che accadono nei regimi dittatoriali. Ma non sono cose che dovrebbero accadere nelle dittature che sono apparentemente partner stretti degli Stati Uniti. In effetti, i leader degli Emirati Arabi Uniti o stanno prendendo in giro Biden o non si preoccupano che così possa sembrare. Nessuna delle due possibilità è incoraggiante. Queste provocazioni raccontano una storia lunga e persistente in Medio Oriente, in cui gli Stati Uniti si dimostrano sempre più incapaci di rispondere sapendo dove vogliono arrivare e avendo un minimo di rispetto per se stessi. Gli autocrati provano a vedere fino a che punto possono spingersi, solo per scoprire che tale limite non esiste.

L’Arabia Saudita offre un esempio ancora più crudo. Anni fa, quando fonti medio-orientali scherzavano sul fatto che il regno potesse farla franca con l’omicidio, si trattava solo di un modo di dire. Ma poi i sauditi l’hanno fatta davvero franca. Forse l’unico momento memorabile del viaggio di Biden è stato il saluto di pugno con il principe ereditario saudita e leader de facto, Mohammed bin Salman. A MBS sono bastati quattro anni per riabilitarsi dopo il macabro omicidio di Khashoggi, in cui era direttamente coinvolto.

Ma l’incontro non è stato solo una riabilitazione. Nella speranza mal riposta di alleggerire i costi dei carburanti in patria, il Presidente americano ha ritenuto di dover andare da MBS per chiedergli di aumentare la produzione di petrolio. Non si è trattato di un vero e proprio strisciare a terra –l’orgoglioso e testardo Biden non si ridurrebbe a far questo– ma è stata una chiara dimostrazione di un’amministrazione sempre più debole e alla deriva.

Non si può sopravvalutare quanto sia strana e ingiustificata questa inversione dell’equilibrio di potere. Gli Stati Uniti sono una superpotenza e, almeno per ora, la superpotenza. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono, per usare un termine impolitico, stati clienti. In altre parole, dipendono dal potere americano per la loro sicurezza e sopravvivenza. I loro eserciti verrebbero messi a terra in breve tempo se gli Stati Uniti dovessero sospendere tutte le forniture militari, compresi i pezzi di ricambio e la manutenzione delle attrezzature, nonché la formazione e il supporto logistico. A rischio di affermare un’ovvietà lampante, loro hanno più bisogno di noi che noi di loro. Eppure, se un extraterrestre fosse sceso dallo spazio e avesse assistito agli eventi della scorsa settimana senza il beneficio di una conoscenza preliminare, avrebbe potuto pensare il contrario: che gli Stati Uniti fossero il partner minore che rendeva omaggio ai suoi superpotenti patroni.

La pubblica deferenza del Presidente nei confronti di un regime brutale ma debole non è solo un problema per la strategia americana; è un problema per l’identità americana. È questo ciò che vogliamo diventare sulla scena mondiale?

Naturalmente, l’ex Presidente Donald Trump era innamorato dei sauditi e ha agito di conseguenza. Oggi, lo stesso atteggiamento coccolante verso gli autocrati avviene sotto un’amministrazione democratica, nonostante Biden abbia insistito sul fatto che l’approccio del suo predecessore sarebbe stato un ricordo del passato. In un certo senso, Biden ci ha lasciato con il peggio dei due mondi, una posizione intermedia insostenibile che raramente funziona in Medio Oriente. Gli Stati Uniti hanno ancora una politica pro-autocrati, solo che gli autocrati in questione non ci amano e non pretendono nemmeno di rispettarci. Al suo arrivo in Arabia Saudita, Biden ha ricevuto una fredda accoglienza da parte dei suoi ospiti. Barack Obama è stato snobbato in modo simile durante una visita del 2016. Obama è stato responsabile di un aumento storico delle vendite di armi all’Arabia Saudita, ma la sua buona volontà non è stata apprezzata né ricambiata. Non si tratta di un caso. Infatti, ciò che gli analisti hanno chiamato “influenza inversa” è forse la caratteristica che definisce il rapporto dell’America con gli autocrati arabi. Gli Stati Uniti raramente pongono condizioni per il loro sostegno militare al Golfo. Gli Stati del Golfo, a loro volta, danno per scontata l’assistenza, considerandola un diritto.

Il risultato è l’intensificazione della repressione, comprese le molestie e la detenzione di cittadini statunitensi. Ma i funzionari americani potrebbero non essere sufficientemente toccati dalle obiezioni morali. Dopo tutto, gli Stati Uniti sono un Paese, non un’organizzazione per i diritti umani. In questo mondo imperfetto e tragico, l’America deve avere a che fare con i dittatori. Questa argomentazione potrebbe reggere se l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti fossero alleati affidabili degli USA. Non lo sono. Imbaldanziti e irresponsabili, si comportano in modo sconsiderato, anche nel campo della politica estera. L’elenco di esempi, in continua crescita, include il tentativo di ingraziarsi la Cina, di pianificare un approccio più conciliante nei confronti della Russia, di sequestrare il Primo Ministro libanese, di alimentare la lunga guerra nello Yemen e di sostenere la parte opposta agli Stati Uniti nelle battaglie per procura in Libia.

Un prammatico testardo potrebbe insistere che bisogna digerire tutto questo avventurismo che è un male necessario per raggiungere la “stabilità”. Ma ciò che sta accadendo ora non è solo questo. È peggio. L’America viene manipolata dagli stessi Paesi che dipendono da lei per la loro sicurezza. In qualche modo, gli Stati Uniti sono riusciti nell’improbabile impresa di minare sia i loro valori che i loro interessi. Come si vede in Medio Oriente, le due cose vanno insieme.

Shadi Hamid è uno scrittore, collaboratore di The Atlantic, senior fellow presso la Brookings Institution e professore assistente di studi islamici presso il Fuller Seminary. È anche co-fondatore di Wisdom of Crowds, un podcast, una newsletter e una piattaforma di dibattito. Hamid è autore di diversi libri, tra cui Islamic Exceptionalism e Temptations of Power.

https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2022/07/middle-eastern-autocrats-humiliate-biden-mbs/670589/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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