di Philip Weiss,
Mondoweiss, 12 giugno 2022.
Un’inchiesta del Washington Post contesta apertamente le mutevoli ‘affermazioni’ israeliane su chi ha ucciso Shireen Abu Akleh e praticamente accusa l’esercito israeliano di nascondere le prove che ad ucciderla è stato un suo soldato.
Il Washington Post pubblica oggi un’inchiesta sull’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh, avvenuta un mese fa, e conclude proprio ciò che le indagini di AP, CNN e Bellingcat hanno riscontrato e che i testimoni oculari hanno detto l’11 maggio: è probabile che un soldato israeliano abbia ucciso Abu Akleh nei territori occupati.
Il Post contesta apertamente le mutevoli “affermazioni” israeliane su chi ha ucciso Abu Akleh, e in pratica accusa l’esercito israeliano di nascondere le prove secondo cui l’ha uccisa un suo soldato. Questa corposa indagine aumenterà la pressione sul Segretario di Stato Antony Blinken affinché richieda effettivamente un’indagine indipendente e un’attribuzione definitiva della responsabilità. Questo metterà Joe Biden in una posizione difficile davanti ai giornalisti quando visiterà Israele alla fine del mese (e sicuramente abbraccerà il primo ministro, il ministro della difesa e il ministro degli esteri).
Il Post cita interviste con “molteplici testimoni oculari,” l’esame di numerosi video e due analisi indipendenti di prove audio/balistiche per giungere alla stessa identica conclusione della CNN: che l’uomo armato era a circa 180 metri di distanza da Abu Akleh a Jenin, proprio dove si trovava la truppa israeliana quella mattina.
Il Washington Post ha esaminato più di cinque dozzine di video, post sui social media e foto dell’evento, ha condotto due ispezioni fisiche dell’area e ha commissionato due analisi acustiche indipendenti degli spari. Queste analisi suggeriscono che un soldato israeliano della pattuglia ha probabilmente sparato e ucciso Abu Akleh. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno detto che è possibile che uno dei suoi soldati abbia sparato il colpo fatale, ma hanno affermato che qualsiasi sparo era diretto verso un uomo armato palestinese che si trovava tra i soldati israeliani e i giornalisti, e che i reporter potrebbero essere stati colpiti involontariamente.
Il Post contesta specificamente queste affermazioni israeliane:
I militari israeliani non hanno presentato alcuna prova che dimostri la presenza di un uomo armato. Le prove video e audio disponibili contestano le affermazioni dell’IDF secondo cui c’è stato uno scambio di fuoco nei minuti precedenti l’uccisione di Abu Akleh e supportano i resoconti di più testimoni oculari intervistati dal Post, che hanno affermato che non c’era nessuno scontro a fuoco in quel momento.
I reporter Sarah Cahlan, Meg Kelly e Steve Hendrix nel loro racconto danno credito ad Ali al-Samoudi, il produttore di Al Jazeera che è stato colpito anche lui dal soldato e che stava coordinando ogni suo movimento con Abu Akleh quella mattina.
[Samoudi ha detto] “Tutto era calmo, non c’erano affatto spari”. Improvvisamente, c’è stata una raffica di proiettili…
Gli spari sembravano provenire dai veicoli militari, ha ricordato Samoudi.
Quindi la storia raccontata dall’esercito israeliano sta cadendo un pezzo dopo l’altro davanti ai nostri occhi.
Fin dall’inizio sono venute fuori spiegazioni mutevoli da parte dell’IDF sulla fonte degli spari che hanno ucciso Abu Akleh.
Il Post pubblica una dichiarazione dell’esercito israeliano che “continuerà a indagare responsabilmente sull’incidente, al fine di arrivare alla verità di questo tragico evento”. Ma ancora una volta le Forze di Difesa israeliane insistono sul fatto che devono avere il proiettile per giungere a una conclusione, e l’Autorità Palestinese si rifiuta di consegnarlo.
Questa è una stupidaggine, perché l’esercito israeliano naturalmente sa già che un suo soldato ha ucciso Abu Akleh e ha tonnellate di prove che non sta mostrando a nessuno.
Val la pena notare su quali basi il Post afferma che l’esercito israeliano nasconde le prove che ha: perché tali prove vengono da video ripresi da droni e da videocamere indossate sulle uniformi. E vale la pena notare come il Post mette in dubbio la conclusione dell’esercito israeliano secondo cui nessun soldato israeliano ha deliberatamente preso di mira Abu Akleh.
L’IDF non ha detto come è arrivato alla conclusione che i suoi soldati non sapevano della presenza di giornalisti, o che questi ultimi non sono stati deliberatamente presi di mira. Un portavoce dell’IDF ha rimandato i giornalisti del Post alle dichiarazioni rilasciate da un ufficiale militare israeliano, il Col. Arik Moel, in un’intervista televisiva, in cui ha affermato che c’erano “più probabilità” che Abu Akleh fosse stata uccisa dal fuoco palestinese che da “uno dei cinque proiettili” sparati da un soldato israeliano che era presente quel giorno. Senza fornire nessuna prova a sostegno di questa tesi
L’IDF non ha risposto a una domanda su che cosa mostrano i filmati israeliani –da droni o da telecamere– dell’incidente, ammesso che mostrino qualcosa.
L’analisi del Post sugli spari è esattamente quella della CNN, per quanto riguarda la distanza del tiratore.
[Steve] Beck ha rilevato che le prime due raffiche di spari, per un totale di 13 colpi, sono state sparate da una distanza compresa tra 175 e 195 metri dalle telecamere che hanno registrato la scena – quasi esattamente la distanza tra i giornalisti e i veicoli militari israeliani.
Questa presa di posizione del Washington Post è un’ottima notizia perché suggerisce che la stampa non abbandonerà Shireen Abu Akleh alla sua morte. Inoltre, fa molta pressione sul New York Times, il nostro giornale più importante, affinché si schieri a favore di Shireen Abu Akleh. E conferisce forza politica ai 57 membri del Congresso che hanno chiesto un’indagine indipendente sull’omicidio.
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Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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