Haaretz, 8 maggio 2022.
L’Alta Corte di Giustizia ha dimostrato ancora una volta di essere impareggiabile per mettere il suo timbro e imbiancare le ingiustizie dell’occupazione. In una sentenza emessa nel cuore della notte –ironicamente, tra il Giorno della Memoria e il Giorno dell’Indipendenza– la Corte ha approvato l’espulsione dalle loro case di circa 1.000 residenti palestinesi di Masafer Yatta, nel sud-est della Cisgiordania, a beneficio delle esercitazioni delle forze di difesa israeliane. Come risultato, otto villaggi palestinesi, in cui i residenti hanno vissuto per generazioni, saranno distrutti.
I giudici, David Mintz, Ofer Grosskopf e Isaac Amit, hanno respinto l’argomento dei ricorrenti che avevano vissuto lì prima che fosse dichiarata zona di tiro nel 1981. Miracolosamente, a nessuno delle centinaia di coloni ebrei che vivono nell’area (la maggior parte dei quali è arrivata dopo) è stato chiesto di lasciare la sua casa o il suo insediamento per la zona di tiro dell’esercito. E così, con l’imprimatur dell’Alta Corte, l’apartheid israeliano è stato legittimato in questa zona delle colline a Sud di Hebron.
Di fronte all’espulsione selettiva basata sulla nazionalità, non sarà più possibile confutare la conclusione che un regime di apartheid ha sostituito l’occupazione militare nei territori. L’occupazione è temporanea per definizione; l’apartheid rischia di persistere per sempre. L’Alta Corte l’ha approvato.
Questa volta la sentenza dei giudici è particolarmente grave. In primo luogo per la portata dell’espulsione prevista: otto villaggi, 1.000 persone. In secondo luogo per la natura ideologica della sentenza. È chiaro infatti che privilegia a priori la posizione dell’esercito e dei coloni rispetto a quella dei residenti. E in terzo luogo, perché mette in discussione il diritto internazionale.
Questi 1.000 residenti, sulle cui teste pende ora la spada dell’espulsione, sono nati e cresciuti in questa terra di grotte, in cui le comunità di pastori vivono in condizioni molto dure, senza elettricità né acqua corrente, pur conservando sostanzialmente il loro stile di vita tradizionale. Questo non comporta solo l’espulsione di persone dalle loro case, ma anche la distruzione di una cultura viva. L’Alta Corte ha dato una mano a tutto questo.
La Corte ha anche respinto l’argomento che la proibizione del diritto internazionale del trasferimento forzato di popolazione sia vincolante per la Corte o che si applichi a Israele. Un tale calpestamento del diritto internazionale da parte di una corte che fino a poco tempo fa godeva di prestigio globale è uno schiaffo alle istituzioni e al sistema giudiziario della comunità internazionale. Il giudice David Mintz, che è egli stesso un colono, in effetti ha stabilito che il diritto internazionale su questa materia, e forse anche su altre, non è vincolante per un paese del mondo – Israele – e dipende dal suo consenso. Questo è un modo pericoloso di interpretare il diritto internazionale, contribuendo a calpestarlo.
La decisione dell’Alta Corte segna il punto più basso per la più alta istanza del sistema giudiziario d’Israele, ed è così che sarà ricordata. Il fatto che sia stata pubblicata nel cuore della notte può indicare che anche tra le sue mura c’è chi ha riconosciuto la vergogna che questo verdetto porta alla Corte e al paese.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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