Reportage. La vita di una famiglia palestinese a Hebron

di  Michele Giorgio | 4 Mag 2022 | In evidenzaMedioriente

Pagine Esteri, 4 maggio 2022– La vita quotidiana è un test di resistenza nella casa di due piani del sessantaquattrenne Abdulkareem al-Jaabari e della sua famiglia di 16 persone. Nella città palestinese di Hebron, che si trova nel sud della Cisgiordania occupata da Israele, gli al-Jaabari sono una delle famiglie palestinesi le cui case sono strette tra le due colonie illegali di Kiryat Arba e Giv’at Ha-Avot. La famiglia afferma di essere esposta a continui attacchi ed incursioni da parte di coloni e di forze israeliane.

Hebron ospita circa 200.000 palestinesi e circa 700 coloni ebrei. Tuttavia il 20% della città è sotto il diretto controllo israeliano e i palestinesi che vi vivono o vi si trovano di passaggio, a differenza dei coloni ebrei, sono soggetti a posti di blocco e ad un divieto di transito su diverse strade principali. Questa situazione ha spinto migliaia di palestinesi ad andarsene, cosa che le associazioni per i diritti hanno descritto come espulsione forzata di massa.

Durante la settimana della festività ebraica di Passover (la pasqua ebraica, ndtr.), che quest’anno si è svolta dal 15 al 22 aprile, sovrapponendosi al mese sacro musulmano del Ramadan, migliaia di coloni israeliani e loro sostenitori, alcuni dei quali armati, hanno partecipato protetti dall’esercito israeliano ad eventi nelle strade del centro di Hebron, compresa la Città Vecchia. Il 18 aprile si è svolta una manifestazione di coloni vicino alla Moschea di Ibrahim (la Tomba dei Patriarchi), in cui nel 1994 un colono israelo-americano massacrò 29 palestinesi mentre pregavano.

La scorsa settimana le forze israeliane hanno chiuso per diversi giorni la Moschea di Ibrahim ai fedeli palestinesi, agevolando invece l’ingresso a migliaia di coloni israeliani. Anche le strade verso la moschea sono state chiuse e decine di negozi nella Città Vecchia sono stati costretti ad abbassare le serrande.

Abdulkareem dalla sua casa ha detto a Al Jazeera “Abbiamo paura dei sabati e delle feste ebraiche”.

In tali occasioni la tensione sul campo cresce in quanto Israele dispiega un maggior numero di soldati e di poliziotti per proteggere i coloni e i palestinesi subiscono un aumento delle restrizioni di movimento e della violenza dello Stato e dei coloni.

Israele sostiene che la presenza dell’esercito e le restrizioni nei confronti dei palestinesi sono necessarie per motivi di sicurezza e per proteggere i coloni ebrei che vivono a Hebron dagli attacchi palestinesi.

A fine febbraio un tribunale israeliano ha deliberato che l’esercito israeliano possa continuare ad usare un edificio a Hebron costruito in gran parte su terreno privato palestinese, sostenendo che una presenza ebraica in Cisgiordania fa parte della politica di sicurezza dell’esercito israeliano.

Per i palestinesi di Hebron l’effetto di tale presenza diviene particolarmente pesante durante gli eventi speciali organizzati dai coloni.

“Durante queste festività la destra israeliana mobilita i propri sostenitori provenienti dalla città e da fuori”, dice ad Al Jazeera Hisham al-Sharabati, un abitante di Hebron e attivista per i diritti umani, aggiungendo che normalmente gli attacchi dei coloni aumentano in questi periodi.

‘Attacchi continui’

La lotta che dura da vari decenni della famiglia al-Jaabari rappresenta un microcosmo della vita dei palestinesi sotto il dominio dell’esercito israeliano a Hebron.

La loro casa è circondata da filo spinato per proteggerla contro gli attacchi alla proprietà. La famiglia ha installato diverse telecamere di sorveglianza per documentare gli attacchi.

Secondo la famiglia tutti i suoi membri ad un certo punto sono finiti in ospedale, in seguito agli attacchi dei coloni.

“Mi sono abituato alla paura quotidiana durante la mia vita qui”, dice Abdulkareem. “I continui attacchi ci hanno costretti ad essere preparati al peggio in ogni momento.”

Le Nazioni Unite hanno documentato diversi attacchi da parte di coloni contro la famiglia. I coloni le hanno sparato, lanciato pietre e sono entrati nella casa danneggiandola. Ha subito anche furti del bestiame e dei raccolti.

La figlia di Abdulkareem, Ayat, e suo figlio Adi dicono di aver subito attacchi da parte dei coloni – Ayat quando le è stata lanciata una pietra in testa provocandole una commozione cerebrale e Adi quando è stato accoltellato da un colono mandandolo in ospedale.

“L’occupazione israeliana e i suoi coloni stanno cercando con ogni mezzo di cacciarci dalle nostre terre e dalle nostre case”, dice Abdulkareem, conosciuto anche col soprannome di Abu Anan.

Impadronirsi della terra

Nel 1968, poco dopo avere occupato la Cisgiordania, Israele creò Kiryat Arba – una delle prime e più estremiste colonie in Cisgiordania – a circa 80 metri di distanza dalla casa di Abdulkareem.

La colonia ora si estende su circa 5 chilometri quadrati ed è sede di un monumento dedicato a Baruch Goldstein, il colono che compì il massacro alla Moschea di Ibrahim.

Anni dopo fu costruito il vicino avamposto di Giv’at Ha-Avot, a circa 20 metri di distanza dall’altro lato della terra della famiglia al-Jaabari e la popolazione totale delle due colonie arrivò a circa 8.000 persone.

La terra di Abdulkareem, trasmessa nella famiglia per generazioni e da lui formalmente ereditata da suo padre nel 1991, divenne un sito strategico in mezzo alle due colonie.

I figli di Abdulkareem ora lavorano e i 10 chilometri quadrati di terra restano la principale fonte di reddito per la famiglia, che vive di agricoltura e allevamento.

Prima di costruirvi la casa nel 1976 la famiglia passava l’estate nei terreni prendendosi cura di decine di alberi.

Quel sereno stile di vita cambiò improvvisamente quando crebbe l’espansione dei coloni. Nel 2002 i coloni eressero una gradinata nel mezzo della terra di Abu Anan per collegare Kiryat Arba con l’avamposto di Giv’at Ha-Avot. Nel 2006 vi piazzarono un ampio tendone per usarlo come sinagoga.

Nonostante una sentenza del tribunale del 2015 che stabiliva che il tendone dovesse essere rimosso, l’esercito ha permesso ai coloni di continuare ad usarlo. Ogni sabato vi arrivavano a decine, mentre durante le festività ebraiche il numero arriva alle centinaia.

Per i coloni la presenza di ebrei a Hebron è giustificata da motivi religiosi poiché è il sito della Moschea di Ibrahim, venerata sia dai musulmani che dagli ebrei, che la chiamano Tomba dei Patriarchi.

I coloni affermano anche che una comunità ebraica era esistita ad Hebron fin dal Medioevo e che l’uccisione di 67 ebrei per mano di palestinesi nel 1929 è la principale ragione per cui furono costretti ad andarsene, prima di farvi ritorno dopo l’occupazione israeliana della Cisgiordania nel 1967.

Attacchi dei coloni

In un campionamento effettuato nel 2019 dalle Nazioni Unite su 280 famiglie palestinesi nelle zone su cui più hanno inciso le colonie a Hebron, quasi il 70% ha affermato che almeno un componente della propria famiglia ha subito violenze o attacchi di coloni a partire da ottobre 2015.

Per la famiglia al-Jaabari gli attacchi dei coloni sono stati più violenti che negli altri casi.

Hanno affermato che nel 2007 più di 300 coloni hanno fatto irruzione nella loro casa ed aggredito la famiglia.

“Ho tre figli con disabilità e non sono stati risparmiati dall’attacco. I coloni hanno distrutto le loro sedie a rotelle, li hanno aggrediti ed hanno impedito alle ambulanze di soccorrerci”, ricorda Abu Anan.

In un episodio del 2008 documentato dalle Nazioni Unite un matrimonio di uno dei figli di Abdulkareem è stato attaccato da coloni che hanno lanciato pietre, uova e pomodori. Anche un altro matrimonio nel 2013 è stato attaccato dopo che i coloni avevano fatto incursione nella casa di famiglia. In entrambi i casi invitati alla cerimonia sono rimasti feriti.

“Persino i nostri matrimoni sono macchiati di sangue e terribili”, dice Abdulkareem.

La famiglia afferma che le forze israeliane nella zona non solo ignorano le denunce contro i coloni, ma spesso offrono loro protezione durante gli attacchi. Esempi di tale cooperazione e addirittura attacchi congiunti di coloni ed esercito in tutta la Cisgiordania sono stati documentati da organizzazioni per i diritti.

L’esercito israeliano non ha risposto alla richiesta di rilasciare un commento sulle accuse nei suoi confronti.

Tra il 2000 e il 2008 Abdulkareem ha presentato almeno 75 denunce alla polizia e altre decine dopo di allora.

“Una volta un colono mi ha sparato mentre raccoglievo le olive”, dice Abdulkareem. “Sono andato alla polizia israeliana, che si trovava a pochi metri da casa mia, per sporgere denuncia contro il colono. La polizia ha deciso di arrestare me e mio figlio per 17 giorni e ci ha comminato una multa, sostenendo che noi avevamo aggredito il colono.”

Il figlio di Abdulkareem, il 26enne Mohammad, ritiene inutile rivolgersi alle autorità israeliane.

“Negli ultimi tre anni abbiamo deciso di non sporgere alcuna denuncia alla polizia israeliana ed abbiamo preferito difenderci da soli – qualunque sia il risultato”, ha detto ad Al Jazeera.

traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna per Zeiton.info

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