di Ayah Kutmah,
Mondoweiss, 17 aprile 2022.
Proprio come l’incarcerazione di massa rimane una caratteristica distintiva dell’occupazione israeliana, così continua anche la resistenza dei prigionieri. Attualmente, il boicottaggio in corso del sistema giudiziario israeliano da parte di tutti i 530 detenuti amministrativi palestinesi ha superato i 100 giorni.
La Giornata dei Prigionieri Palestinesi, celebrata il 17 aprile, commemora le centinaia di migliaia di prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. La gestione delle carceri e l’incarcerazione di massa hanno caratterizzato il progetto coloniale di Israele, che si è notevolmente ampliato nel 1967 in seguito all’occupazione militare della Cisgiordania e di Gaza. Dal 1967, con l’avvento del sistema giudiziario militare israeliano, oltre 850.000 palestinesi sono stati arrestati e imprigionati dal regime israeliano. Attualmente, 4.450 palestinesi sono detenuti nelle carceri israeliane, tra cui 32 donne, 160 bambini e 530 persone in detenzione amministrativa, cioè senza accusa né processo.
L’incarcerazione di massa dei palestinesi avviene sotto gli auspici del sistema giudiziario militare israeliano, il meccanismo centrale del regime militare che governa la Cisgiordania e Gaza. Dalla sua istituzione, centinaia di migliaia di palestinesi sono stati arrestati e processati in base a una serie di ordini militari israeliani in continuo aumento – oltre 1.800 ordini – in tribunali militari in cui si commettono gravi violazioni del giusto processo con un tasso di condanna superiore al 99%. Gli ordini militari, emessi dal comandante militare israeliano e basati su “motivi di sicurezza”, toccano ogni aspetto della vita quotidiana dei palestinesi, comprese le leggi sulla terra e sulla proprietà, la libertà di movimento, l’espressione politica, sociale e culturale, la libertà di associazione, l’istruzione, la salute pubblica e persino violazioni del codice stradale.
Oltre al processo e all’incarcerazione di migliaia di palestinesi ogni anno, le autorità di occupazione israeliane applicano la detenzione amministrativa, una procedura che consente la detenzione a tempo indeterminato di un individuo senza accusa né processo, al fine di trattenere centinaia di palestinesi a tempo indeterminato in qualsiasi momento. La pratica della detenzione amministrativa, originata dalle Regulations (1945) del British Mandate Defense (Emergency), riflette una delle più esplicite continuità coloniali tra il diritto coloniale britannico e quello israeliano. Quelle disposizioni sono state adottate e riappropriate dalle autorità israeliane in base a tre diverse leggi: (1) l’articolo 285 dell’ordine militare 1651 applicabile in Cisgiordania; (2) la legge sull’internamento dei combattenti illegali, che è stata utilizzata contro i residenti di Gaza dal 2005; e (3) la Emergency Powers Law (Detentions) (1979), che si applica alle persone che hanno la cittadinanza israeliana.
Solo pochissimi cittadini e coloni ebrei israeliani sono mai stati tenuti in detenzione amministrativa. Invece, la detenzione amministrativa è fatta per estendersi alle varie zone territoriali e prende di mira i palestinesi dappertutto, riaffermando la realtà di un unico regime generale di apartheid.
Gli ordini di detenzione amministrativa sono emessi con una durata fino a sei mesi, rinnovabili a tempo indeterminato sulla base di “informazioni segrete” che la persona rappresenta una “minaccia alla sicurezza” per la regione. Né il detenuto né l’avvocato hanno accesso a queste informazioni, che sono condivise solo tra l’intelligence israeliana, il procuratore militare israeliano e il giudice militare. La pratica è volutamente draconiana, come mi ha detto in un’intervista Sahar Francis, Direttrice dell’Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, [1], “arrestare quante più persone possibile senza essere tenuti a presentare alcuna prova ai tribunali militari.”
L’avvocato Mahmoud Hassan, che ha rappresentato centinaia di prigionieri politici e detenuti palestinesi davanti ai tribunali militari israeliani, mi ha raccontato il caso di un giovane palestinese arrestato dalle forze di occupazione israeliane e posto in detenzione amministrativa per una parola che aveva detto al telefono – “kazieh” – gergo arabo per stazione di servizio, ma che l’intelligence israeliana ha tradotto erroneamente in “gas”.
“Per loro, ‘gas’ significava una bomba fatta di gas, e quella era la prova presentata al giudice”, ha spiegato Hassan in un’intervista. Il giovane ha trascorso un anno in prigione, ignaro del motivo per cui era stato trattenuto, finché un giudice militare israeliano che conosceva l’arabo si è accorto dell’errata traduzione e lo ha lasciato andare. Se queste prove fossero state condivise con l’avvocato o il detenuto, avrebbero potuto spiegare l’errata traduzione e il giovane non avrebbe trascorso un anno in prigione. “La capacità del detenuto o dell’avvocato di argomentare contro le prove segrete è quasi inesistente”, ha detto Hassan.
Sebbene questo caso evidenzi l’assoluta assurdità, l’arbitrarietà, i vizi procedurali e la paura che permeano il sistema, non rispecchia tutta la più ampia e sinistra persecuzione intenzionale della detenzione amministrativa arbitraria di migliaia di attivisti palestinesi, studenti, politici, leader della società civile e individui che si oppongono all’occupazione israeliana.
La pratica diffusa e sistematica della detenzione amministrativa da parte delle autorità di occupazione israeliane supera di gran lunga i parametri eccezionali stabiliti dal Diritto Internazionale Umanitario (DIU) che regola le occupazioni straniere, portando i relatori speciali delle Nazioni Unite a chiedere ripetutamente la fine completa della “pratica illegale di detenzione amministrativa” di Israele. Nel 2006, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha ritenuto che i periodi lunghi e indefiniti di detenzione amministrativa costituissero una forma di tortura.
Gli arresti e le detenzioni arbitrarie di massa aumentano drammaticamente in seguito a qualsiasi movimento o rivolta popolare, come è avvenuto l’anno scorso durante la “Rivolta dell’Unità” palestinese del maggio 2021. Nel 2021, il numero di ordini di detenzione amministrativa è arrivato a 1.595, con un aumento di oltre il 40% rispetto agli anni precedenti, anche nei confronti di palestinesi con cittadinanza israeliana. “È sempre stato molto chiaro che la detenzione amministrativa è uno strumento dell’occupazione per mantenere il controllo sul popolo palestinese”, dice Francis.
Secondo Mahmoud Hassan, le rinnovate proteste contro le politiche coloniali israeliane nel Naqab hanno già subìto gli effetti della detenzione amministrativa. “La detenzione è anche legata al controllo della terra”, dice Hassan, “in un futuro non troppo lontano ci saranno ancora più casi di detenzione amministrativa nel Naqab e una maggiore persecuzione”.
Gli studenti palestinesi sono presi di mira in particolare dalle forze di occupazione israeliane per il loro attivismo studentesco, come la 22enne presidente del consiglio studentesco della Birzeit University Shatha Hassan, che è stata arrestata e trattenuta senza accusa per cinque mesi. Attualmente, 14 studenti dell’Università di Birzeit rimangono in detenzione amministrativa, secondo la documentazione della Campagna per il Diritto all’Istruzione.
Le autorità di occupazione israeliane usano anche la detenzione amministrativa come fatto compiuto per imporre una realtà legale o fisica quando non sono in grado di farlo utilizzando altre procedure giudiziarie civili o militari. Il recente arresto arbitrario e la detenzione di Salah Hammouri, un gerosolimitano franco-palestinese ed eminente difensore dei diritti umani, è avvenuto nel corso di una battaglia legale nei tribunali civili israeliani contro la revoca illegale della sua residenza e l’espulsione forzata da Gerusalemme. L’emissione del suo ordine di detenzione amministrativa da parte del comandante militare israeliano, piuttosto che del ministro della Difesa come nel caso dei gerosolimitani, cerca di rafforzare la revoca della sua residenza, suscitando a un reale timore della sua imminente deportazione al momento del rilascio.
Più spesso, la detenzione amministrativa viene sfruttata per obbligare le persone a fare la spola tra il processo e le procedure di detenzione, per prolungare la loro incarcerazione e costringerle a una confessione, come nel caso dell’avvocato in pensione di 80 anni Bashir Khairi. Khairi aveva ottenuto due volte di essere rilasciato su cauzione dal tribunale militare israeliano, solo per ricevere un ordine di detenzione amministrativa di sei mesi. La conferma dell’ordine da parte del giudice militare israeliano, citando “prove segrete”, ha portato Bashir Khairi a dichiarare il suo boicottaggio dei tribunali militari israeliani, accelerando l’attuale boicottaggio di massa intrapreso dai detenuti amministrativi palestinesi contro i tribunali militari israeliani.
Arroccamento coloniale
La colpa è predeterminata nel sistema giudiziario militare israeliano, dove migliaia di palestinesi vengono processati e condannati ogni anno in processi kafkiani della durata di pochi minuti. Tuttavia, non è solo una questione di gravi violazioni del giusto processo, la cui soluzione sarebbe semplicemente quella di “migliorare” i tribunali militari. Piuttosto, l’illegalità del sistema giudiziario militare israeliano consiste nel suo ruolo fondamentale che è quello di sostenere e alimentare l’istituzione di un completo apparato di occupazione e apartheid israeliano sul popolo palestinese.
Nell’ultimo anno sono emersi diversi rapporti internazionali sui diritti umani che accusavano il regime israeliano del crimine di apartheid, compresi quelli di Human Rights Watch, Amnesty International e del Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato dal 1967. Tutti invariabilmente collegano il sistema giudiziario militare israeliano a quei regimi impegnati a privilegiare sistematicamente un gruppo razziale rispetto a un altro e che sono riconducibili alla più ampia politica israeliana di dominio e controllo sul popolo palestinese.
Il crimine di apartheid si accompagna a una serie di altri gravi crimini e violazioni dei diritti umani endemici del sistema giudiziario militare israeliano, in particolare il crimine di guerra che consiste nel negare intenzionalmente ai prigionieri palestinesi il diritto a un processo equo e regolare, così come il trasferimento forzato di prigionieri palestinesi alle carceri e ai centri di detenzione del potere occupante. Addameer attualmente rappresenta davanti alla Corte Penale Internazionale i casi di tre bambini palestinesi prigionieri.
Un’analisi dell’apartheid, tuttavia, non riesce a spiegare l’arroccamento coloniale del sistema, che ha continuamente e illegalmente ampliato la sua giurisdizione sui “crimini” commessi dai palestinesi e collabora di fatto al controllo israeliano sulla terra. Non è solo l’applicazione discriminatoria di un regime militare, la repressione sistematica dei diritti politici e civili, o le profonde violazioni dei diritti umani – cose che equivalgono a crimini di guerra – ad essere vincolate all’interno del sistema, ma c’è un obiettivo più ampio di controllo dell’insediamento coloniale e una realtà più imminente di annessione israeliana.
“Ecco perché diciamo che è qualcosa di più dell’apartheid”, dice Sahar Francis, “il sistema giudiziario militare fa parte dell’intero sistema di apartheid e del colonialismo che dovrebbe essere criminalizzato a livello internazionale”.
La resistenza dei prigionieri
Proprio come l’incarcerazione di massa rimane una caratteristica distintiva dell’occupazione israeliana, così continua anche la resistenza dei prigionieri, prendendo forma nel movimento dei prigionieri palestinesi. Dappertutto, il movimento dei prigionieri, insieme alle organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani, ha lanciato boicottaggi, scioperi e campagne contro le pratiche arbitrarie e oppressive dell’occupazione.
“Addameer era molto attivo nel 1997 contro la detenzione amministrativa, quando le famiglie dei detenuti amministrativi lanciarono per la prima volta la loro campagna”, racconta Sahar Francis. La campagna si è svolta sullo sfondo degli accordi di Oslo, quando le autorità di occupazione israeliane hanno arrestato centinaia di attivisti e leader politici contrari agli accordi, molti dei quali tenuti per anni senza accusa. Nel 1999, la campagna era riuscita a ridurre il numero di detenuti amministrativi a meno di 40, il più basso di ogni tempo. L’inizio della Seconda Intifada, tuttavia, ha riportato alla ribalta la pratica diffusa della detenzione amministrativa, con oltre mille palestinesi detenuti senza accusa entro la fine del 2002.
Da allora, Addameer ha periodicamente portato avanti campagne relative alla detenzione amministrativa, lanciando nel 2009 la campagna mirata “Stop alla Detenzione Amministrativa”, che continua ancora oggi. Anche il movimento dei prigionieri palestinesi porta la questione della detenzione amministrativa in primo piano nei negoziati e nell’azione collettiva, anche durante gli scioperi della fame di massa del 2012 e del 2017.
A partire dal 2012, un numero crescente di detenuti amministrativi palestinesi ha intrapreso scioperi della fame per protestare contro la loro prolungata detenzione senza accusa né processo. Questi scioperi hanno catturato l’attenzione e la solidarietà dei media internazionali, ma a grave rischio per la salute dei detenuti e con solo occasionali concessioni che la loro detenzione non sarebbe stata prolungata.
“Uno sciopero della fame individuale si traduce in una decisione individuale, senza modifiche alla politica di detenzione amministrativa”, afferma l’avvocato Mahmoud Hassan, “né impedisce loro di arrestarti di nuovo in seguito”.
Nel 2021, molti detenuti amministrativi palestinesi hanno intrapreso lunghi scioperi della fame per ottenere la loro libertà, come Kayed Fasfous, che ha persistito per 131 giorni. La capacità di questi lunghi scioperi della fame di raggiungere la libertà individuale non ha avuto alcun effetto sul continuo aumento della detenzione amministrativa da parte delle autorità israeliane. Nel gennaio 2022, questa realtà ha portato i detenuti amministrativi palestinesi a dichiarare il loro boicottaggio di massa, collettivo e globale di tutti i tribunali militari israeliani.
Il boicottaggio in corso ha superato i 100 giorni e coinvolge tutti i detenuti amministrativi palestinesi – attualmente 530 – poiché sia i detenuti che i loro avvocati si rifiutano di partecipare alle sessioni e agli appelli dei tribunali militari, compresi quelli presso l’Alta Corte civile israeliana. Da allora, i tribunali militari israeliani hanno confermato e rinnovato gli ordini di detenzione amministrativa in contumacia, in procedimenti segreti composti da un giudice militare israeliano, un procuratore militare e l’intelligence israeliana.
I tribunali militari israeliani hanno già iniziato ad applicare sanzioni volte a porre fine al boicottaggio. Un esempio di ciò è una sentenza che impedisce ai detenuti o ai loro avvocati di ricevere una copia degli ordini di detenzione amministrativa o delle sentenze del tribunale, costringendoli invece a presentare ricorso al tribunale per ottenere l’ordine. Come sottolinea Mahmoud Hassan, questa sentenza colpisce i detenuti che non sanno quanto sia lungo il loro ordine di detenzione, oltre alle famiglie che hanno bisogno delle copie degli ordini per appellarsi alla Croce Rossa o alla Commissione Palestinese per gli Affari dei Detenuti.
Col tempo, il boicottaggio potrebbe intensificarsi per assumere altre forme di protesta, inclusa la possibilità di uno sciopero della fame di massa aperto dopo le vacanze di Eid al-Fitr, secondo la Società dei Prigionieri Palestinesi.
Eppure i detenuti amministrativi palestinesi capiscono che è improbabile che il loro boicottaggio, e qualsiasi altro passo ulteriore, porti le autorità di occupazione israeliane ad abolire completamente il ricorso alla detenzione amministrativa. La pratica è troppo efficace perché il regime la lasci cadere del tutto. Piuttosto, come sottolinea Sahar Francis, “questo ha davvero bisogno di pressioni a livello internazionale, in particolare dell’ONU e della CPI, per sottolineare che l’uso [sistematico] della detenzione amministrativa è un crimine di guerra, perché è una detenzione arbitraria”.
Una resa dei conti e la possibilità di perseguire «tutti i comandanti militari, i giudici e i pubblici ministeri coinvolti nel processo –chi ha emesso l’ordinanza, chi ha confermato l’ordinanza, chi ha fatto in modo che l’ordinanza fosse prorogata–», tutto questo, secondo Sahar Francis, resta un prerequisito necessario e uno sforzo pratico per porre fine a queste violazioni sistematiche.
Note
1. Addameer è una delle sei principali ONG palestinesi designate dalle autorità israeliane come “organizzazioni terroristiche” nell’ottobre 2021 e successivamente messe fuori legge con un ordine militare. La criminalizzazione arbitraria e generalizzata, ampiamente denunciata dalla comunità internazionale, è stata ancora una volta giustificata da “prove segrete”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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