A proposito di Haaretz: il colonialismo di insediamento può essere liberale e l’apartheid essere progressista?

di Ilan Pappe,

Palestine Chronicle, 13 dicembre 2021.

Palestinesi a un posto di blocco militare israeliano. (Foto: via ActiveStills.org)

Riuscite a immaginare nel periodo di massimo splendore dell’apartheid in Sud Africa, un movimento politico o un giornale che sarebbe stato considerato liberale e lodato in tutto il mondo per il suo coraggio, nonostante esprimesse il proprio sostegno al sistema stesso dell’apartheid? Riuscite a immaginare cosa sarebbe successo se la spinta del movimento anti-apartheid in Africa si fosse basata sull’idea che l’apartheid stesso va bene, ma alcune delle sue politiche atroci sono inaccettabili? L’apartheid sarebbe mai finito se questo fosse stato il succo dell’opposizione ad esso? La risposta è ovvia: solo coloro che si sono opposti fino in fondo all’apartheid hanno contribuito alla sua caduta.

Nel caso di Israele, sembra che anche i gruppi e gli attivisti filo-palestinesi non comprendano appieno l’elasticità del sionismo liberale e il suo ruolo nel fornire uno scudo di immunità allo stesso regime sionista. Un esempio calzante è il giornale Haaretz, del tutto fedele all’ideologia sionista e parte del progetto coloniale di insediamento fin dal suo inizio e che, tuttavia, è lodato in tutto il mondo. I suoi articoli sono usati come la prova più autentica e veritiera di ciò che accade, in particolare, nei territori occupati (i giornale è più cauto quando si tratta dell’apartheid più sofisticato esercitato contro gli arabi del ’48, i cittadini palestinesi di Israele).

Non è che non ci siano fonti alternative ad Haaretz; vi sono, tra le altre, le sei organizzazioni per i diritti umani che Israele, con il consenso americano, ha dichiarato organizzazioni terroristiche (MERETZ, l’unico partito sionista liberale alla Knesset, con cui si identifica giustamente Haaretz, in un primo momento si è opposto alla mossa, poi ha avuto un breve incontro con il capo di Shaback [il servizio di sicurezza Shin Bet], e da allora non ha pronunciato una parola. L’ultima condanna da parte del giornale e del partito della mossa contro le 6 organizzazioni risale al 23 ottobre 2021, e da allora silenzio assoluto).

Una recente critica, accompagnata da apprezzamenti, sull’uso del termine apartheid da parte di Betzelm (B’Tselem) ha mostrato che la differenza tra i rapporti delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani e quelli della sinistra sionista sta nella contestualizzazione dei fatti all’interno di una più ampia discussione ideologica e morale. Queste organizzazioni palestinesi possono fornire informazioni simili, come fanno Haaretz, Betzelm o Human Rights Watch sulle politiche abusive israeliane ma, a differenza dalle altre fonti, contestualizzano il loro rapporto con una profonda comprensione della natura distruttiva del sionismo e dello stato coloniale di Israele.

Anche la peggiore atrocità può essere tollerata e spiegata, se è decontestualizzata –cioè non è legata a un’ideologia– e, quindi, i punti discreti della criminalità israeliana non sono collegati tra loro per fornire il quadro completo e veritiero del reale intento del progetto di insediamento coloniale del sionismo che non finirà finché non sarà fermato: ovvero eliminare i palestinesi e la Palestina. Sono sicuro che tutti comprendiamo che l’eliminazione può assumere più di una forma: potrebbe essere genocidio, potrebbe essere pulizia etnica incrementale, assedi, chiusure, blocchi e fame, nonché la cancellazione del patrimonio, della storia e della cultura palestinesi. Può svolgersi in operazioni drammatiche o su base quotidiana e può essere diretta all’individuo o alla società nel suo insieme.

La necessità di appropriarsi e anche regolare le critiche a Israele è il principale progetto del sionismo liberale –a volte indicato come la sinistra israeliana– e il suo principale portavoce è Haaretz. Il giornale è anche collegato a una ONG chiamata Akevot (impronte) e al suo storico capo, Adam Raz, che trasmette con orgoglio il suo sionismo. Di tanto in tanto, Raz condivide con i lettori nuove prove sui massacri o sugli abusi del 1948 contro gli arabi del ’48 sotto il governo militare. Pubblica anche libri in ebraico sull’argomento ed è l’editore del portavoce del Berl Katzanelson Fund, Telem (Katzanelson era il principale ideologo del movimento sionista laburista, che sosteneva apertamente e senza sosta la pulizia etnica dei palestinesi dagli anni ’30). Per fortuna, il suo metodo manipolativo è stato recentemente esposto da uno degli ultimi storici israeliani rimasti con una solida spina dorsale morale, Rona Sela, nel Jerusalem Quarterly.

I palestinesi, e coloro che sostengono la lotta, traggono beneficio dalla divulgazione del materiale documentario; sarebbe molto meglio potervi accedere da soli, cosa che non potremo fare. Coloro che gestiscono gli archivi, così come Haaretz, capiscono che agli storici sionisti liberali si può affidare questo materiale dannoso. Il sionismo liberale è sempre stato ossessionato dal trovare l’equilibrio tra un alto fondamento morale e il desiderio di dipingere Israele come uno Stato civile che sbaglia qua e là (che di solito significa uccidere i palestinesi nel corso della storia). Il messaggio è chiaro: nessuno di questi errori, anche se sono crimini di guerra o crimini contro l’umanità, come ammette il sionista liberale, dovrebbe mettere in dubbio il sionismo, o l’idea stessa della legittimità di Israele a rimanere uno Stato ebreo razzista ed etnico nel cuore del mondo arabo.

Quando si tratta della verità, i palestinesi non hanno nulla da perdere. Anche senza i rapporti di Haaretz sugli abusi presenti o passati contro i palestinesi, ci sono abbastanza fonti, incluso questa pubblicazione particolare, che dicono al mondo ciò che deve sapere sul passato e sul presente della Palestina. Queste altre fonti contengono ampie informazioni per chiunque sia interessato a fornire una posizione istruita e morale sulla Nakba in corso in Palestina.

Allora perché io e molti altri usiamo ancora Haaretz come fonte? La ragione principale è che, sfortunatamente, sentiamo, forse a torto, che abbiamo ancora bisogno di legittimare o, piuttosto, “kosherizzare” le verità fondamentali sulla Palestina attraverso fonti israeliane e sioniste. Come “nuovo storico” in Israele, ho compreso appieno il disagio iniziale con cui i nostri lavori sono stati accolti dagli studiosi palestinesi che avevano già lavorato sull’argomento.

I “nuovi storici” hanno contribuito alla legittimazione della narrativa palestinese; ma è scandaloso che avesse bisogno di essere legittimata. Ho affrontato personalmente questo dilemma e mi sono liberato del riferimento al “nuovo storico” e, invece di essere un legittimatore, mi vedo come uno storico professionista della Palestina, totalmente impegnato nella lotta –uno che contribuisce, piuttosto che integrare– alla solidificazione della narrativa palestinese; una narrazione che è ancora negata in troppi punti, come lo è tutta la Nakba.

Tuttavia, è tempo di chiarire e focalizzare la nostra strategia, almeno come studiosi e attivisti, in un momento in cui le élite politiche globali – con una manciata di eccezioni – usano ancora l’aspetto sionista liberale della vita in Israele per giustificare il loro sostegno incondizionato allo Stato di apartheid di Israele. Sono consapevole che stiamo tutti aspettando con impazienza, e spero che ciò avverrà presto, una leadership collettiva palestinese rinata e unita per portarci avanti nella lotta di liberazione, sia come palestinesi che come loro sostenitori. Nel frattempo, un linguaggio lucido e accurato che includa una chiara definizione del sionismo con tutte le sue allusioni più ingannevoli è importante quanto qualsiasi altro aspetto della lotta per la giustizia e la libertà in Palestina.

Possiamo esigere dai nostri amici sionisti liberali che facciano il possibile per raggiungere l’antisionismo, così come abbiamo chiesto chiare posizioni morali anti-apartheid dai nostri amici bianchi nel Sudafrica dell’apartheid. Non c’è colonialismo progressista, pulizia etnica liberale o occupazione illuminata. Queste sono tutte forme di disumanità a cui dovremmo opporci in nome dell’umanità.

Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È l’autore di The Ethnic Cleansing of Palestine, The Modern Middle East, A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples e Ten Myths about Israel. Pappé è descritto come uno dei “Nuovi storici” di Israele che, dopo il rilascio di documenti pertinenti del governo britannico e israeliano nei primi anni ’80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

.

2 commenti su “A proposito di Haaretz: il colonialismo di insediamento può essere liberale e l’apartheid essere progressista?”

  1. Concordo in toto con quanto scrive Pappé, che ha dato l’esempio andandosene da Israele. Trovo invece pavida e inopportuna l’avvertenza redazionale.

    Risposta redazionale: Non crediamo proprio che si tratti di pavidità, possono esserci differenti visioni sulla strategia da adottare e sulle analisi. L’articolazione fa bene, vista la complessità della situazione.

    Rispondi
  2. Nel Guardian on line di domenica 19 è stato recensito ‘Lo Stato di Israele contro gli ebrei’, di Sylvain Cypel, ebreo francese, il quale definisce Israele ‘una piccola, violenta, razzista superpotenza’. Il recensore osserva che le denunce di Cypel hanno particolare forza perché le sue fonti sono quasi tutte israeliane: giornalisti, intellettuali, attivisti. E questo, secondo il recensore, dimostra la persistente vitalità della democrazia israeliana. Che è esattamente quello che Pappé e Cypel contestano. Di mio aggiungo che nelle cronache progressiste non si parla del fatto che la colonizzazione è affidata preferibilmente ad ebrei ortodossi americani, i più violenti e islamofobi, con assoluta esclusione degli arabi israeliani. Che è un dato molto significativo ma per niente ricordato dall’informazione democratica.

    Rispondi

Lascia un commento