Perché il governo israeliano ha paura di sei ong palestinesi

Articolo pubblicato: Internazionale – Notizie dall’Italia e dal mondo

scritto da: Catherine Cornet, giornalista e ricercatrice

10  novembre 2021

Una casa distrutta dai bombardamenti israeliani nel campo profughi di Rafah, nel nord della Striscia di Gaza, 25 luglio 2014. (Eyad Baba, Ap/LaPresse)

Il 24 ottobre il ministro della difesa israeliano, Benny Gantz, ha accusato sei ong palestinesi di essere organizzazioni terroristiche. 

Si tratta di Al Haq, la più autorevole associazione palestinese per i diritti umani, fondata quarant’anni fa dall’avvocato Raja Shehadeh, a cui la New York Review of Books dà la parola in un lungo articolo questa settimana; Adameer, che assiste i prigionieri politici palestinesi, documentando i casi di tortura; e poi Defense for children international-Palestine, Union of agricultural workers, Bisan center for research and development e Union of palestinian women committees, che si occupano di protezione dei bambini, di agricoltura in Cisgiordania e di diritti delle donne. 

Tutte sono accusate di avere legami segreti con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) considerato un’organizzazione terroristica da Israele, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. Il ministro, tuttavia, non ha fornito prove a sostegno dell’accusa, perché si tratterebbe di “informazioni riservate”. 

Le reazioni
La decisione è stata condannata all’unanimità dalle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani: Amnesty international e Human rights watchhanno scritto in una dichiarazione comune che la decisione sancisce “il fallimento decennale della comunità internazionale nel contestare le gravi violazioni dei diritti umani israeliane e nell’imporre conseguenze significative. Questo incoraggia le autorità israeliane ad agire in questo modo sfacciato”. 

L’alta commissaria dell’Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha ricordato che le ong “sono tra le più rispettate organizzazioni umanitarie e per i diritti umani attive nei territori palestinesi occupati e lavorano da decenni con le Nazioni Unite”. 

Davanti all’assurdità della decisione, le sei organizzazioni non hanno mostrato sorpresa. In una web conference Shawan Jarbari, direttore generale di Al Haq, ha spiegato: “Riceviamo minacce da decenni, e siamo ostacolati nel nostro lavoro in tutti i modi”. Questa mossa è quindi da considerare come “la conferma che il nostro lavoro sta avendo un forte impatto”. Una dimostrazione, secondo Jarbari, “dell’importanza dei fatti”. 

L’inchiesta della Corte penale internazionale
Secondo Jarbari i fatti che aiutano a capire la tempistica di questa decisione del governo israeliano sono da ricercare nella collaborazione di Al Haq con la Corte penale internazionale (Cpi), che l’anno scorso ha deciso di estendere la sua giurisdizione a Israele e ai Territori occupati. 

L’organizzazione palestinese sta raccogliendo prove per le inchieste della corte, che documentano potenziali crimini di guerra commessi da Israele durante la guerra di Gaza nel 2014 e sono state trasferite alla corte dell’Aja il 20 settembre 2021. Nel 2014 Benny Gantz era comandante in capo dell’esercito israeliano e in quanto tale – se le prove raccolte da Al Haq fossero sufficienti – potrebbe essere accusato di crimini di guerra dalla Cpi. 

Analogamente, Defense for children rappresenta presso la Cpi i bambini palestinesi vittime della guerra e nel marzo del 2020 ha presentato delle prove per l’inchiesta. Ha anche contribuito a raccogliere documenti che sono stati usati per la stesura di diverse leggi presentate al congresso statunitense, come la H.R. 2590, che mira a impedire alle autorità israeliane di usare fondi americani per demolire case palestinesi o detenere minorenni. 

La persecuzione di queste organizzazioni potrebbe così confermare l’importanza della giustizia internazionale, visto che Israele sta mostrando di temerla. 

Per una parte dell’opposizione israeliana, come spiega il quotidiano israeliano Haaretz in un editoriale del 24 ottobre, la decisione costituisce “una macchia su Israele”. Cancellando la “distinzione tra lotta legittima e illegittima”, dà un segno deleterio alle giovani generazioni palestinesi: se accusa di terrorismo chi ha scelto la lotta pacifica e per la giustizia, non rimane nei fatti nessun altro modo non violento per contestare le violazioni dell’occupazione. La decisione potrebbe riguardare anche le organizzazioni per i diritti umani israeliane che difendono i diritti dei palestinesi e collaborano da anni con queste ong. 

Ultimo test per Biden e l’Ue
A livello internazionale, questa decisione rappresenta un importante test per l’amministrazione Biden, da un lato, e per la politica estera dell’Unione europea, dall’altro. 

Il presidente statunitense Joe Biden ha puntato la sua campagna elettorale sul ritorno americano nel campo dei diritti umani, promettendo che “saranno al centro della politica estera”. Il dipartimento di stato affermava anche, all’inizio del primo semestre di presidenza, che gli Stati Uniti sono “impegnati ad assicurare un mondo in cui i diritti umani saranno protetti, i loro difensori celebrati e coloro che commettono violazioni dei diritti umani ritenuti responsabili”. 

La difesa di queste organizzazioni palestinesi è un elemento importante per capire se Biden cambierà nei fatti la politica di Donald Trump. 

I paesi dell’Unione europea che finanziano le sei organizzazioni per i diritti umani ricevono forti pressioni da decenni. Nel maggio del 2021 i Paesi Bassi e il Belgio hanno ricevuto dei dossier dello Shin bet, i servizi segreti israeliani, che accusavano le organizzazioni. Entrambi i paesi sono stati chiarissimi nella loro risposta. La ministra belga per la cooperazione e lo sviluppo, Meryame Kitir, durante un’interrogazione parlamentare il 14 luglio 2021 ha affermato che le prove presentate non erano sufficienti. 

Anche l’ex ministra degli esteri olandese Sigrid Kaag, il cui paese finanzia tre delle sei organizzazioni, ha confermato che gli elementi forniti da Israele erano statiesaminati dal ministero degli esteri e non erano state trovate “prove concrete di legami tra queste organizzazioni e l’Fplp”. 

Secondo un’inchiesta condotta dal sito +972 e da The Intercept, che hanno avuto accesso ai dossier dello Shin bet, le accuse sono il frutto degli interrogatori di due contabili palestinesi che non hanno mai lavorato con queste organizzazioni e non possono quindi essere considerate attendibili. 

Davanti al rifiuto dei paesi europei di sospendere i loro finanziamenti, Gantz avrebbe così dichiarato le organizzazioni “terroristiche” per bloccarli in via definitiva, dato che l’Fplp è anche nella lista delle organizzazioni terroristiche dei paesi europei. 

L’8 novembre la decisione israeliana è stata estesa non solo al territorio israeliano ma anche alla Cisgiordania: questo significa che i dipendenti delle ong sono in pericolo e rischiano l’arresto. 

A tutto questo si aggiunge la notizia, rivelata lo stesso giorno dal Washington Poste dall’associazione israeliana Breaking the silence, che da due anni l’esercito israeliano conduce un programma di sorveglianza nella Cisgiordania occupata per monitorare attivisti e difensori dei diritti umani palestinesi usando il riconoscimento facciale e una rete di telecamere e smartphone. Davanti a queste gravi violazioni dei diritti umani, l’Unione europea dovrà fare di più che rilasciare tiepide dichiarazioni sul suo sostegno agli “sforzi di pace e di fiducia tra israeliani e palestinesi”.

Lascia un commento