da Al-Haq,
Al-Haq Advocacy, 08 Novembre 2021.
Dopo la designazione israeliana di sei delle principali organizzazioni della società civile palestinese (Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, Al-Haq Law in the Service of Man (Al-Haq), Bisan Center for Research and Development, Defense for Children International-Palestine, Union of Agricultural Work Committees e Union of Palestine Women’s Committees) come “organizzazioni terroristiche”, nel tentativo di delegittimare la loro immagine e di isolarle dai loro partner e dalle reti di solidarietà, Front Line Defenders (FLD) ha rivelato oggi che c’è stata una sistematica campagna clandestina di infiltrazione nei dispositivi dei difensori dei diritti umani e degli avvocati palestinesi attraverso uno spyware.
Una tale azione di intrusione e controllo dei dispositivi non solo viola il diritto alla privacy dei difensori dei diritti umani e degli avvocati, ma anche di altre innumerevoli vittime, che hanno comunicato con loro.
Le sei organizzazioni condannano fermamente le rivelazioni arbitrarie, oppressive e preoccupanti relative a questa operazione di spionaggio informatico di massa e chiedono una risposta ferma, che includa azioni concrete, da parte della comunità internazionale.
I difensori dei diritti umani palestinesi spiati tramite lo spyware Pegasus
Il 16 ottobre 2021, Al-Haq ha contattato Front Line Defenders (FLD) a causa di una sospetta infezione da spywarenel dispositivo iPhone di uno dei suoi membri del personale. L’indagine tecnica di FLD ha rivelato che il dispositivo era stato infettato nel luglio 2020 dallo spyware Pegasus, commercializzato dal gruppo israeliano NSO. Ulteriori indagini forensi condotte da Citizen Lab e dal Security Lab di Amnesty International su 75 dispositivi iPhone appartenenti a difensori dei diritti umani palestinesi che lavorano presso organizzazioni della società civile hanno rivelato che sono stati spiati almeno altri cinque dispositivi. Tra questi, i telefoni di Ghassan Halaika, ricercatore presso Al-Haq basato a Gerusalemme, Ubai Al-Aboudi, Direttore Esecutivo del Bisan Center for Research and Development, e Salah Hammouri, avvocato e difensore dei diritti umani.
“Quando Pegasus viene installato sul telefono di una persona, l’hacker ha accesso completo a messaggi, e-mail, contenuti multimediali, microfono, fotocamera, password, chiamate vocali su applicazioni di messaggistica, dati sulla posizione, chiamate e contatti del telefono. Lo spyware permette inoltre di attivare la fotocamera e il microfono del telefono e di spiare le chiamate e le attività di un individuo”. (FLD, 8 novembre 2021).
L’indagine congiunta di FLD, Citizen Lab e del Security Lab di Amnesty International ha confermato che con tutta probabilità l’infezione proviene dallo spyware Pegasus, di proprietà della Piattaforma Pegasus, con sede in Israele, che è stato utilizzato come strumento di spionaggio di massa per colpire e facilitare la repressione sistematica di attivisti per i diritti umani, avvocati, giornalisti e personaggi politici, come rivelato dal Progetto Pegasus, che ha analizzato più di 50.000 numeri di telefono nel luglio 2021. Dopo le feroci rivelazioni fatte dal Progetto Pegasus, il Gruppo NSO ha ironicamente affermato che l’utilizzo dello spyware Pegasus era riservato all’intelligence governativa e alle forze dell’ordine per scopi di lotta al terrorismo e alla criminalità.
Lo scorso 3 novembre, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato l’inserimento del gruppo NSOnella sua “entity list“, vietandone di fatto l’attività, e ha dichiarato che “questi strumenti hanno anche consentito ai governi stranieri di condurre forme di repressione transnazionale [e che] tali pratiche minacciano l’ordine internazionale basato sul diritto”. In particolare, nel caso di Ubai Al-Aboudi e Salah Hammouri, l’azienda ha violato gli accordi con gli Stati Uniti e la Francia per non sorvegliare i loro cittadini.
Il nostro spazio viene ridotto, il nostro diritto alla privacy viene violato
Il 19 ottobre, il Ministro della Difesa israeliano ha designato sei organizzazioni della società civile palestinese come “organizzazioni terroristiche” ai sensi della legge israeliana contro il terrorismo 5776-2016. Due settimane dopo, il 3 novembre, il comandante militare israeliano in Cisgiordania ha emesso cinque ordini militari separati che dichiarano “illegali” le organizzazioni ai sensi delle Defence (Emergency) Regulations del 1945, che la Gran Bretagna aveva abrogato poco prima della fine del suo mandato e che Israele ha illegalmente ripristinato per consentire numerosi atti persecutori contro la popolazione palestinese protetta[1].
Questo annuncio mette al bando il cruciale lavoro svolto dalle organizzazioni palestinesi e le pone a rischio imminente di chiusura forzata, oltre ad esporre i loro dipendenti al rischio di arresto e detenzione arbitraria. Inoltre, rappresenta un tentativo allarmante di criminalizzare e minare i loro sforzi per promuovere la realizzazione dei diritti umani del popolo palestinese e per accertare e perseguire le responsabilità giuridiche attraverso meccanismi internazionali. Inoltre, la designazione scredita o il loro essenziale lavoro, le isola dalla comunità internazionale e le priva delle loro fonti di finanziamento. In pratica, le designazioni contro le organizzazioni palestinesi autorizzano Israele a chiudere i loro uffici, sequestrare i loro beni, compresi i conti bancari, e arrestare e detenere il loro staff.
Le tempistiche praticamente identiche dell’indagine di FLD e delle designazioni israeliane sono preoccupanti. Le designazioni a carico delle organizzazioni della società civile da parte del Ministro della Difesa israeliano, emanate solo pochi giorni dopo l’inizio di questa indagine, potrebbero nascondere un tentativo di occultare preventivamente le prove dello spionaggio informatico.
La sorveglianza sistematica dei difensori dei diritti umani palestinesi si aggiunge a un già inaccettabile e infinito elenco di azioni coordinate, guidate da organismi governativi israeliani e dai loro affiliati, per fomentare campagne di diffamazione, intimidazione e persecuzione sistematiche e organizzate contro la società civile palestinese. Negli ultimi decenni, tali tecniche hanno incluso campagne di diffamazione volte a etichettare i difensori dei diritti umani come “terroristi”, incitamento all’odio e alla violenza razziale, arresti arbitrari, tortura e maltrattamenti, minacce di morte, divieto di viaggiare, revoca della residenza e deportazioni.
Nel febbraio 2019, Al-Haq ha presentato un rapporto sull’industria della sorveglianza israeliana allo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione. Attingendo al sistema di sorveglianza utilizzato nel caso del muro dell’apartheid gestito da Elbit, e al progetto Mabat 2000 per la sorveglianza nella Città Vecchia di Gerusalemme, il rapporto ha gettato luce sulle interrelazioni tra l’esercito israeliano e l’industria di sorveglianza privata israeliana. Ha inoltre affrontato l’uso allarmante dello spyware Pegasus per silenziare i difensori dei diritti umani in vari Paesi, tra cui Bahrain, Kazakistan, Messico, Marocco, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
La persecuzione dei difensori dei diritti umani, un principio dell’apartheid israeliano
In quanto Stato parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), Israele ha l’obbligo – ai sensi dell’articolo 19 del Patto – di proteggere i diritti di tutti alla privacy, all’opinione e all’espressione e il diritto di tutti di avere opinioni senza interferenze e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere e attraverso qualsiasi mezzo. Il diritto alla libertà di opinione e di espressione è garantito anche dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 5 della Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
Inoltre, l’articolo 17, paragrafo 1, dell’ICCPR prevede che “nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza”. In termini di sorveglianza, la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha chiarito che “gli attacchi contro una persona a causa dell’esercizio del suo diritto alla libertà di espressione non possono essere giustificati dall’articolo 19 (3)” e ha sottolineato l’importanza di proteggere “persone che si sono impegnate nella raccolta e nell’analisi di informazioni sulla situazione dei diritti umani e che hanno pubblicato rapporti relativi ai diritti umani, compresi giudici e avvocati”.[2] Inoltre, l’obbligo degli Stati di proteggere i difensori dei diritti umani, tra le altre cose, dall’interferenza di terzi, è previsto dall’articolo 2 dell’ICCPR, che impone agli Stati l’obbligo di rispettare e garantire a tutti gli individui all’interno del loro territorio e soggetti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel Patto, mentre l’articolo II (c) della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione e la Repressione del Crimine di Apartheid proibisce l’apartheid, che definisce un crimine e stabilisce che “Adottare misure, legislative o d’altro genere, destinate ad impedire ad uno o più gruppi razziali di partecipare alla vita politica, sociale, economica e culturale del paese…in particolare col privare i membri di uno o più gruppi razziali delle libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo, in specie…. del diritto alla libertà di opinione e di espressione e del diritto alla libertà di riunione e di associazione politiche”.
Anche le aziende private sono tenute a rispettare dei diritti umani. I Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani codificano i doveri degli Stati di proteggere e la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani nello svolgimento delle attività aziendali. In particolare, le imprese commerciali devono attuare “politiche e processi adeguati alle loro dimensioni e circostanze, tra cui: (b) un processo di due diligence sui diritti umani che permetta di identificare, prevenire e mitigare i propri impatti negativi sui diritti umani “, come da Principio 15. In tal senso, secondo i Principi da 17 a 21, la due diligence sui diritti umani richiede che l’azienda effettui valutazioni di impatto sui diritti umani adeguate e regolari, e che esse siano indicate ed integrate nel codice di condotta dell’azienda. Nelle aree in cui ci sono conflitti armati, questo requisito di due diligence è rafforzato. Israele, di conseguenza, ha la responsabilità di impedire a società come la Pegasus, registrata nella sua giurisdizione, di commettere gravi violazioni dei diritti umani tramite le azioni di sorveglianza dei difensori dei diritti umani palestinesi, nel territorio occupato.
#StandWithTheSix, prima che diventino centinaia
Desta grande preoccupazione il fatto che, a due settimane dalla sinistra designazione di sei organizzazioni della società civile palestinese come “organizzazioni terroristiche”, almeno sei difensori dei diritti umani palestinesi siano stati violati nelle loro libertà fondamentali da pratiche di spionaggio informatico che hanno invaso in tutti gli aspetti della loro vita privata e professionale, e della vita di tutte le vittime che proteggono e supportano, oltre che le innumerevoli comunicazioni con funzionari, giornalisti, avvocati e colleghi internazionali e nazionali. Quest’ultima rivelazione mostra, ancora una volta, la portata dell’incapacità di Israele di regolamentare la gigantesca industria di sorveglianza e spionaggio presente sul suo territorio, consentendo a una compagnia di spionaggio privata, che viola i diritti umani, di operare impunemente. Tale impunità è una questione globale dei diritti umani che richiede una risposta globale concertata da parte della comunità internazionale nel suo insieme.
Alla luce della gravità senza precedenti causata dalla intrusione di Pegasus Spyware a tutti i livelli nello spazio e nella privacy dei difensori dei diritti umani palestinesi, le sei organizzazioni esortano la comunità internazionale a fornire protezione immediata a tutte le vittime identificate di questa azione di spionaggio informatico e a sollecitare l’immediata cessazione di qualsiasi infiltrazione in corso tramite spyware.
Esortiamo inoltre la comunità internazionale a intraprendere azioni immediate per portare Israele, lo Stato dove ha sede lo spyware Pegasus, a conformarsi ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale, in particolare:
• Richiedere un’immediata moratoria sulla vendita, il trasferimento e l’uso di tutte le forme di tecnologia di sorveglianza, in particolare dello spyware Pegasus di NSO Group, fino a quando l’ONU non effettui un’indagine indipendente completa sulle sue operazioni in Palestina, al fine di identificare la portata e l’ambito delle attività di sorveglianza da essa svolte contro i difensori dei diritti umani palestinesi, e i suoi legami con il governo israeliano;
• Richiedere un audit completo delle società israeliane che producono apparecchiature di sorveglianza e definire i loro collegamenti con gli organi governativi israeliani, nonché il loro coinvolgimento nelle violazioni dei diritti umani in Palestina e nel mondo; e
• Richiedere la stesura e l’attuazione di un rigoroso quadro normativo per prevenire, mitigare e correggere gli impatti sui diritti umani del settore della sorveglianza e garantire la loro aderenza e conformità con il diritto internazionale sui diritti umani, in particolare con il principio della due diligence sui diritti umani sancito nei Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.
Le sei organizzazioni esortano:
• L’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a riferire sulle società di sorveglianza di massa che operano negli insediamenti israeliani nel territorio palestinese occupato e ad includerle nel Database delle Nazioni Unite sulle attività commerciali;
• Tutti gli Stati a congelare immediatamente i loro accordi commerciali su armi e apparecchiature di sorveglianza con Israele e a chiedere che Israele riferisca sui suoi legami con la sua industria di sorveglianza interna;
• L’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale ad includere lo spionaggio dei difensori dei diritti umani palestinesi nella sua attuale indagine sulla situazione nello Stato di Palestina, come mezzo di persecuzione di quei difensori che si oppongono al suo regime di apartheid; e
• I difensori dei diritti umani e i membri della società civile ad adottare misure per far emergere eventuali operazioni di spyware simili a livello globale e per individuarne i responsabili.
[1] S. Darcy, ‘Punitive House Demolitions, the Prohibition of Collective Punishment, and the Supreme Court of Israel’ 21 Penn State International Law Review (2002-2003) 477, 481.
[2] A/HRC/41/35, “Surveillance and human rights Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression” (28 May 2019) para 26, available at: “https://citizenlab.ca/wp-content/uploads/2019/06/Special-Rapporteur-report-Surveillance-and-human-rights.pdf”