La Dichiarazione Balfour e Edimburgo: è ora che l’università faccia ammenda?

Nicola Perugini, The National, 31 ottobre 2021

https://www.thenational.scot/politics/19684185.balfour-declaration-edinburgh-time-university-made-amends/?ref=twtrec&fbclid=IwAR1g6L_Gt_tHxXnPQZXUh2AxBtlu6eRAVSDy3d1iFiq3rOXBM0cFyRxGMiw

L’8 luglio 1903, presso l’Hotel Cecil sull’argine del Tamigi a Londra, ebbe luogo la prima Conferenza dell’Università Coloniale Alleata. Lo sviluppo della produzione di conoscenza e delle reti universitarie aveva lo scopo di favorire il dominio imperiale britannico. 

Uno dei principali artefici di questa svolta imperiale all’accademia fu Arthur James Balfour, all’epoca primo ministro del Regno Unito e anche rettore dell’Università di Edimburgo. Balfour era stato nominato alla carica di Edimburgo nel 1891 e alla fine mantenne la carica fino al 1930, il più lungo cancellierato nella storia dell’università. 

All’Hotel Cecil, Balfour presiedette la cena congressuale a cui parteciparono delegati di università, direttori di college e “uomini di spicco nel lavoro educativo e scientifico”. 

Dopo i consueti brindisi, Balfour pronunciò un discorso in cui celebrava la fondazione della nuova alleanza accademica britannico-coloniale e spiegava perché questo fosse stato un notevole risultato politico: “Non è solo, o semplicemente, o principalmente che ci sono qui in questa sala rappresentanti dell’erudizione, della scienza, di tutte le grandi sfere di attività in cui si dispiega il pensiero moderno. È che qui rappresentiamo quella che si rivelerà, credo, una grande alleanza dei più grandi strumenti educativi dell’Impero, un’alleanza di tutte le università che, in misura crescente, sentono le proprie responsabilità, non solo per la formazione della gioventù destinata a portare avanti le tradizioni dell’Impero Britannico, ma anche per favorire quei grandi interessi di conoscenza, ricerca scientifica e cultura senza i quali nessun Impero, per quanto materialmente magnifico, può davvero dire di condividere nel progresso del mondo”.

Nella mente di Balfour, la nuova alleanza accademica era uno strumento cruciale per cementare il dominio globale della Gran Bretagna. Ma era anche uno strumento chiave per affermare il senso di un’unità anglosassone razzializzata: “Noi vantiamo una comunità di sangue, di lingua, di leggi, di letteratura”, esclamava l’estatico Cancelliere-Primo Ministro alla cena della conferenza. 

Dopo aver terminato il suo incarico di primo ministro nel 1905, Balfour si ritirò per quasi un decennio dalla scena centrale della politica estera imperiale, prima di tornare nel 1916 come ministro degli esteri. Ma in quei 10 anni, il rettore dell’Università di Edimburgo continuò a costruire lo spazio accademico britannico come un progetto imperiale. 

Nel 1912, forse anche a causa del suo crescente interesse per “l’Oriente”, a Balfour fu chiesto di presiedere una sessione del Secondo Congresso delle Università dell’Impero sul Problema delle Università in Oriente riguardo alla loro Influenza sul Carattere e sugli Ideali Morali. 

Nel suo discorso di apertura sottolineò come nelle università occidentali vi fosse stato un “reciproco adattamento” tra sapere scientifico e tradizioni socio-culturali, mentre nelle università orientali scienza e costumi sociali erano su di una rotta di “collisione”. 

Questa idea di un’incompatibilità intrinseca tra le tradizioni orientali e la scienza era fondata su un concetto di disuguaglianze razziali naturali che Balfour aveva articolato abbastanza chiaramente alcuni anni prima, nel suo libro On Decadence. 

In questo libro, Balfour aveva teorizzato che la storia orientale fosse dominata da una monotonia di dispotismo e da un’incapacità di autogoverno, e come “qualsiasi tentativo di fornire a razze ampiamente diverse un identico […] [ambiente] educativo non potrà mai renderle simili.”

“Sono stati diversi e diseguali dall’inizio della storia; diversi e diseguali sono destinati a rimanere”. 

QUESTO tipo di pensiero razziale ha plasmato la creazione del mondo imperiale di Balfour sia come statista sia come uomo di scienza e del mondo accademico. Questa visione razziale dell’ordine globale costituì la spina dorsale della Dichiarazione Balfour del 1917, che creò un nuovo quadro giuridico imperiale in Medio Oriente. 

La Dichiarazione, emessa il 2 novembre, approvava la creazione di un focolare nazionale di insediamento territoriale per il popolo ebraico in Palestina, negando ai palestinesi i loro diritti nazionali e offrendo loro solo diritti civili e religiosi. In definitiva, e in linea con i suoi scritti, i palestinesi erano orientali incapaci di autogovernarsi o di raggiungere l’autodeterminazione. 

Balfour scrisse e firmò la Dichiarazione prima di visitare la Palestina. La sua prima visita avvenne, infatti, nel 1925, quando inaugurò l’Università Ebraica di Gerusalemme ammantato con le vesti di Edimburgo e Cambridge (dove era diventato cancelliere nel 1919). Ospite del movimento sionista, visitò le prime “colonie ebraiche” stabilite in Palestina, tra cui Balfouria, insediamento a lui dedicato dalla leadership sionista. 

Nel suo discorso di inaugurazione sul Monte Scopus, Balfour celebrò l’Università Ebraica come un esperimento di adattamento dei “metodi occidentali” (scienza e teorie ebraiche) a un sito asiatico e come un’istituzione capace di rigenerare una Palestina stagnante. 

Lo statista Balfour sposò la narrativa sionista sulla necessità di rigenerare l’arida Palestina anche quando indossò i panni di Balfour, il cancelliere di Edimburgo. 

Come Chaim Weizmann – che aveva giocato un ruolo decisivo nel convincere Balfour a emanare la Dichiarazione del 1917 e lo aveva invitato a tenere il discorso di inaugurazione nel 1925 – ha chiarito nel suo Trial And Error, l’Università Ebraica era “l’adempimento del mio particolare sogno dei primi giorni del movimento” e uno strumento cruciale per l’affermazione sionista in Palestina. Significativamente, dopo l’inaugurazione, l’Università Ebraica fu inclusa nella rete delle università imperiali alleate che Balfour aveva contribuito a costituire all’inizio del secolo. 

Il legame tra il contributo di Balfour al governo imperiale e il suo contributo allo sviluppo dell’accademia imperiale britannica per qualche ragione è stato completamente cancellato e non appare nella vasta quantità di letteratura e nei dibattiti contemporanei sul suo coinvolgimento negli affari imperiali globali e nella sua famigerata Dichiarazione sulla Palestina.

Ecco perché quest’anno potremmo usare l’anniversario della Dichiarazione di Balfour per riscoprire questo legame e sollevare alcune questioni fondamentali sulla storia imperiale dell’Università di Edimburgo, così come del mondo accademico scozzese e britannico, e la sua rilevanza per il presente. 

COME università che abbracciano formalmente e pubblicamente l’agenda decoloniale e cercano di decolonizzare i curricula e gli spazi accademici: come possiamo decolonizzare la nostra corresponsabilità storica con l’ingiustizia a cui sono stati sottoposti i palestinesi a seguito della dichiarazione imperiale emessa da uno dei nostri cancellieri? 

Perché non riconosciamo pubblicamente che l’uomo nominato per migliorare la nostra reputazione accademica globale per 40 anni, è stato anche un attore politico-intellettuale chiave nella produzione di un ordine imperiale razzializzato che ha espropriato così tanti popoli? 

Quali sarebbero le implicazioni di un simile riconoscimento? 

E poiché la questione della Palestina è ancora viva come questione coloniale che continua a generare violenza e spoliazione, come abbiamo visto anche di recente: come potremmo contribuire, con azioni istituzionali concrete e tangibili, a decolonizzare la Palestina e riparare il nostro intreccio istituzionale con un progetto coloniale di insediamento che continua a negare ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione e a sradicarli dalla loro terra? 

Dopotutto, la Dichiarazione Balfour è stata anche la dichiarazione del nostro cancelliere. 

Questo articolo si basa su una ricerca negli archivi universitari (Centre for Research Collections) con il supporto della Scuola di Scienze Sociali e Politiche e del College of Arts, Humanities and Social Sciences. Nicola Perugini vuole davvero ringraziare l’Università per il supporto e per aver concesso l’accesso ai materiali.

Traduzione di Angelo Stefanini

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