di Ofer Aderet,
Haaretz, 19 settembre 2021.
Erede di una famiglia sionista per antonomasia ed ex membro dello Shin Bet, Yaakov Sharett, 95 anni, è oggi un convinto anti-sionista che incoraggia i suoi concittadini a lasciare Israele
Alla fine di una serie di incontri con Yaakov “Kobi” Sharett, dopo un totale di oltre dieci ore di intervista, sono infine arrivato a fare – con una certa chutzpah (audacia) – la domanda più ovvia. Volevo sapere se fosse sicuro che quando mi aveva detto fino a quel momento fosse il frutto di una mente lucida. Sharett, che ha recentemente raggiunto il 95esimo anno di vita, mi ha sorriso e ha annuito.
Yaakov Sharett, figlio di Moshe Sharett, primo Ministro degli Esteri di Israele e secondo Primo Ministro, non sente alcun bisogno di misurare le parole. Sharett è acuto, incisivo e preciso – e intende inviare ai lettori un messaggio che è duro da digerire.
Il figlio dell’uomo che ha firmato la Dichiarazione di Indipendenza di Israele nel 1948, intende finire i propri giorni come un anti-sionista che si oppone all’aliyah (l’immigrazione ebraica nella terra di Israele), incoraggia l’emigrazione da Israele e prevede giorni oscuri per il paese. È addirittura un sostenitore del programma nucleare Iraniano.
“Lo stato di Israele e l’intero impianto del sionismo è stato concepito nel peccato. Questo è quanto.” dice l’uomo che ha servito nel Palmach prima della nascita dello stato, è stato volontario nella Brigata Ebraica dell’esercito britannico durante la seconda guerra mondiale, è stato tra i fondatori di un kibbutz nel Negev e ha lavorato per lo Shin Bet (il servizio di sicurezza per gli affari interni di Israele) e nel Nativ, l’ufficio di collegamento governativo che coordina l’immigrazione dall’Europa dell’Est. “Questo peccato originale ci perseguita e continuerà a perseguitarci. Noi continuiamo a giustificarlo e così facendo è diventato praticamente una paura esistenziale che si esprime in moltissimi modi. C’è una tempesta in arrivo appena sotto la superficie” mi dice.
“Io ho 94 anni” aggiunge Sharett (l’intervista è stata realizzata prima del suo 95esimo compleanno). “Sono arrivato alla mia età in pace. La mia situazione finanziaria è solida. Ma ho paura per il futuro e per quello che sarà il destino dei miei nipoti e pronipoti.”
Per essere uno che parla da un attico di lusso nel pieno centro di Tel Aviv, lei non mi sembra molto sofferente.
“Mi vedo come un collaboratore contro la mia volontà. Collaboro a forza con uno stato criminale. Sono qui e non posso andare da nessuna parte. A causa della mia età sono bloccato qui. E questo mi turba. Ogni giorno. Questa consapevolezza non mi abbandona. La consapevolezza che alla fine Israele è un paese che occupa e abusa un altro popolo.”
Il gene del ‘Vai, vattene dalla tua terra’
Alcuni degli Sharetts – una famiglia che comprende oltre a Yaakov, la moglie Rina, tre figli, cinque nipoti e otto pronipoti – si sono già trasferiti all’estero, a New York.
Il nonno, Yaakov Shertok – a cui deve il nome e il cui cognome fu poi ebraizzato in “Sharett” – è stato tra i fondatori del movimento Bilu “Palestine pioneers”. Ha raggiunto Israele nel 1882, dopo una serie di pogrom in Russia soprannominati Sufot b’Negev: “Tempesta nel Sud.” Ma qualche anno dopo tornò indietro, “yarad,” dice il nipote, e si fece una famiglia nella diaspora. Moshe Sharett, padre di Yaakov nacque nella città di Kherson, sul Fiume Dnieper, che oggi è parte della Russia e all’epoca si trovava in Ucraina. Poi, nel 1906, con l’esplodere di nuovi pogrom, il nonno e la famiglia ritornarono in Israele – questa volta permanentemente.
Suo padre fece la aliyah all’età 12 anni. Si considerava un Sionista?
“Mio padre fece la aliyah perché suo padre fece la aliyah. Non perché lo volesse lui. È una delle differenze tra Sharett e il gruppo della “Seconda Aliyah” che ha fondato Mapei e il resto del paese. Tutti loro, e Ben-Gurion in testa, erano più vecchi e scelsero l’aliyah di loro spontanea volontà. Ma Sharett non era uno di loro. Non ebbe nessuno sconvolgimento interiore che lo trasformò in un sionista.”
Quando arrivarono, la famiglia si insediò nel villaggio arabo di Ein Senya, a nord di Ramallah. Nei successivi due anni Moshe imparò l’Arabo. Nel 1908 si trasferirono a Tel Aviv, dove assieme alla sorella Rivka, frequentò il primo anno del liceo ebraico Herzliya.
Più tardi, uno dei suoi insegnanti racconterà di quel ragazzo che all’improvviso si alzò in piedi e iniziò a parlare in arabo, così a lungo che “Non credevo che fosse ebreo.”
Le amicizie che i fratelli Sharett strinsero a scuola si trasformarono in una nuova famiglia e nello “Yishuv” (la comunità ebraica precedente la fondazione di Israele) divennero noti come i “four in-laws”, i “quattro parenti acquisiti”. Tra loro Dov Hoz, uno dei fondatori della Haganah (l’organizzazione paramilitare clandestina attiva prima della creazione di Israele) e pioniere del volo durante il Mandato Britannico in Palestina; Eliyahu Golomb, il comandante de-facto della Haganah e Shaul Avigur – in origine Meirov, fondatore della Haganah e comandante della missione Mossad Le’aliyah Bet, che aveva lo scopo di introdurre clandestinamente ebrei in Palestina e che in seguito divenne capo del Nativ.
Moshe sposò Tzipora Meirov, sorella di Avigur. Hoz sposò Rivka, sorella di Sharett. Golomb sposò Ada, sorella minore di Moshe e Rivka. La casa di famiglia degli Shertok in Rothschild Boulevard fu il quartier generale della Haganah e ospitava gli incontri dei leader del gruppo – guidato dai quattro “in-laws”. Una frase famosa all’epoca attribuiva la rinascita di Israele ai “miracoli e ai parenti acquisiti” (la frase fa rima in Ebraico). Tzipora, moglie di Moshe Sharett e madre di Yaakov, nacque a Kvutzat Kinneret, studiò agraria in Inghilterra, specializzandosi in produzione casearia. Tornata in Israele, diresse i lavoratori del moshav (un insediamento cooperativo di lavoratori) di Nahalat Yehuda, nei pressi di Rishon Letzion.
Dopo la scuola superiore, Moshe Sharett andò a Istanbul, allora capitale di quell’Impero Ottomano che controllava il territorio su cui voleva nascere Israele, per studiare giurisprudenza – proprio come Ben-Gurion e il futuro presidente Yitzhak Ben Zvi – ma nel 1914 lo scoppio della prima guerra mondiale lo costrinse a tornare in Palestina dove divenne attivo nel movimento per l’“Ottomanizzazione” (o Turchizzazione) – che sosteneva che l’unico modo per gli ebrei di Israele di evitare l’espulsione fosse quello di prendere la cittadinanza Ottomana.
Si ritrovò a insegnare Turco nella stessa scuola in cui aveva studiato e in seguito fu addirittura arruolato nell’esercito ottomano. “Mio padre diceva che non erano venuti a cacciare gli Arabi, ma a convivere con loro. Credeva fermamente che ci fosse posto per tutti”, dice Yaakov. Questo approccio, conciliante, ingenuo o ipocrita – ognuno scelga la propria interpretazione – portò Sharett ad essere un eterno “numero 2.” Suo figlio sostiene che oggi il padre sarebbe chiamato con disprezzo un uomo “di sinistra” e magari sarebbe persino accusato di “odiare Israele.”
Negli anni e nei decenni successivi scalò i vertici delle organizzazioni che rappresentavano il cuore del sionismo, fino ad arrivare ad essere scelto come capo del dipartimento diplomatico dell’Agenzia Ebraica. Il suo curriculum include l’aver pianificato la strategia “Torre e Palizzata” (usata dai coloni Ebraici durante il Mandato Britannico per aggirare le limitazioni imposte alla costruzione di nuovi insediamenti); la costruzione del porto di Tel Aviv; la fondazione del Notrim (il corpo di polizia ausiliaria Ebraica) e ovviamente il suo fiore all’occhiello: il progetto di arruolamento volontario nell’esercito Britannico, che culminò con la creazione della Brigata Ebraica durante la seconda guerra mondiale.
Al momento della fondazione di Israele, Sharett venne nominato Ministro degli Esteri; in seguito avrebbe brevemente preso il posto di Ben-Gurion come Primo Ministro.
È difficile dubitare che suo padre fosse un sionista, così come del suo amore per questa terra. Oggi lei ha dei pronipoti a New York. Come pensa che si sentirebbe se lo sapesse?
“Non si può liquidare la yerida (lasciare Israele) come una disgrazia. Praticamente non ci sono israeliani che non abbiano parenti all’estero. Sono felice di avere nipoti e pronipoti a New York.”
“Non mi vergogno di dirlo. Anche Sharett aveva un padre yored (che aveva lasciato Israele). Mio nonno. Se non avesse lasciato Israele io non sarei mai nato, perché la nostra famiglia nacque dopo la sua yerida. Nonostante il falso mantra ‘Io non ho altro paese’ è un dato di fatto che esistono altri paesi. C’è più di uno stato al mondo. Oltre un milione di israeliani vive all’estero. Man mano che le generazioni passano, questo assoluto ideologico sionista si fa sempre più debole. Le persone si rendono conto che esistono posti migliori dove vivere e crescere i propri figli. Dovunque ci sono problemi, la vita stessa è un problema, ma Israele ha problemi esistenziali.”
Nondimeno, non sente di rinunciare a qualcosa? Suo padre firmò la Dichiarazione di Indipendenza eppure lei non vede più Israele come la patria del popolo Ebraico.
“La vita del popolo Ebraico è una tragedia. Il nostro popolo, fin dalle origini, ha dimostrato di non essere particolarmente diligente e di non essere in grado di mantenere uno stato. A causa di ciò, per la maggior parte della sua storia non ha vissuto un’esistenza da nazione, ma un’esistenza da minoranza odiata e perseguitata, senza un’organizzazione globale o un proprio governo. Ne sta pagando il prezzo, ma ha resistito.”
“Uno dei geni del nostro DNA nazionale è il gene del ‘Vai, vattene dalla tua terra’ (Lekh Lekha) la cui origine risale ai tempi di Abramo. Dai giorni del Secondo Tempio, la maggior parte degli ebrei non ha vissuto in Israele. Avevano creato una magnifica comunità sul fiume Tigri e in seguito si erano spostati in Spagna, dove hanno dato origine a una cultura magnifica per oltre un migliaio di anni, da lì poi si sono diffusi dappertutto…”
E poi vennero i pogrom e poi l’Olocausto e molti si convinsero che il “problema ebraico” si poteva risolvere solo in chiave territoriale.
“All’improvviso la gente ha iniziato a dire, ‘Noi sappiamo cosa deve essere fatto’ a nome di tutti e si sono preparati a instillare forzatamente quest’idea nel grande pubblico. Chi vi ha messo [al comando]? Nel momento stesso in cui il sionismo ha invitato gli ebrei a immigrare in Israele per creare uno stato sovrano si è creato un conflitto. L’idea dei sionisti era quella di venire in una terra dove c’erano già delle persone, figlie di un altro popolo, con un’altra religione, completamente diverse.
“Avete mai visto da qualche parte un popolo che sceglie di arrendersi a un invasore straniero che arriva dicendo ‘I nostri antenati vivevano qui’ e in nome di questo chiede di insediarsi e reclama il controllo assoluto? Il conflitto era insito nella sua stessa natura e il sionismo ha scelto di negarlo, di ignorarlo… nel momento in cui la proporzione tra ebrei e arabi è cambiata a favore dei primi, gli arabi hanno capito che avrebbero perso la maggioranza. Chi sarebbe mai d’accordo con una cosa del genere?”
“E così è iniziato il conflitto armato, le rivolte del 1920, 1921, 1929, 1936–1939 e poi una guerra, e un’altra guerra e una guerra ancora. Molti dicono che ‘ci meritiamo’ la terra perché gli Arabi avrebbero semplicemente potuto accettarci e tutto sarebbe andato bene. Ma loro hanno voluto fare la guerra e ora non possono lamentarsi. In tutto questo ciò che vedo io è la trasformazione di una maggioranza (gli arabi) in minoranza e di una minoranza (gli ebrei) in maggioranza e questo è semplicemente immorale.”
Quindi lei sta dicendo che suo padre era immorale e che lo è anche lei – la sua biografia si intreccia con quella del movimento sionista e dello stato di Israele nella sua fase iniziale.
“Se Israele non è OK, nemmeno io sono OK, visto che pago le tasse qui. Per un po’ abbiamo fortemente sperato di aver creato qualcosa di nuovo. Anch’io condividevo questa speranza. Ma ora il sionismo è scomparso, dal mio punto di vista. Tutte le promesse che avevamo fatto sono scomparse. Non mi sento a mio agio. La nostra agenda nazionale è sangue, morte e violenza. Questa è la strada che abbiamo scelto per questo paese. Israele vive con la spada in mano e continua ad affilarla. Io non voglio essere parte di tutto ciò.”
Che cosa è andato storto?
“Il popolo ebraico ha avuto due grandi nemici, Hitler e Stalin, i boia della cultura ebraica, che l’hanno svuotata e distrutta – tanto in Polonia quanto nell’Unione Sovietica. Coloro che progettavano lo stato avevano a cuore prima di tutto la tribù ebraica. L’Olocausto di Hitler e il genocidio spirituale di Stalin hanno cambiato completamente la struttura e il progetto demografico di Israele. Solo dopo aver scoperto che coloro che sarebbero dovuti arrivare non esistevano più, sono arrivati altri ebrei. Non posso sottovalutare questi ultimi. Dal punto di vista di un ebreo, sono ebrei quanto lo siamo tu ed io, ma il loro background è molto diverso. Sono cresciuti in paesi musulmani, in un contesto ultra-religioso e patriarcale, fatto di clan. È stato quel tipo di persone ad arrivare in Israele e il loro arrivo ha cambiato drasticamente la situazione, con gli sconvolgimenti che continuano ancora oggi”
Avrebbe preferito vedere un Israele Ashkenazi, liberale e secolare come lei?
“Parlo francamente perché non ho nulla da nascondere. Ho 94 anni. Più una società è omogenea, più è in salute. Se non lo è, iniziano i problemi. Sono deluso dal fato del popolo ebraico, che ci ha diviso in tribù. Sono anche deluso dal carattere di questo stato. Quando vedo il Primo Ministro con la kippah sulla testa, mi sento male. Non è questo l’Israele che voglio vedere. Com’è successo che questo nuovo mondo, che avrebbe dovuto portarci innovazione, è diventato un luogo tetro e controllato da nazionalisti ultra-ortodossi? Perché, di tutti i posti, il nostro stato è diventato culla di reazionari, di fanatismo, di messianismo, con un desiderio innato di espandersi e di controllare un altro popolo?”
Una trappola per l’emissario
Yaakov Sharett è nato del 1927 da una famiglia con contatti influenti tra la crema dello Yishuv, la comunità ebraica in Palestina. I suoi fratelli sono Yael (che diventerà l’autore Yael Medini), nato nel 1931 e Haim, nato nel 1933. Dopo aver speso i primi 3 anni della sua vita a Tel Aviv si è trasferito con la famiglia a Gerusalemme in seguito a uno scatto di carriera del padre. Ha studiato a Gerusalemme con il geografo David Benbenisti, il filosofo Yeshayahu Leibowitz e il lessicografo Avraham Even Shoshan.
Da ragazzo, Sharett ha frequentato la Colombia University negli Stati Uniti e Oxford in Gran Bretagna. Il suo campo di specializzazione era conosciuto all’epoca come “Sovietologia” e gli diede tra le altre cose un russo fluente, la lingua della madre di suo padre. Lo zio, Shaul Avigur, lo arruolò nel 1960 tra i ranghi di un’unità segreta da lui fondata e guidata, il Nativ, i cui membri entrarono nell’Unione Sovietica con la copertura dello staff dell’Ambasciata Israeliana per aiutare gli ebrei aldilà della Cortina di Ferro.
Sharett fu nominato “primo segretario” dell’Ambasciata Israeliana a Mosca e attraversò l’Unione Sovietica alla ricerca di ebrei che mostrassero interesse verso Israele e il sionismo. La sua permanenza venne interrotta bruscamente un anno dopo, quando fu espulso con l’accusa di spionaggio. Un giorno, durante una visita a Riga, accettò una lettera da parte di una persona che si presentò a lui come ebreo con la richiesta di consegnarla ai suoi parenti in Israele. Si trattò apparentemente di una trappola, come lui stesso la descrisse: “due energumeni mi saltarono addosso, mi sollevarono da terra, senza curarsi del fatto che avessi l’immunità diplomatica.” Quando fu interrogato gli mostrarono la lettera che aveva nascosto nella tasca della sua giacca e quando la aprirono, trovarono la foto di un missile.
“Yaakov Sharett espulso dall’U.R.S.S.” titolarono i giornali il giorno dopo. L’agenzia di stampa sovietica Tass riportò che Sharett era stato “scoperto mentre spiava, viaggiando attraverso l’Unione Sovietica per stabilire legami di spionaggio e distribuire propaganda sionista illegale anti-sovietica.
Dopo il suo ritorno in Israele lavorò per qualche tempo in un nuovo dipartimento per gli affari russi nell’ambito della ricerca sull’intelligence militare. Si ritirò poi dal lavoro di intelligence. “L’aliyah russa mi ha molto deluso,” dice oggi. “Le persone che ho tanto lavorato per portare qui si sono rivelate essere nazionalisti di estrema destra – la conseguenza di anni trascorsi in un regime di semi-assimilazione, costretti a nascondere le proprie origini. Ora hanno abbracciato il lato più oscuro ed estremista della nostra politica. Ho contribuito a portare qui i miei stessi nemici. Avigdor Lieberman è un colono e politicamente, è un mio nemico” aggiunge.
Ma non è l’arrivo di questo o di quell’individuo a preoccupare Sharett. Ciò a cui si oppone è l’incoraggiamento a raggiungere Israele. “Israele è l’unico paese al mondo che lavora attivamente per aumentare la propria popolazione. Si è mai sentita una cosa del genere? Che emissari convincano le persone a trasferirsi in Israele? Non abbiamo già abbastanza persone e traffico?”
Il compromesso non è una resa
La tappa successiva nella vita di Sharett è stato il giornalismo. He scritto e pubblicato sul quotidiano ebraico Ma’ariv per due decenni, tra il 1963 e il 1983. All’inizio degli anni 70 scrisse per il Ma’ariv da Tehran, dove si era trasferito al seguito della moglie, coreografa e ballerina che insegnava danza in quella città. Nei primi anni 80 diresse anche una rubrica dal titolo “Man from Mars” (“Uomo da Marte”) per il settimanale anti-establishment Haolam Hazeh, dove esprimeva la sua visione critica verso il governo israeliano, come se fosse un uomo che veniva da un altro pianeta.
Sharett ha anche scritto, curato e tradotto numerosi libri. Nel 1988 il suo libro “The State of Israel of the Altneuland house has passed away” (“Lo stato di Israele della Altneuland è morto”) riporta in copertina un necrologio in ebraico. Sharett scrisse che quello era “un grido disperato del momento dopo l’ultimo momento” e avvertiva circa “una crisi esistenziale senza precedenti aldilà di ogni possibilità di prevenzione o salvezza.”
Altri libri che ha tradotto, “Silent Spring” (“Primavera silenziosa”) e “The End of Nature” (“La fine della natura”) avevano invece a che fare con un altro tipo di crisi – la crisi climatica, molti anni prima che il tema entrasse nel dibattito pubblico israeliano.
Sharett ha festeggiato a luglio il suo 94esimo compleanno. “Sono un uomo anziano, consapevole della mia età e so che i miei anni sono contati. Non ho paura della morte in sé, ma della forma che la morte assumerà” dice in conclusione, rivelando la decisione di porre fine alla propria vita “se dovessi raggiungere un punto della mia vita in cui questa non abbia più alcuna giustificazione e fossi un uomo morto che cammina, senza scopo o contributo da offrire, ma solo un peso per gli altri e la mia famiglia”. Ha già informato la famiglia della decisione. Donerà il suo corpo alla scienza. “Non ho bisogno di una tomba. Non visito mai le tombe di famiglia. Non penso che la memoria di una persona, la sua anima, sia legata alle sue ossa o al luogo in cui è sepolta. Non voglio rubare spazio in un paese minuscolo come il nostro. Non ce n’è ragione. In ogni caso, nel corso di una o due generazioni le pietre tombali saranno dimenticate e abbandonate.”
Ma prima che ciò accada, vuole avere il tempo di scrivere la propria autobiografia, di cui in questo articolo ha rivelato i titoli di alcuni capitoli. Ha anche già scelto il nome del libro: “Forced Collaborator”, collaboratore forzato.
Traduzione di Matteo Cesari – AssoPacePalestina
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