Vuoi denunciare la violenza dei coloni? Potresti finire ben presto sotto inchiesta.

di Ali Awad,

+972 Magazine, 19 agosto 2021.    

Palestinesi e attivisti che denunciano le violenze dei coloni in Cisgiordania finiscono nel mirino della polizia.

Soldati israeliani guardano mentre coloni dell’insediamento di Ma’on muniti di bastoni minacciano attivisti palestinesi, israeliani e internazionali che marciano insieme ai residenti dei villaggi palestinesi locali durante una marcia di solidarietà nelle colline a sud di Hebron, Cisgiordania, 22 settembre 2012. (Oren Ziv/Activestills.org)

Il 31 marzo il mio amico Sami Huraini e la sua famiglia stavano lavorando nella loro terra nel villaggio di at-Tuwani nelle colline occupate a sud di Hebron, quando sono stati attaccati da un colono israeliano del vicino insediamento Havat Ma’on.

“Mentre stavamo lavorando nei nostri campi vicino a casa, un colono ha guidato il suo quad vicino a noi”, ha ricordato Sami, riferendosi a un veicolo fuoristrada così chiamato. “Si è fermato, è sceso dal quad e ha iniziato a filmarci mentre stavamo ripulendo la nostra terra dalle pietre, nel tentativo di bonificarla e renderla di nuovo adatta alla coltivazione”. Il colono ha poi continuato a provocare Sami e la sua famiglia, sostenendo che stavano lavorando la terra che aveva preso in affitto dallo stato, ha detto Sami.

L’11 aprile la polizia israeliana ha chiamato Sami. Gli hanno chiesto di presentarsi alla stazione di polizia nell’insediamento israeliano di Kiryat Arba, situato alla periferia della città di Hebron, nella Cisgiordania occupata. Anche se la polizia lo aveva convocato, Sami ha dovuto aspettare prima di essere fatto entrare. Ma non appena si è seduto di fronte all’investigatore della polizia, è stato trattato come un sospetto, ha detto.

“L’ufficiale di polizia ha detto: ‘Eri su un terreno che appartiene ai coloni’”, racconta Sami. “‘Non è vero. La verità è che il colono ha fatto irruzione nella terra della mia famiglia e ci ha provocato’, ho risposto. “Sei un bugiardo”, ha detto l’ufficiale di polizia”.

“Sono rimasto scioccato”, ha continuato Sami. “Mi sentivo oppresso perché ero sicuro che qualunque cosa avessi detto non sarebbe stata presa sul serio”. A questo punto Sami ha deciso di rimanere in silenzio per il resto dell’interrogatorio.

Alla fine, l’investigatore ha chiesto a Sami di chiamare un membro della famiglia per liberarlo pagando una cauzione. “Non pago nulla”, ricorda di aver risposto Sami, sorpreso dalla sua stessa determinazione. “’Lui [il colono] ha fatto irruzione nella nostra terra e ha iniziato a provocarci. E ora tu mi trattieni, mi interroghi, e poi mi chiedi di pagare per essere libero. No, non lo farò.”

L’ufficiale è allora uscito dalla stanza degli interrogatori, lasciando Sami ad aspettare un po’ da solo, non sapendo cosa gli sarebbe successo. Quando l’investigatore è tornato, ha chiesto a Sami di firmare una serie di documenti. Un’udienza in tribunale è stata fissata per l’11 agosto e, firmando, Sami ha dovuto accettare di pagare una multa di 5.000 shekel se non si fosse presentato. Ma il 10 agosto, il pubblico ministero israeliano ha chiamato l’avvocatessa di Sami e le ha detto che l’udienza in tribunale era stata annullata: la polizia non aveva sporto denuncia contro di lui. 

L’esperienza di Sami non è un incidente isolato. Gli attivisti palestinesi in tutta la Cisgiordania occupata riferiscono di simili trattamenti da parte dei coloni e delle autorità israeliane, affermando che quando decidono di sporgere denuncia sulle violenze dei coloni alla polizia israeliana, finiscono per essere essi stessi accusati di violenza.

Questo è uno dei motivi per cui i Palestinesi spesso si astengono dal presentare denunce alla polizia in seguito agli attacchi dei coloni israeliani. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, che registra le violenze dei coloni nei territori occupati, su 413 episodi di reati a sfondo ideologico documentati dall’organizzazione tra il 2013 e il 2015, il 30% delle vittime ha dichiarato esplicitamente di non essere interessato a denunciare la violenza alla polizia. 

La maggior parte delle vittime ha detto a Yesh Din di non avere fiducia nelle forze dell’ordine israeliane, mentre altri hanno espresso preoccupazione per il fatto che presentare una denuncia avrebbe messo in pericolo loro o i loro familiari. C’era anche chi diceva che avrebbe denunciato solo attraverso l’Autorità Palestinese, o che era ideologicamente contrario a impegnarsi direttamente con le autorità israeliane.

Tra i coloni e la polizia

All’inizio degli anni ’80, il governo israeliano dichiarò centinaia di ettari a Masafer Yatta, un insieme di villaggi palestinesi nelle colline a sud di Hebron, come area militare ristretta soprannominata “Firing Zone 918”. Da allora, le autorità militari hanno usato la “sicurezza” come una scusa per distruggere le case palestinesi nella zona, negare i permessi di costruzione e impedire alle famiglie palestinesi di allacciarsi alla rete idrica ed elettrica.

Allo stesso tempo, Israele ha continuato a costruire insediamenti nell’area. L’avamposto coloniale di Havat Ma’on è stato costruito nel 2001 con l’autorizzazione del governo israeliano, dopo che un gruppo di coloni israeliani si era staccato dal vicino insediamento di Ma’on. Nel tentativo di affrontare le critiche internazionali alla sua politica di insediamento, il governo israeliano ha ordinato la distruzione dell’avamposto nei primi anni 2000. Da allora, tuttavia, l’avamposto non solo è stato restaurato, ma è cresciuto e ha invaso ulteriormente la terra palestinese.     

All’inizio di quest’anno, i coloni di Havat Ma’on hanno costruito un nuovo avamposto, escludendo i pastori palestinesi dal resto dei campi dove pascolano le loro pecore. I villaggi palestinesi intrappolati tra l’insediamento e l’avamposto, incluso il mio villaggio di Tuba, sono stati regolarmente oggetto di vessazioni da parte di coloni e soldati israeliani. Negli ultimi mesi, gli attivisti palestinesi delle colline a sud di Hebron hanno documentato un aumento della violenza dei coloni, compreso il lancio di pietre contro i residenti palestinesi, l’incendio delle balle di fieno che i pastori usano per nutrire le pecore e lo sradicamento degli alberi. 

Palestinesi nel villaggio di Tuba nelle colline a sud di Hebron guardano bruciare le loro balle di fieno dopo che i coloni le avevano incendiate, 1 giugno 2021. (Per gentile concessione di Jaber Awad)

Il 9 giugno, mentre un gruppo di attivisti stava documentando i bulldozer dell’esercito israeliano che distruggevano le strade che portano a Masafer Yatta, il mio amico Mesleh Makhamri del villaggio Maghayeer Al-Abeid mi ha chiamato. “Ali, ho bisogno del tuo aiuto. Per favore, porta attivisti e vieni nel mio campo vicino al pozzo dell’acqua. Ci sono coloni che attaccano me e le pecore e io sono solo”, ha detto.

Ho riattaccato e ho chiamato attivisti che avevano macchine che potevano usare per andare in aiuto a Mesleh. Ma quando sono arrivati, le ruspe dell’esercito avevano già distrutto la strada che portava al suo villaggio, isolandolo, e loro non son potuti passare.

Ho provato a chiamare di nuovo Mesleh, ma non c’è stata risposta. Più tardi, ho saputo che la polizia israeliana lo aveva ammanettato e bendato e portato alla stazione di Kiryat Arba. Il suo gregge di pecore era stato lasciato solo, circondato da coloni.

Ho chiamato il padre di Mesleh, Shihadi, per organizzare il rientro a casa delle pecore, e lui ha mandato il figlio minore. Quando in seguito un veterinario è arrivato per ispezionare le pecore, ha detto che molte erano state colpite e avevano riportato contusioni.

Un soldato israeliano lancia sassi alle pecore per disperderle, Umm al Arayes, Colline a sud di Hebron, Cisgiordania, 26 gennaio 2013. (Oren Ziv/Activestills.org)

Un gruppo di attivisti israeliani ed io abbiamo accompagnato Shihadi alla stazione di polizia per sporgere denuncia. Ma quando siamo arrivati, gli ufficiali non ci hanno fatto entrare, nemmeno dopo alcune ore. Si è fatto tardi e abbiamo deciso di tornare a casa.

Il giorno dopo l’arresto, Mesleh è stato portato davanti al tribunale militare della prigione di Ofer, in Cisgiordania. Io e il mio amico Sami abbiamo accompagnato suo padre all’udienza. I coloni che lo hanno attaccato lo avevano falsamente accusato di aver minacciato di ucciderli e la polizia ha chiesto di prolungare la sua custodia cautelare di sei giorni per continuare l’interrogatorio. Invece, il tribunale ha deciso di tenerlo in carcere per altri quattro giorni.

Il 14 giugno, giorno della seconda udienza di Mesleh, la polizia ha chiesto un’altra proroga di tre giorni. Tuttavia, l’avvocato di Mesleh ha sostenuto che le autorità non avevano prove contro di lui. È stato rilasciato dopo aver trascorso cinque giorni in prigione, a condizione che una persona israeliana agisse da garante e assicurasse che Mesleh avrebbe partecipato a qualsiasi indagine o udienza della polizia, altrimenti l’Israeliano avrebbe pagato 20.000 shekel.

Nella sua decisione, il giudice militare ha scritto che la testimonianza di Mesleh sembrava molto più onesta di quella dei coloni. Ha anche criticato la polizia per essersi rifiutata di rivedere i video che l’avvocato di Mesleh aveva fornito, e ha ritenuto che ciò rapprentava una negligenza da parte della polizia. I video mostrano i coloni che abusano di Mesleh fisicamente e verbalmente.

“Sì, sono stato arrestato per essere stato picchiato”

A seguito delle crescenti vessazioni contro i pastori palestinesi nell’area delle colline a sud di Hebron, attivisti israeliani e internazionali hanno accompagnato i pastori, almeno per documentare le violazioni contro di loro. Ma anche gli attivisti israeliani e internazionali sono diventati bersaglio della violenza dei coloni.

Il 13 maggio, due attivisti israeliani americani, Sam Stein e Bob Subeiri, stavano accompagnando un pastore palestinese nelle colline a sud di Hebron che era stato violentemente molestato dai coloni israeliani. Quando sono arrivati ​​a un pozzo vicino, hanno visto un bambino palestinese che aveva paura di attingere acqua perché un colono adolescente era in piedi sulla cupola del pozzo e lo osservava. Sam si mise allora tra il bambino e il colono, e il bambino attinse acqua e se ne andò. 

Poi sono arrivati ​​tre o quattro coloni e hanno iniziato a picchiare Sam e Bob con bastoni di legno e di metallo. Hanno rubato il telefono di Sam, rotto la sua macchina fotografica e sfondato i finestrini di un’auto a noleggio appartenente a un gruppo di attivisti. Subeiri è stato ferito ed è stato portato all’ospedale di Beer Sheva.

L’attivista americano Bob Subeiri dopo essere stato attaccato dai coloni israeliani nelle colline a sud di Hebron. (Per gentile concessione del Centro per la Nonviolenza Ebraica)

Dopo essersi allontanato dalla zona, Sam ha chiamato la polizia israeliana per sporgere denuncia. Quando un ufficiale di polizia è venuto a incontrarlo, ha detto che Sam era “coinvolto e sospettato” e che doveva andare con lui alla stazione di polizia. Anche un altro amico di Sam, Oriel Eisner, che non era nemmeno presente durante l’incidente, è stato ritenuto sospetto e ad entrambi è stato vietato di entrare in Cisgiordania per 15 giorni.

“Ho avuto un attacco di panico la scorsa notte. Il mio attacco di panico non era dovuto alla violenza che ho dovuto affrontare da parte dei coloni radicali. È stato causato dal trattamento disumanizzante che ho subito dal governo israeliano e dal sistema di polizia. IL MIO governo e il sistema di polizia”, ​​ha scritto Sam su Facebook dopo l’attacco. “Sì, sono stato arrestato per essere stato picchiato”.

Durante l’interrogatorio, un agente di polizia ha accusato Sam di aver picchiato dei minorenni con una mazza, e ha spiegato che questa era la premessa per escluderlo dalla Cisgiordania. Sam nega questa accusa. L’ufficiale ha anche chiesto a Sam quanto viene pagato per accompagnare i pastori palestinesi, ha scritto Sam nel suo post. “Cosa forse più assurda, mi ha accusato di incitamento e provocazione perché indossavo una maglietta con la scritta Standing Together sia in ebraico che in arabo. Se pensi che “stare insieme” sia un’affermazione provocatoria, c’è qualcosa di profondamente sbagliato in te”. 

“Questi coloni stanno facendo il lavoro sporco di un sistema razzista”, continua il post di Sam. “Non appena hanno finito di aggredirmi, sono andati alla polizia e hanno sporto denuncia dicendo che io avevo in realtà aggredito loro ed è in atto un sistema di polizia corrotto che consente di ottenere risultati. L’ufficiale di polizia che mi interrogava ha letteralmente invocato teorie del complotto antisemetiche [sic] che ricordano l’ossessione di George Soros. Sono stato vittima di un atto di terrorismo e proprio io sono stato arrestato. Questi incidenti sono anche il vero motivo per cui sto facendo quello che sto facendo. In me non è cambiato nulla e tornerò al più presto alla mia attività”.

https://www.972mag.com/settler-violence-police-investigation/

Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina

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1 commento su “Vuoi denunciare la violenza dei coloni? Potresti finire ben presto sotto inchiesta.”

  1. Hanno imparato proprio bene dai nazisti come comportarsi! Non c’è che dire!
    “Usque tandem Catilina abutere patientia nostra?” tuonava Cicerone in una sua famosissima orazione! Si potrebbe usare la medesima orazione contro gli oppressori!

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