di Antonio Mazzeo,
Pagine Esteri, 21 luglio 2021.
Due settimane di super addestramento in Israele per l’Aeronautica Militare italiana utilizzando i più moderni e famigerati droni da guerra. Il 12 luglio ha preso il via nella base aerea e missilistica di Palmachim, nei pressi della città israeliana di Rishon LeZion, a sud di Tel Aviv, l’esercitazione “Blue Guardian”, presentata con enfasi dall’Israeli Air Force (IAF) come la “prima attività addestrativa internazionale al mondo con i velivoli a pilotaggio remoto”. Ai war games con i droni, oltre ai reparti specializzati dell’Aeronautica israeliana, partecipano pure quelli di Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e Italia. Il ministero della Difesa italiano ha mantenuto sino ad oggi il più stretto riserbo sull’imbarazzante missione addestrativa in Israele, ma è più che presumibile che a Palmachim siano stati schierati gli uomini e i velivoli senza pilota del 32° Stormo dell’Aeronautica militare di stanza nella base di Amendola (Foggia), che aspira a trasformarsi in uno dei principali centri di formazione dei piloti di droni in ambito NATO ed extra-NATO.
“La storica esercitazione di 15 giorni consentirà di migliorare gli apprendimenti tra le nazioni partecipanti e ad aprire la strada verso una futura cooperazione nel rivoluzionario settore dei velivoli a pilotaggio remoto”, riporta la nota emessa dall’Israeli Air Force. Secondo il generale Amikam Norkin, comandante in capo dell’Aeronautica, “Blue Guardian” ha un valore di grande importanza strategica per lo Stato di Israele. “Siamo pionieri nel campo dei droni e siamo considerati un leader mondiale nello sviluppo delle tecnologie relative”, ha dichiarato il generale Norkin. “Queste caratteristiche, congiuntamente alle centinaia di ore di volo che abbiamo effettuato nelle ultime due decadi e all’alta competenza dei nostri operatori, spiegano la pronta favorevole risposta che abbiamo ottenuto dai paesi che avevamo invitato a prendere parte a questa esercitazione”.
Gli obiettivi chiave dei war games sono stati illustrati dal comando del 166° Squadrone dell’Aeronautica israeliana, preposto all’organizzazione e al coordinamento di “Blue Guardian”. “Innanzitutto puntiamo a rafforzare la partnership tra Israele e i cinque paesi partecipanti, cosa che ha una valenza significativa per la sicurezza del nostro paese”, spiegano i militari del 166° Squadrone, non a caso denominato “Fire Birds” (uccelli di fuoco) proprio perché preposto all’uso dei più sofisticati droni killer. “Abbiamo creato una serie di scenari aerei reali per permettere un addestramento di alta qualità durante l’intera esercitazione. Inoltre, vogliamo enfatizzare l’interconnessione personale con le nostre controparti, fornendo ai nostri alleati una sensazione di comfort e sicurezza mentre loro si adattano alle nostre necessità. Infine, puntiamo ad illustrare gli alti standard manifestati dal personale dell’Israeli Air Force e soprattutto l’impegno, la professionalità e la precisione nello svolgimento delle missioni aeree”. Sempre secondo il Comando del Fire Birds Squadron, nel corso di “Blue Guardian” saranno utilizzati in particolare i due gioielli di morte dell’arsenale dei velivoli senza pilota israeliani, gli Hermes 900 (nome in codice Kochav) e gli Hermes 450 (Zik), progettati e realizzati da Elbit Systems Ltd, holding con quartier generale ad Haifa e filiali in diversi paesi, leader nella produzione di droni militari, sistemi informatici, telecomunicazione, comando, controllo e intelligence e per le cyber war. “Nel corso dell’esercitazione, per la prima volta nella storia – precisa IAF – gli equipaggi stranieri saranno impiegati al controllo del volo di un Hermes 450, insieme agli operatori dello squadrone droni israeliano, simulando una serie di differenti scenari operativi, dall’assistenza alle forze terrestri, alle missioni di raccolta dati d’intelligence e alla cooperazione con altre forze aeree”.
Ancora più complessi gli scenari previsti nella seconda settimana di esercitazione. In particolare saranno simulate vere e proprie attività di combattimento tra i differenti reparti aerei partecipanti e saranno effettuati voli congiunti dei droni in appoggio ai cacciabombardieri e alle divisioni elicotteri israeliani. “Il processo di pianificazione delle attività sarà appannaggio di un differente paese ogni giorno, così da dare a tutti gli equipaggi un’unica opportunità per familiarizzare e conoscere le differenti modalità di conduzione delle missioni aeree”, conclude l’Israeli Air Force.
Per il complesso militare industriale israeliano, “Blue Guardian” è una ghiotta occasione per sponsorizzare tra gli ufficiali delle forze aeree di USA, Francia, Germania, Regno Unito e Italia, i due modelli di droni più utilizzati nelle ultime operazioni di guerra in Medio Oriente. Gli Hermes 450 e 900 sono infatti velivoli a pilotaggio remoto multimissione: possono essere utilizzati sia come aerei spia per la raccolta dati d’intelligence e l’individuazione degli obiettivi, sia come droni d’attacco con il lancio di missili aria-terra e aria-nave. Le due versioni variano secondo le ore di volo che possono effettuare (17 per l’Hermes 450 e 30 ore per l’Hermes 900) e per l’altitudine che possono raggiungere (da 18.000 a 30.000 piedi). L’Hermes 450 è stato impiegato operativamente per la prima volta durante l’assalto israeliano del 2008-2009 contro la popolazione della Striscia di Gaza; questi velivoli senza pilota di Elbit Systems sono stati anche usati in Libano nel 2006, causando la morte di diversi civili, inclusi operatori della Croce Rossa. Il battesimo di fuoco dell’Hermes 900 risale invece all’Operazione “Margine Protettivo” contro Gaza dell’estate 2014: un drone è stato coinvolto nell’uccisione di quattro ragazzi che stavano giocando in una spiaggia, il 16 agosto 2014.
“Blue Guardian” si svolge a meno di due mesi da un’altra importantissima esercitazione che ha visto protagoniste le forze aeree e navali di Israele, Stati Uniti, Regno Unito e Italia, “Falcon Strike 21”, in una vasta area in territorio italiano che ha compreso i poligoni della Sardegna, il mar Tirreno, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, l’isola di Pantelleria, il Golfo di Taranto, il Mar Ionio e il Mediterraneo centrale. Secondo la nota emessa dal Pentagono, “Falcon Strike” ha rappresentato “un test strategico per i nuovi cacciabombardieri F-35 in dotazione alle aeronautiche dei quattro paesi partecipanti per accrescere il livello di cooperazione e l’interoperabilità durante le operazioni congiunte”. All’esercitazione hanno partecipato oltre 50 velivoli tra caccia, aerei da trasporto e rifornimento ed elicotteri pesanti, e circa seicento militari sotto il controllo del Comando Operazioni aerospaziali di Poggio Renatico (Ferrara). Lunghissima e assai significativa la lista dei mezzi impiegati. Per l’Italia si è trattato dei velivoli F-35A, F-35B e dei droni “Predator” del 32° Stormo di Amendola; dei cacciabombardieri F-2000 “Typhoon” del 36° Stormo di Gioia del Colle e del 37° di Trapani-Birgi; dei “Tornado” del 6° Stormo di Ghedi; degli AMX e dei “Typhoon” del 51° Stormo di Istrana; dei caccia addestratori T-346A del 61° Stormo di Galatina (Lecce); dei velivoli tanker KC-767A e di un aereo da ricognizione di produzione israeliana Gulfstream “Eitam” del 14° Stormo di Pratica di Mare. Per l’US Air Force i nuovi caccia F-35A e sei F-16C a capacità nucleare del 555th Fighter Squadron di Aviano (Pordenone); un aereo da rifornimento britannico Voyager A330 e, per l’aeronautica israeliana, sei caccia F-35, un aereo-spia Gulfstream “Etam” e due aerei da rifornimento Boeing “Re’em”. “L’esercitazione ha avuto quale base principale di rischieramento Amendola, ma ha visto al contempo coinvolte altre basi in funzione di supporto, tra cui quella di Trapani e del Reparto di Standardizzazione e Tiro Aereo di Decimomannu, in Sardegna”, ha spiegato l’ufficio stampa del Ministero della difesa. “Gli scenari esercitativi sono stati creati per offrire agli equipaggi di volo un contesto complesso in cui potersi addestrare in varie tipologie di missioni, tra cui l’interdizione aerea con gestione strategica e tattica, il supporto alle forze speciali a terra, le operazioni di targeting dinamico”. Tra le attività di particolare rilevanza anche quelle relative alla “guerra elettronica”, protagonisti il centro di comando e controllo radar del 2° Stormo di Rivolto (Udine) e una componente del sistema di “difesa” contraerea SAMP-T dell’Esercito, congiuntamente ai reparti e ai velivoli d’intelligence israeliani.
Un’estate nel segno dunque della sempre più stretta cooperazione militare, industriale e strategica tra Israele, l’Italia e alcuni dei paesi leader dell’Alleanza Atlantica, protagonisti i costosissimi cacciabombardieri (a capacità nucleare) di quinta generazione prodotti da Lockheed Martin e i droni lanciamissili di Elbit Systems Ltd. E all’orizzonte sempre più affari miliardari per i produttori e i mercanti di morte sulla pelle – da subito – di migliaia e migliaia di innocenti in Africa e Medio Oriente.
Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
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