di Phineas Rueckert,
Haaretz, 18 luglio 2021.
Da Khashoggi ai giornalisti in India, i reporter di tutto il mondo sono stati scelti come obiettivi dai clienti della società israeliana di sorveglianza informatica NSO, secondo una nuova inchiesta, pubblicata oggi da Forbidden Stories insieme ad Haaretz.
La casa di Khadija Ismayilova a Baku era diventata come una prigione. In Azerbaigian, una nazione ricca di petrolio situata vicino al Mar Caspio, in cui dal 2014 la libertà di parola e il dissenso sono stati sempre più soffocati, le indagini di Ismayilova sulla famiglia regnante l’hanno resa un obiettivo primario del governo.
La giornalista investigativa azerbaigiana sapeva di essere costantemente osservata, come le era stato detto da amici e familiari a cui era stato chiesto di spiarla.
Le autorità si accanivano contro di lei: installando di nascosto delle telecamere in casa sua per filmarla durante l’attività sessuale; arrestandola e accusandola di aver spinto al suicidio un collega; e infine accusandola di frode fiscale e condannandola a sette anni di carcere.
Dopo 18 mesi è stata rilasciata su cauzione e le è stato vietato di lasciare il paese per cinque anni. Quindi, nel maggio 2021, alla fine del divieto di viaggio, quando Ismayilova ha fatto le sue valigie e si è imbarcata su un aereo per Ankara, in Turchia, pensava di lasciarsi tutto alle spalle.
Non sapeva che si sarebbe portata dietro la spia più invasiva.
Per quasi tre anni, il telefono di Khadija Ismayilova è stato regolarmente infettato da Pegasus, uno strumento spyware altamente sofisticato sviluppato dalla società israeliana NSO Group che offre ai suoi clienti l’accesso all’intero contenuto di un telefono e può anche accedere da remoto alla fotocamera e al microfono, secondo un’analisi forense del Security Lab di Amnesty International, in collaborazione con Forbidden Stories.
“Per tutta la notte ho pensato a cosa avevo fatto con il mio telefono”, ha detto ai giornalisti dalla sua abitazione temporanea ad Ankara il giorno dopo aver appreso che il suo telefono era stato compromesso. “Mi sento in colpa per i messaggi che ho inviato. Mi sento in colpa per le fonti che mi hanno inviato informazioni pensando che alcuni metodi di messaggistica crittografata fossero sicuri e che non sapevano che il mio telefono fosse infetto”.
“Anche i miei familiari sono vittime”, ha aggiunto. “Le fonti sono vittime, le persone con cui ho lavorato, le persone che mi hanno detto i loro segreti privati sono vittime”.
Il progetto Pegasus
Ismayilova è uno dei quasi 200 giornalisti in tutto il mondo i cui telefoni sono stati selezionati come obiettivi dai clienti NSO, secondo il Pegasus Project, un’indagine pubblicata oggi da un consorzio globale di oltre 80 giornalisti provenienti da 17 media in 10 paesi, coordinato da Forbidden Stories con il supporto tecnico del Security Lab di Amnesty International.
Forbidden Stories e Amnesty International hanno avuto accesso a una fuga di notizie che riguarda oltre 50.000 numeri di telefono scelti dai clienti della NSO perché fossero sorvegliati. Secondo un’analisi di questi documenti da parte di Forbidden Stories e dei suoi partner, più di 180 giornalisti sono stati selezionati in 21 paesi da almeno 12 clienti di NSO. Questi clienti governativi vanno da quelli autocratici (Bahrain, Marocco e Arabia Saudita) a quelli democratici (India e Messico) e abbracciano il mondo intero, dall’Ungheria e dall’Azerbaigian in Europa al Togo e al Ruanda in Africa. Come dimostrerà l’indagine Pegasus Project, molti di questi paesi non hanno esitato a selezionare giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici, uomini d’affari e persino capi di stato come bersagli di questa tecnologia invasiva.
Adducendo “considerazioni contrattuali e di sicurezza nazionale,” NSO Group ha scritto in una lettera a Forbidden Stories e ai suoi partner, che “non può confermare o negare l’identità dei suoi clienti governativi”. Forbidden Stories e i suoi partner hanno contattato i 12 committenti governativi citati in questo progetto, i quali non hanno risposto alle domande entro la scadenza o hanno negato di essere clienti di NSO Group.
È impossibile sapere se un numero di telefono specifico che appare nell’elenco sia stato compromesso con successo senza analizzare il dispositivo. Tuttavia, il Security Lab di Amnesty International, in collaborazione con Forbidden Stories, è stato in grado di eseguire analisi forensi sui telefoni di più di una dozzina di questi giornalisti, rivelando infezioni riuscite nell’arco di questo mese grazie a una falla di sicurezza esistente negli iPhone.
I numeri di telefono individuati, che Forbidden Stories e i suoi partner hanno analizzato per mesi, rivelano per la prima volta l’incredibile portata della sorveglianza di giornalisti e difensori dei diritti umani – nonostante le ripetute affermazioni di NSO Group secondo cui i suoi strumenti sono utilizzati esclusivamente per prendere di mira gravi criminali e terroristi – e confermano i timori dei difensori della stampa sulla portata del dispositivo di spionaggio utilizzato contro i giornalisti.
“I numeri mostrano chiaramente che l’abuso è diffuso, mettendo in pericolo la vita dei giornalisti, delle loro famiglie e dei loro associati, minando la libertà di stampa e portando alla chiusura dei media più critici”, ha affermato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “Si tratta di controllare la narrativa pubblica, resistere al controllo, sopprimere qualsiasi voce di dissenso”.
I giornalisti che compaiono in questo rapporto hanno ricevuto minacce legali, altri sono stati arrestati e diffamati, e alcuni hanno dovuto fuggire dai loro paesi a causa della persecuzione, solo per scoprire in seguito che erano ancora sotto sorveglianza. In rari casi i giornalisti sono stati uccisi dopo essere stati scelti come bersagli. Le rivelazioni odierne chiariscono che la tecnologia è emersa come uno strumento chiave nelle mani di governi repressivi e delle agenzie di intelligence che lavorano per loro.
“Mettere sotto sorveglianza un giornalista ha un effetto raggelante molto forte”, ha detto a Forbidden Stories Carlos Martinez de la Serna, direttore del programma presso il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ). “Questo è un problema molto, molto importante che tutti devono prendere sul serio, non solo nei paesi in cui i giornalisti lavorano in un ambiente ostile per il giornalismo, ma negli Stati Uniti, in Europa occidentale e in altri luoghi”.
Il gruppo NSO, in una risposta scritta a Forbidden Stories e ai suoi partner, ha affermato che la segnalazione del consorzio si basava su “presupposti errati” e “teorie non confermate” e ha ribadito che la società è impegnata in una “missione salvavita”.
“NSO Group nega fermamente le false affermazioni fatte nel vostro rapporto, molte delle quali sono teorie non corroborate che sollevano seri dubbi sull’affidabilità delle vostre fonti, nonché sulle basi della vostra storia”, ha scritto la società. “Le vostre fonti vi hanno fornito informazioni prive di fondamento fattuale, come evidenziato dalla mancanza di documentazione a sostegno di molte delle affermazioni”.
“La presunta quantità di “dati trapelati di oltre 50.000 numeri di telefono” non può essere basata su questo numero esagerato di telefoni selezionati dai governi che utilizzano Pegasus,” ha aggiunto NSO Group.
In una lettera legale inviata a Forbidden Stories e ai suoi partner, NSO Group ha anche scritto: “NSO non ha informazioni sulle specifiche attività di intelligence dei suoi clienti, ma anche una comprensione rudimentale e di buon senso di cosa sia l’intelligence porta alla chiara conclusione che questi sistemi sono utilizzati principalmente per scopi diversi dalla sorveglianza.”
Trattato come un sospetto terrorista in Ungheria
Per Szabolcs Panyi, giornalista investigativo di Direkt36 in Ungheria, apprendere che il suo cellulare era stato infettato dallo spyware Pegasus è stato “devastante”.
“Ci sono alcune persone in questo paese che considerano un normale giornalista pericoloso quanto qualcuno sospettato di terrorismo”, ha detto a Forbidden Stories su una linea di comunicazione crittografata.
Panyi è un giornalista pluripremiato che ha riferito di difesa, affari esteri e altri argomenti delicati e ha un elenco di migliaia di contatti in più paesi, inclusi gli Stati Uniti, dove ha trascorso un anno con una borsa di studio Fulbright, rendendosi un ideale bersaglio dei servizi di intelligence, che sono notoriamente diffidenti nei confronti dell’influenza statunitense in Ungheria.
Bel 2019 Panyi stava lavorando a due importanti indagini nel periodo in cui il suo telefono è stato compromesso. Forbidden Stories, in collaborazione con il Security Lab di Amnesty International, è stato in grado di confermare le infezioni riuscite del suo telefono per un periodo di 9 mesi, da aprile a dicembre. Queste infezioni, ha detto Panyi, spesso corrispondevano alle sue richieste ufficiali di commento e incontri importanti con le fonti.
Una delle intrusioni digitali si è verificata mentre stava lavorando a una storia sulla International Investment Bank, una banca sostenuta dalla Russia che nel 2019 stava spingendo per stabilire filiali a Budapest. In quel periodo, anche un fotoreporter con cui ha lavorato è stato scelto come bersaglio, secondo i record accessibili a Forbidden Stories.
“È molto probabile che coloro che gestiscono questo sistema fossero interessati a ciò che i giornalisti ungheresi e americani avrebbero scritto su questa banca russa”, ha detto Panyi.
Come Panyi, molti giornalisti oggetto di minacce digitali e sorveglianza informatica sono interessanti per le agenzie di intelligence statali a causa delle loro fonti, secondo Igor Ostrovskiy, un investigatore privato di New York che in precedenza spiava giornalisti tra cui Ronan Farrow, Jodi Kantor e il giornalista del Wall Street Journal Bradley Hope, lavorando come subappaltatore per la società israeliana Black Cube e che ora forma giornalisti in materia di sicurezza informatica.
“Sappiamo tutti che i giornalisti hanno un sacco di informazioni che passano per le loro mani, quindi questo potrebbe essere il motivo per cui la sicurezza dello stato potrebbe essere interessata”, ha detto. “La sicurezza dello stato potrebbe essere interessata a chi fa trapelare notizie dall’interno del governo, o dall’interno di un’attività che è vitale per il governo, e potrebbero cercare quella fonte”.
India e Pakistan
Dall’altra parte del mondo, il telefono di Paranjoy Guha Thakurta, giornalista investigativo indiano e autore di numerosi libri su affari e politica indiani, è stato spiato nel 2018. Thakurta ha raccontato a Forbidden Stories di aver parlato spesso con una fonte a condizione di anonimato, e ha detto che al momento in cui è stato spiato stava lavorando a un’indagine sulle finanze del defunto Drirubhai Ambani, l’uomo più ricco dell’India.
“Avrebbero saputo chi erano le nostre fonti”, ha detto Thakurta. “Lo scopo di entrare nel mio telefono e vedere chi sono le persone con cui sto parlando è quello di scoprire chi sono le persone che hanno fornito informazioni a me e ai miei colleghi”.
Thakurta è uno degli almeno 40 giornalisti indiani scelti come bersagli da un cliente della NSO che sembra essere il governo indiano, sulla base dell’analisi dei dati trapelati da parte del consorzio.
Il governo indiano ha precedentemente negato di essere cliente di NSO Group. “Le accuse riguardanti la sorveglianza del governo su persone specifiche non hanno alcuna base concreta o attinenza alla verità”, ha scritto un portavoce del governo indiano in risposta alle domande dettagliate inviate da Forbidden Stories e dai suoi partner.
Mentre i rapporti precedenti mostravano nel 2019 quattro giornalisti indiani tra i 121 obiettivi di Pegasus, i documenti a cui ha avuto accesso Forbidden Stories mostrano che questa sorveglianza potrebbe essere stata molto più ampia.
Più di 2.000 numeri indiani e pakistani sono stati scelti come obiettivi tra il 2017 e il 2019, tra cui giornalisti indiani di quasi tutti i principali media, tra cui The Hindu, Hindustan Times, Indian Express, India Today, Tribune e The Pioneer. Anche giornalisti locali sono stati selezionati come bersagli, tra cui Jaspal Singh Heran, caporedattore di un’agenzia con sede nel Punjab che pubblica solo in Punjabi.
I telefoni di due dei tre cofondatori dell’agenzia di notizie online indipendente The Wire, Siddharth Varadarajan e MK Venu, sono stati infettati da Pegasus, con il telefono di Venu violato di recente a luglio. Un certo numero di altri giornalisti che lavorano o hanno contribuito alla testata giornalistica indipendente –tra cui l’editorialista Prem Shankar Jha, il giornalista investigativo Rohini Singh, l’editore diplomatico Devirupa Mitra e il collaboratore Swati Chaturvedi– sono stati tutti selezionati come bersagli, secondo i documenti consultati da Forbidden Stories e i suoi partner, tra cui The Wire.
“È stato allarmante vedere così tanti nomi di persone legate a The Wire, ma poi ci sono molte persone non legate a Wire“, ha detto Varadarajan, il cui telefono è stato compromesso nel 2018. “Quindi questa sembra essere una predisposizione generale a sottoporre i giornalisti a una sorveglianza di alto livello da parte del governo”.
Molti dei giornalisti che hanno parlato con Forbidden Stories e associati hanno espresso sgomento nell’apprendere che, nonostante le precauzioni prese per proteggere i propri dispositivi, come l’utilizzo di servizi di messaggistica crittografati e l’aggiornamento regolare dei telefoni, le loro informazioni private non erano ancora al sicuro.
“Ci siamo raccomandati l’un l’altro questo o quello strumento per mantenere [i nostri telefoni] sempre più al sicuro dagli occhi del governo”, ha detto Ismayilova. “E ieri ho capito che non c’è modo. A meno che non ti chiudi in [una] tenda di ferro, non c’è modo che non interferiscano con le tue comunicazioni”.
Panyi temeva che pubblicare la notizia dello spionaggio a suo danno potesse dissuadere le fonti dall’entrare in contatto con lui in futuro.
“La preoccupazione di ogni giornalista che è stato presa di mira è che una volta saputo che eri sorvegliato e che anche i messaggi confidenziali avrebbero potuto essere compromessi, chi diavolo ci parlerà in futuro?” chiede. “Tutti penseranno che siamo tossici, che siamo un pericolo”.
‘Leggere da dietro le mie spalle’
Le analisi forensi di Amnesty International Security Lab sui telefoni cellulari presi di mira con Pegasus nell’ambito del Progetto Pegasus sono coerenti con le analisi passate dei giornalisti presi di mira attraverso lo spyware di NSO, comprese le dozzine di giornalisti presumibilmente hackerati negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita e identificati da Citizen Lab a dicembre dello scorso anno.
In oltre l’85 percento delle indagini forensi effettuate su iPhone utilizzati da potenziali vittime al momento della selezione del loro numero, sono emerse tracce dell’attività del software NSO.
Una volta installato con successo sul telefono, lo spyware Pegasus offre ai clienti di NSO l’accesso completo al dispositivo e quindi la possibilità di bypassare anche le app di messaggistica crittografate come Signal, WhatsApp e Telegram. Pegasus può essere attivato a piacimento fino allo spegnimento del dispositivo. Non appena viene riacceso, il telefono può essere reinfettato.
“Se qualcuno sta leggendo al di sopra delle tue spalle, non importa che tipo di crittografia è stata utilizzata”, ha affermato Bruce Schneier, un crittologo e membro del Berkman Center for Internet and Society di Harvard.
Nel rapporto del 2021 sulla trasparenza di NSO Group, una frase compare tre volte: “salvare vite”.
“Il nostro obiettivo”, scrive la società a un certo punto, “è aiutare gli stati a proteggere i propri cittadini e salvare vite umane”. Tuttavia, l’uso problematico dello spyware NSO contro i giornalisti e i loro familiari, come identificato nel Progetto Pegasus e in precedenti rapporti delle ONG per i diritti digitali, mette in dubbio questa narrativa.
Il 2 ottobre 2018, intorno alle 13:00, l’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi è entrato nel consolato saudita in Turchia e non è più uscito. L’assassinio sfacciato del giornalista dissidente ha dato il via a un’ondata di reazioni globali, con leader mondiali, gruppi per i diritti umani e cittadini preoccupati che hanno chiesto un’indagine approfondita sul suo omicidio e sulle potenziali implicazioni dello spyware di NSO.
Un giorno prima del suo omicidio, l’organizzazione per i diritti digitali Citizen Lab ha riferito che un caro amico di Khashoggi, Omar Abdulaziz, era stato preso di mira con Pegasus della NSO nei mesi precedenti l’omicidio di Khashoggi.
NSO, da parte sua, ha ripetutamente affermato di avere accesso a un “kill switch” [bottone di spegnimento] e di aver revocato l’accesso ai clienti quando i diritti umani non sono stati rispettati.
La società ha categoricamente negato qualsiasi coinvolgimento nell’omicidio di Khashoggi.
Ma nuove rivelazioni di Forbidden Stories e dei suoi partner hanno scoperto che lo spyware Pegasus è stato installato con successo sul telefono cellulare della fidanzata di Khashoggi, Hatice Cengiz, appena quattro giorni dopo l’omicidio. Il telefono del figlio di Khashoggi, Abdullah, è stato indicato come obiettivo da un cliente della NSO che sembra essere il governo degli Emirati Arabi Uniti, sulla base dell’analisi dei dati trapelati, diverse settimane dopo l’omicidio. Amici intimi, colleghi e familiari del giornalista assassinato sono stati tutti scelti come bersagli da clienti della NSO che sembrano essere i governi dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, secondo le rivelazioni del Progetto Pegasus rilasciate oggi.
Libertà di parola?
NSO Group sostiene che la sua tecnologia è utilizzata esclusivamente dalle agenzie di intelligence per rintracciare criminali e terroristi. Secondo il rapporto sulla trasparenza e la responsabilità di NSO Group, pubblicato nel giugno 2021, l’azienda ha 60 clienti in 40 paesi in tutto il mondo.
“[Pegasus] non è una tecnologia di sorveglianza di massa e raccoglie solo dati dai dispositivi mobili di individui specifici, sospettati di essere coinvolti in gravi crimini e in terrorismo”, ha scritto NSO Group nel rapporto.
Sebbene la società affermi anche di avere un elenco di 55 paesi a cui non venderà niente a causa dei loro precedenti sui diritti umani, tali paesi non sono specificati nel rapporto. Secondo il rapporto, dal 2016 il gruppo NSO ha revocato l’accesso a cinque clienti dopo indagini sull’uso improprio delle informazioni e ha sciolto il contratto con altri cinque che non rispettavano gli standard sui diritti umani.
“NSO Group continuerà a indagare su tutte le affermazioni credibili di uso improprio e a intraprendere le azioni appropriate in base ai risultati di queste indagini”, ha scritto NSO Group nella sua dichiarazione a Forbidden Stories e ai suoi partner. “Ciò include lo spegnimento del sistema di un cliente, qualcosa che NSO ha dimostrato la propia (sic) capacità e volontà di fare, in seguito a un uso improprio confermato; l’ha fatto più volte in passato e non esiterà a farlo di nuovo se una situazione lo richiederà. “
Eppure i dati trapelati mostrano che molti altri governi autoritari noti per reprimere la libertà di parola rimangono clienti di NSO.
Nell’ambito del Progetto Pegasus, Forbidden Stories è stato in grado di documentare l’uso di Pegasus per la prima volta in Azerbaigian. Più di 40 giornalisti azeri sono stati scelti come obiettivi, compresi i reporter di Azadliq.info e Mehdar TV, due dei media indipendenti rimasti nel paese.
In Azerbaigian, la maggior parte dei mezzi di informazione indipendenti è bloccata e i familiari dei giornalisti sono stati regolarmente molestati dalle autorità. Sotto il presidente Ilham Aliyev, la cui famiglia ha governato l’Azerbaigian per decenni, lo spazio per le voci critiche – secondo Human Rights Watch – è stato “virtualmente estinto”.
Il telefono della giornalista freelance Sevinc Vaqifqizi è stato compromesso tra il 2019 e il 2021, secondo un’analisi condotta dal Security Lab di Amnesty International, in collaborazione con Forbidden Stories. Come giornalista freelance per Mehdar TV, Vaqifqizi aveva già ricevuto una serie di minacce e nel febbraio 2020 è stata picchiata duramente mentre seguiva una protesta.
La giornalista, sui 30 anni con capelli neri lunghi fino alle spalle, ha detto ai giornalisti del consorzio Forbidden Stories che pensava già che il governo avesse accesso alle sue informazioni private.
“Ho sempre detto ai miei amici che possiamo essere ascoltati”, ha detto. “Sono preoccupata per le mie fonti che si fidano di noi e ci scrivono su WhatsApp. Se hanno dei problemi, non va bene per noi”.
Sebbene sia attualmente in Germania per una borsa di studio di tre mesi, non si sentiva al sicuro dalle autorità. Come hanno documentato Amnesty International e altri, gli attivisti azeri sono stati presi di mira fisicamente e digitalmente anche dopo aver lasciato il paese.
“Se hai un telefono, probabilmente possono continuare [a prenderti di mira] in Germania”, ha detto.
Lontano dalla vista, non fuori portata
Le pareti dell’ufficio di Hicham Mansouri presso la Maison des Journalistes (Casa dei giornalisti) a Parigi sono ricoperte di poster di Reporters sans frontières e di altre organizzazioni di difesa della libertà di stampa. Il giornalista viveva nell’edificio, che funge anche da spazio espositivo e residenza per giornalisti rifugiati. Si è poi trasferito, ma condivide ancora un piccolo ufficio al piano terra dove va a lavorare tre volte alla settimana.
Prima di parlare con Forbidden Stories, Mansouri ha spento il suo telefono preso a prestito e lo ha nascosto nel suo zaino. Secondo un’analisi forense del Security Lab di Amnesty International, il precedente iPhone di Mansouri era stato infettato da Pegasus più di 20 volte durante un periodo di tre mesi da febbraio ad aprile 2021.
Mansouri, giornalista investigativo freelance e cofondatore dell’Associazione Marocchina dei Giornalisti Investigativi (AMJI, dalle sue iniziali francesi) che sta attualmente lavorando a un libro sul traffico illegale di droga nelle carceri marocchine, è fuggito dal Marocco nel 2016 dopo numerose minacce legali e fisiche contro lui.
Nel 2014 è stato picchiato da due assalitori sconosciuti dopo aver lasciato un incontro con alcuni difensori dei diritti umani, tra cui lo storico Maati Monjib, che è stato poi preso di mira con Pegasus. Un anno dopo, agenti dell’intelligence armata hanno fatto irruzione nella sua casa alle 9 del mattino, trovandolo insieme a un’amica nella sua camera da letto.
Lo hanno spogliato nudo e lo hanno arrestato per “adulterio”, che è un crimine in Marocco. Ha trascorso 10 mesi nel carcere di Casablanca, in una cella riservata ai criminali più gravi che i detenuti avevano soprannominato “La Poubelle” ossia “La Pattumiera”.
Il giorno dopo essere uscito di prigione, Mansouri ha lasciato il Marocco per la Francia, dove ha chiesto e ottenuto asilo.
Cinque anni dopo, Mansouri ha scoperto di essere ancora un obiettivo del governo marocchino.
“Ogni regime autoritario vede il pericolo ovunque”, ha detto Mansouri a Forbidden Stories. “Non ci consideriamo pericolosi perché facciamo cose che riteniamo legittime, che sappiamo essere nei nostri diritti, ma per loro sono cose pericolose”.
“Hanno paura delle scintille, perché sanno di essere infiammabili”, ha aggiunto.
Almeno 35 giornalisti in quattro paesi sono stati selezionati come obiettivi da un cliente NSO che sembra essere il governo marocchino, sulla base dell’analisi del consorzio. Molti dei giornalisti marocchini selezionati come obiettivi sono stati ad un certo punto arrestati, diffamati o presi di mira in qualche modo dai servizi di intelligence. Altri che sono stati selezionati come bersagli – tra cui in particolare i direttori di giornale Taoufik Bouachrine e Soulaimane Raissouni – sono attualmente in carcere con accuse che le organizzazioni di difesa dei diritti umani sostengono siano state strumentalizzate nel tentativo di chiudere il giornalismo indipendente in Marocco.
In una dichiarazione condivisa con Forbidden Stories e i suoi partner, un rappresentante dell’ambasciata marocchina ha scritto di non aver “compreso il contesto” delle domande inviate dal consorzio e di essere “in attesa di prove materiali” di “qualsiasi relazione tra il Marocco e l’azienda israeliana indicata.”
Bouachrine, l’editore di Akhbar al-Youm, è stato arrestato nel febbraio 2018 con l’accusa di traffico di esseri umani, aggressione sessuale, stupro, prostituzione e molestie. Delle 14 donne che avrebbero accusato Bouachrine, 10 si sono presentate in tribunale e cinque di loro hanno dichiarato che Bouachrine era innocente, secondo il Comitato Protezione Giornalisti (CPJ).
L’editore aveva precedentemente scritto editoriali critici nei confronti del regime marocchino, accusando di corruzione vari funzionari governativi di alto livello. È stato condannato a 15 anni di carcere e ha trascorso più di un anno in isolamento.
Forbidden Stories e i suoi partner sono stati in grado di confermare che i telefoni di almeno due donne coinvolte nel caso sono stati scelti come bersagli di Pegasus.
Anche il successore di Bouachrine, Soulaiman Raissouni, è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale nel maggio 2020 ed è stato condannato a cinque anni di carcere nel luglio 2021. Raissouni è stato accusato di aggressione da un attivista LGBTQ, Adil Ait Ouchraa, che ha dichiarato al CPJ che in precedenza non se la sentiva di presentare un reclamo pubblico a causa della sua identità sessuale. Giornalisti e sostenitori della libertà di stampa hanno detto al CPJ di ritenere che la denuncia sia stata presentata come ritorsione contro gli articoli critici di Raissouni. Nel 2021, ancora in attesa di giudizio, Raissouni ha iniziato uno sciopero della fame che, al momento in cui scriviamo, è durato più di 100 giorni. I suoi familiari hanno detto che dopo 76 giorni era in condizioni critiche.
“Lo scopo [della sorveglianza] è presumibilmente quello di tracciare la vita privata degli individui al fine di trovare un gancio a cui possano appendere qualsiasi grande processo”, ha affermato Ahmed Benchemsi, ex giornalista e fondatore delle organizzazioni di media indipendenti TelQuel e Nichane che ora guida le comunicazioni per la regione Medio Oriente-Nord Africa presso Human Rights Watch.
Mentre in passato i giornalisti marocchini venivano regolarmente colpiti da attacchi legali per ciò che scrivevano – come diffamazione o mancanza di rispetto nei confronti del re – la nuova tattica è quella di accusarli di crimini più gravi come spionaggio e in seguito stupro e aggressione sessuale, ha detto. La sorveglianza è emersa come uno strumento chiave per raccogliere informazioni personali che potrebbero essere utilizzate a tali fini.
“C’è spesso un frammento di verità in una grande massa di calunnie, ma quel frammento di verità è di solito qualcosa di personale e confidenziale che può venire solo dalla sorveglianza”, ha detto.
Anche i giornalisti stranieri che hanno raccontato la difficile situazione dei colleghi marocchini sono stati selezionati come bersagli e in alcuni casi i loro telefoni sono stati infettati con successo.
Il telefono di Edwy Plenel, direttore e cofondatore di Mediapart, testata giornalistica investigativa francese, è stato compromesso nell’estate del 2019, secondo un’analisi del Security Lab di Amnesty International che è stata sottoposta a revisione di esperti dall’organizzazione per i diritti digitali Citizen Lab.
Nel giugno di quell’anno Plenel aveva partecipato a una conferenza di due giorni a Essaouira, in Marocco, su richiesta di un giornalista di Mediapart – Ali Amar, fondatore della rivista d’inchiesta marocchina LeDesk – il cui numero di telefono compare anche nei registri consultati da Forbidden Stories. Alla conferenza, Plenel aveva rilasciato una serie di interviste in cui parlava delle violazioni dei diritti umani commesse dallo Stato marocchino. Al suo ritorno a Parigi, sul suo dispositivo iniziarono a comparire movimenti sospetti.
“Abbiamo lavorato con Ali Amar; abbiamo pubblicato alcune inchieste insieme e conoscevo Ali Amar, un po’ come conosco molti dei giornalisti che lottano per la libertà di stampa in Marocco”, ha detto Plenel in un’intervista a Forbidden Stories. “Quindi, quando ho saputo che ero sotto sorveglianza, la cosa aveva senso.”
Plenel ha affermato che l’aver preso di mira con Pegasus il suo telefono e quello di un altro giornalista di Mediapart, Lenaig Bredoux, era molto probabilmente un “cavallo di Troia rivolto ai nostri colleghi marocchini”.
Come Mansouri, molti giornalisti marocchini sono fuggiti dal paese o hanno smesso del tutto di fare giornalismo. Il giornale di Raissouni e Bouachrine, Akhbar al-Yaoum, gravato dai loro arresti consecutivi e dalla pressione finanziaria, ha smesso di pubblicare nel marzo 2021.
“C’era spazio per la libertà di parola in Marocco circa 10 o 15 anni fa”, ha detto Benchemsi. “Ora non ce n’è più. È finita. Sopravvivere oggi significa interiorizzare un alto livello di autocensura, a meno che non si vogliano sostenere le autorità, ovviamente”.
Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina
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