The New York Times, 1 luglio 2021.
La decisione del primo ministro Naftali Bennett su un avamposto non autorizzato ha fornito una prima idea di come spera di gestire la sua improbabile coalizione.
GERUSALEMME. Non c’è molto che tiene insieme il nuovo governo israeliano. È una coalizione ingombrante e incoerente di destra, sinistra, centristi e islamisti che molti temono non sopravvivrà più di pochi mesi, figuriamoci anni.
Ma un paio di decisioni recenti, entrambe relative alla questione più controversa in Israele, il conflitto palestinese, mostrano come il governo sembri aver trovato, almeno finora, un modo per destreggiarsi in un labirinto di questioni delicate evitando il collasso: inclinandosi a destra, mentre concede ai suoi membri arabi e di sinistra concessioni sufficienti per giustificare la loro permanenza nell’alleanza.
L’ultimo esempio è stato il modo in cui ha gestito la questione di un nuovo insediamento ebraico non autorizzato nella Cisgiordania occupata, un insediamento che ha scatenato proteste quotidiane da parte dei Palestinesi locali. Se lo cancellava, Naftali Bennett, il primo ministro di estrema destra, rischiava di far arrabbiare la sua base pro-coloni. Se lo lasciava, poteva spingere i suoi alleati di sinistra e quelli islamisti a riconsiderare il loro coinvolgimento nella coalizione.
Giovedì, il suo governo ha finalizzato una risposta che ha tenuto insieme la coalizione, anche se ha fatto arrabbiare il suo fianco di sinistra e non ha fatto nulla per i Palestinesi che vivono nella zona. I coloni per ora lasceranno il sito, ha detto il governo in una dichiarazione, ma le loro case rimarranno e i soldati resteranno di stanza sul sito per proteggerlo.
Il governo indagherà anche sulla proprietà della terra, afferma la dichiarazione. Se decide che una parte o tutta la terra appartiene allo stato israeliano, rifiutando le pretese di proprietà dei coltivatori palestinesi locali, il governo permetterà la costruzione di una scuola religiosa sul sito, consentendo ai coloni di tornare.
È una formula che imita l’approccio usato dal governo per una marcia di estrema destra attraverso le zone palestinesi di Gerusalemme, organizzata negli ultimi giorni del mandato dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu. La marcia si è svolta il secondo giorno dopo l’entrata in carica del nuovo governo. La coalizione ha dato il via libera alla marcia, placando così i suoi elettori di estrema destra e i centristi, mentre ha indignato i suoi sostenitori di sinistra e islamisti. Ma ha fatto una concessione a questi ultimi gruppi, spostando il percorso del corteo lontano dalle zone più provocatorie.
Il governo è stato formato il 13 giugno con l’unico obiettivo unificante di costringere Netanyahu, il primo ministro più longevo di Israele, a lasciare l’incarico dopo 15 anni al potere, compresi gli ultimi 12 senza interruzione. Ma oltre a questo, gli otto partiti della coalizione sono d’accordo su ben poco e hanno poco spazio di manovra in caso di disaccordo.
Nel voto parlamentare che ha conferito loro il potere, non hanno raggiunto la maggioranza assoluta, battendo il blocco di Netanyahu per un solo voto.
Per evitare un litigio, le figure di spicco del governo, Bennett e il suo ministro degli Esteri centrista, Yair Lapid, inizialmente avevano promesso di evitare argomenti scottanti che avrebbero causato divisioni immediate, come qualsiasi cosa relativa al conflitto palestinese.
In una certa misura, sono riusciti a mantenere tale impegno perseguendo questioni meno controverse come presentare un fronte unito in risposta a un aumento dei casi di coronavirus la scorsa settimana, lavorare su un nuovo budget e annunciare un’inchiesta di alto livello su un disastro a un sito religioso che ha ucciso 45 persone in aprile.
Ma la questione palestinese è così strettamente intrecciata negli affari quotidiani di un governo israeliano che è risultato impossibile ignorarla.
Nel suo primissimo giorno in carica, il governo ha dovuto decidere sulla marcia di estrema destra, che gli oppositori temevano potesse scatenare un altro round di scontri con i militanti di Gaza. Nella sua seconda settimana, era già impegnato in un dibattito su come affrontare il nuovo insediamento in Cisgiordania, chiamato Evyatar dai suoi fondatori.
Un’altra crisi incombe su un prossimo voto parlamentare per estendere una legge del 2003 che vieta di fatto di concedere la cittadinanza ai Palestinesi che sposano cittadini israeliani.
Per i membri di destra della coalizione, è una misura di sicurezza essenziale per proteggere Israele da militanti che potrebbero cercare di infiltrarsi nel paese sposando un cittadino israeliano. Ma per i membri di sinistra e arabi, è una discriminazione volta ad escludere i Palestinesi.
Le decisioni del governo sulla marcia e sull’insediamento hanno dato alla destra israeliana una soddisfazione molto maggiore che alla sinistra.
“C’è solo una parte che sta ingoiando rospi”, ha detto Shira Efron, analista a Tel Aviv per l’Israel Policy Forum, un gruppo di ricerca con sede a New York. “E questa è la sinistra.”
Ester Alosh, portavoce del Consiglio Regionale di Shomron, che rappresenta i coloni nell’area intorno a Evyatar, ha affermato che la sua parte non ha ottenuto tutto ciò che sperava.
“Siamo un po’ felici e un po’ tristi; non è esattamente quello che volevamo”, ha detto. “Ma d’altra parte, se si attengono alla loro parte dell’accordo, allora ci sono buone probabilità che questo posto rimanga in mani israeliane”.
Ma per la sinistra israeliana, compresi quelli all’interno della coalizione, l’accordo non lascia spazio all’ottimismo. Invece di rimuovere l’insediamento, vengono teoricamente e solo temporaneamente rimossi i coloni, ma si fornisce il sostegno statale all’eventuale legalizzazione del sito.
“È terribile, è qualcosa che non riesco a capire”, ha detto Mossi Raz, un deputato di Meretz, un partito di sinistra della coalizione. “È una bandiera bianca del governo e crea molti problemi per il futuro perché i coloni insisteranno ancora e ancora. Hanno quello che vogliono, anche più di quanto si aspettassero”.
E per gli agricoltori palestinesi che rivendicano la terra, e che non sono stati in grado di lavorarla da quando i coloni sono arrivati all’inizio di maggio, l’annuncio dimostra semplicemente ciò che hanno sempre sostenuto: che qualsiasi governo israeliano, indipendentemente dalla sua tonalità politica, lavora con lo stesso obiettivo: conquistare gradualmente sempre più terra palestinese.
“Se l’esercito prende quel terreno e ci costruisce una sinagoga, o lo usa come campo militare, o lo tiene come insediamento, la mia terra viene comunque rubata”, ha detto Mohammed Khabeisa, 68 anni, che ha affermato di aver piantato un uliveto sul sito dell’insediamento negli anni ’60 e ha coltivato la terra fino a quando non è stato costretto a lasciare il sito a maggio. “Ti chiedo: che differenza fa per me?”
Il signor Khabeisa non ha un documento per dimostrare in modo definitivo la sua proprietà, ma il governo israeliano ha riconosciuto che la sua famiglia e altre quattro famiglie palestinesi hanno pagato la tassa fondiaria negli anni ’30 per un terreno sulla collina o vicino ad essa, senza specificare esattamente dove.
L’accordo di sfrattare temporaneamente i coloni potrebbe essere “un compromesso per evitare una crisi all’interno del governo”, ha affermato Khaled Elgindy, analista degli affari israelo-palestinesi presso il Middle East Institute, un gruppo di ricerca con sede a Washington. “Non è un compromesso con la comunità palestinese che è la più colpita”.
Il governo è sopravvissuto intatto al dibattito sull’insediamento, ma la disputa sulla legge che riguarda matrimoni e cittadinanza si è rivelata una prova più dura. Il governo ha revocato due volte un voto parlamentare sulla legge, perché c’erano segnali che non sarebbe passata.
La fazione di estrema destra del governo afferma che non cambierà la formulazione del testo, mentre Raam, il partito islamista della coalizione, afferma che non lo firmerà nella sua forma attuale. Le famiglie arabe colpite dalla legge hanno affermato che considererebbero Raam un traditore se sostenesse l’estensione della legislazione per un altro anno.
Per ora, la maggior parte degli analisti afferma che probabilmente nessuna fazione lascerà la coalizione nell’immediato futuro. Se lo facessero, tuttavia, ciò potrebbe consentire a Netanyahu di tornare al potere.
“Penso semplicemente che, in questa fase, nessuna delle parti rischierebbe di destabilizzare questa coalizione su qualcosa – qualsiasi cosa, ad essere onesti”, ha detto Shira Efron.
Per un partito come Raam, che potrebbe perdere tutti i suoi seggi alle elezioni, “è come una scelta binaria”, ha aggiunto. “Questa deve essere una storia di successo per loro, o smetteranno di esistere”.
Hanno contribuito informazioni: Irit Pazner Garshowitz di Gerusalemme; Gabby Sobelman di Rehovot, Israele; e Asmaa al-Omar di Beirut, Libano.
Patrick Kingsley è il capo dell’ufficio di Gerusalemme, che copre Israele e i territori occupati. Ha riferito da più di 40 paesi, ha scritto due libri e in precedenza ha trattato la migrazione e il Medio Oriente per The Guardian. @PatrickKingsley
Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina
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