di Paul Scham,
Partners for Progressive Israel, 14 giugno 2021.
Partners for Progressive Israel si congratula con il nuovo governo israeliano e con il primo ministro Naftali Bennett. La rimozione di Benjamin Netanyahu dopo 12 anni consecutivi di un governo sempre più autoritario è una vittoria della democrazia in Israele e un effettivo respingimento dell’ondata di corruzione che Netanyahu ha incarnato. Dobbiamo riconoscere che personaggi significativi della destra israeliana hanno difeso la democrazia piuttosto che l’ideologia, e dobbiamo riconoscere la loro difficile scelta.
Allo stesso tempo, noi che sosteniamo un Israele che ponga fine all’occupazione e fornisca pari risorse e giustizia a tutta la sua popolazione, dobbiamo riconoscere che è improbabile che questo governo sposti Israele in una direzione progressista. Naftali Bennett, Gideon Saar e Avigdor Lieberman, i leader dei tre partiti dichiaratamente di destra nella nuova coalizione, si sono distinti in tutta la loro carriera politica per il sostegno che hanno dato all’occupazione e a qualsiasi legge o iniziativa politica oppressiva nei confronti della popolazione palestinese, sia dei cittadini di Israele sia di coloro che vivono sotto l’occupazione. Yair Lapid, la mente della coalizione, e Benny Gantz, i rispettivi leader dei due partiti centristi della coalizione, sembrano sostenere lo status quo su questi temi. I partiti Labor e Meretz, guidati rispettivamente da Meirav Michaeli e Nitzan Horowitz, per un totale complessivo di 13 seggi, detengono poco potere, sebbene siano a capo di tre ministeri. L’inclusione di Ra’am, alias United Arab List, un partito islamico conservatore, è di per sé un passo estremamente importante per l’integrazione dei cittadini palestinesi di Israele nel processo politico, ma il partito si oppone a molte delle politiche progressiste che sosteniamo, tra cui, per esempio, i diritti LGBTQ.
Tuttavia, abbiamo speranze per il prossimo periodo, perché l’unica cosa che può tenere insieme questa strana, persino bizzarra, coalizione, è il suo carattere e il compromesso, poiché l’ideologia è fuori dal gioco. Questo è riconosciuto implicitamente nell’accordo di coalizione – e anche nell’esistenza stessa della coalizione.
È importante per noi di sinistra, specialmente in un momento così polarizzato, ricordare che le opinioni di destra non indicano un difetto di carattere. Gli uomini di destra possono essere sinceri democratici. Anche i nazionalisti estremi, purché evitino il razzismo, possono essere compresi in questo campo. Tuttavia, l’unico modo per sapere se sono davvero rispettosi della democrazia è vederli in azione.
L’accordo di coalizione può essere visto come una catena di contenzione o come una liberazione; in realtà può essere allo stesso tempo entrambe le cose. Se funziona come previsto, rimuoverà dal tavolo le questioni più importanti, anzi esistenziali. Non ci sarà la fine all’occupazione né alcun passo avanti verso uno stato palestinese. Israele non cercherà di trovare un accordo con Hamas e nemmeno con l’Autorità Palestinese, se non per questioni di sicurezza. Israele continuerà a opporsi a qualsiasi riavvicinamento con l’Iran, in particolare riguardo all’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA). In queste e altre questioni, lo status quo continuerà.
D’altra parte, non ci dovrebbero essere pressioni per l’annessione di ampi pezzi della Cisgiordania, per quanto questo sia caro al cuore di Bennett. L’occupazione continuerà, ma non sarà ampliata. Il presidente del Labor Meirav Michaeli sarà ministro dei trasporti e forse sarà in grado di ridurre i quasi 3 miliardi di shekel ora destinati alle infrastrutture per gli insediamenti nei territori occupati.
Meretz avrà tre ministeri: il presidente del partito Nitzan Horowitz alla Salute, Tamar Zandberg all’Ambiente e Issawi Freij alla Cooperazione Regionale. Freij sarà il primo cittadino arabo nella storia di Israele ad essere membro a pieno titolo del governo.
Inoltre, se l’accordo funziona come previsto, le nuove iniziative basate su programmi di destra o di sinistra avranno il veto da una parte o dall’altra. Questo governo intende esplicitamente essere un ritorno al governo collettivo tradizionale di tutti i componenti dell’esecutivo, in contrapposizione al governo del primo ministro, e vuole invertire lo scivolamento verso il modello presidenziale, che è stato osservato in Israele e in altri sistemi parlamentari. Pertanto, i giornalisti che chiedono “Cosa farà Bennett”, stanno facendo la domanda sbagliata. La domanda dovrebbe essere: “Cosa farà questo governo”, dati tutti i vincoli in esso contenuti.
Quindi cosa può fare, dati questi vincoli? un sacco! Per esempio:
- Approvare un bilancio per il 2021(!)
- Affrontare la violenza criminale che sta travolgendo molte città arabe
- Approfondire le relazioni con il mondo arabo (non palestinese)
- Opporsi all’Iran
- Riparare i rapporti con gli USA
- Infrastrutture
In Israele oggi, nonostante la polarizzazione sui problemi di sicurezza e sullo stesso Bibi, non tutto è stato polarizzato e militarizzato. Le questioni sopra elencate e anche altre possono essere affrontate e, data la disponibilità al compromesso, molto si può fare. Queste sono questioni che ogni governo deve affrontare e, in Israele, sinistra e destra non sono così polarizzate economicamente come lo sono negli Stati Uniti.
Guardate che non sto affatto cercando di idealizzare il nuovo governo. È comprensibile che la maggior parte dei Palestinesi, cittadini israeliani e non, lo rifiuti, perché è improbabile che abbia il minimo rispetto per i diritti nazionali palestinesi. Pertanto, è probabile che le relazioni israelo-palestinesi si inaspriscano, inclusa la possibilità reale di un’altra guerra come quella del mese scorso. Tuttavia, senza abbandonare l’ideologia, c’è molto che si potrebbe fare per rendere più facile la vita dei Palestinesi sotto occupazione, anche in assenza di diritti nazionali.
L’intero esperimento potrebbe infatti crollare in qualsiasi momento. Tuttavia, se c’è rispetto per le ben note linee rosse di ciascun partito della coalizione, la cosa potrebbe effettivamente funzionare. Potrebbe durare anche due anni, fino a quando Lapid non sarà nominato primo ministro, o anche quattro, la sua durata prevista. Ancora più importante, potrebbe sanare alcune delle ferite degli ultimi anni e preparare il terreno per una politica meno polarizzata, con un maggiore sostegno agli obiettivi condivisi dalla sinistra israeliana e da noi, suoi sostenitori statunitensi.
Paul Scham è presidente di Partners for Progressive Israel e direttore del Gildenhorn Institute for Israel Studies presso l’Università del Maryland.
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Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina
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