Il tessuto sociale israeliano si sta scucendo

di Sam Bahour,

18 maggio 2021. 

Disordini a Lod, maggio 2021 (fonte: polizia israeliana)

Israele è arrivato all’apartheid, l’antitesi della lunga tradizione di giustizia sociale del giudaismo.

Gli eventi in Israele e Palestina sono a dir poco inquietanti, ma tutt’altro che sorprendenti per chiunque sia stato sveglio negli ultimi tempi.

In un articolo di opinione dello scorso agosto che è stato pubblicato su Haaretz, Spingendo di nuovo i Palestinesi alla lotta armata, scrivevo: “Se gli Stati Uniti e Israele non fanno presto dietro-front, ai Palestinesi non importerà di essere biasimati quando proiettili e missili cominceranno a volare in entrambe le direzioni.”

Dicendo questo, mi chiedevo come avrebbero agito i Palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana se non fosse cambiato nulla. Purtroppo, avevo indovinato.

Consentitemi di ripetere anche qualcos’altro che ho scritto in quell’articolo: “Sono assolutamente convinto che non ci sia soluzione militare a questo conflitto. Israele ha dimostrato di non poter vincere, nonostante il suo potere militare, e i Palestinesi hanno dimostrato di non poter perdere, nonostante i loro infiniti sacrifici. Ma non vincere e non perdere non basta.”

Sebbene la violenza dello stato israeliano, chiamata occupazione militare, non si sia fermata per un giorno dal 1967, ci sarà molto da analizzare e scrivere su questa ultima esplosione di violenza, una volta che i missili smetteranno di volare, la polvere si sarà depositata, i feriti saranno stati curati e i morti di entrambe le parti sepolti.

A meno che non provochi la fine del dominio militare israeliano su cinque milioni di Palestinesi, questo ultimo round finirà esattamente dove è iniziato, col solo risultato di incoraggiare ulteriormente in entrambe le parti qualcuno che si sentirà tenuto a rivendicare una falsa vittoria.

Questo episodio ora corso non è scoppiato all’improvviso. È il risultato di errori su errori che sono stati ripetutamente ignorati dalle parti interessate di tutto lo spettro politico, sia in Israele che in Palestina e nella comunità internazionale, in particolare negli Stati Uniti.

Ci siamo già passati troppe volte.

L’unico aspetto apparentemente nuovo di questo episodio violento, che scuote il senso di sicurezza di tutti in Israele, più dei missili che cadono indiscriminatamente sulle città israeliane, è lo scoppio di disordini civili nelle comunità israeliane in tutto Israele.

Dalle città miste arabo-ebraiche come Gerusalemme, Lod, Jaffa, Akka e Haifa, fino alle città israeliane a maggioranza ebraica, come Tel Aviv, in cui i Palestinesi lavorano e studiano, il tessuto sociale di Israele viene stracciato dalle masse e dalla violenza che minaccia le persone, che magari se ne stanno tranquillamente a casa, e minaccia le loro proprietà.

Nonostante l’apparente calma nel corso degli anni, quel tessuto non è mai stato cucito insieme in modo davvero giusto.

Le conseguenze di questa rottura avranno un impatto duraturo sullo sviluppo di Israele. Spetta alle persone di coscienza ovunque, specialmente in Israele, garantire che l’impatto sia positivo e si traduca in azioni che correggano il cumulo di sbagli dello stato.

Ma ci si deve fare a questo proposito la stessa domanda che è stata fatta riguardo a Israele e ai Palestinesi sotto occupazione militare: “Qualcuno si è davvero sorpreso?”

Gli Arabi in Israele (di Sabri Jiryis)

I semi dell’attuale tumulto nelle città israeliane sono stati ben documentati da molti anni, anzi decenni. Il mio vecchio amico procuratore Sabri Jiryis ha scritto nel 1966 un classico intitolato Gli Arabi in Israele. Essendo uno dei primi laureati in giurisprudenza presso l’Università Ebraica e un importante attivista palestinese, la prima edizione del suo libro che era stata scritta in ebraico fu subito bloccata dalla censura militare israeliana.

Successivamente il libro è stato aggiornato, pubblicato in arabo e tradotto in inglese e in numerose altre lingue. Con minuziosi dettagli, questo libro ha svelato il sistema di governo che Israele ha instaurato sin dalla sua fondazione nel 1948. L’inevitabile conseguenza di quel sistema è ciò a cui stiamo assistendo oggi, un doloroso collasso sociale basato su decenni di deliberata discriminazione israeliana.

L’ultima volta che ho visitato Sabri, nel 2012, nella sua casa del villaggio palestinese di Fassouta, nella Galilea occidentale, ho scritto questa frase su quello che avevo visto: “La Galilea prima di tutto, se il mondo prende sul serio Israele e Palestina!” Non c’era dubbio che Israele stesse continuando ad applicare all’interno di Israele i metodi di occupazione militare che aveva perfezionato durante il dominio militare a cui aveva sottoposto i cittadini palestinesi in Israele dal 1948 al 1966.

Israele ha una popolazione di poco più di nove milioni di persone, di cui circa il 20% sono cittadini arabi, musulmani e cristiani. A questi va aggiunta la popolazione di cinque milioni di Palestinesi che Israele controlla con la forza nel territorio occupato, per cui le previsioni degli statistici israeliani si stanno dimostrando vere, cioè che tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano le popolazioni di Ebrei e non-Ebrei si stanno pareggiando.

Il problema fondamentale di questa equivalenza demografica sta nel fatto che Israele ha assicurato la “supremazia ebraica” in Israele e Palestina, o mediante lo stato di diritto o mediante il potere militare.

Chiunque metta in dubbio il mio uso delle parole “supremazia ebraica” deve solo leggere l’ultima aggiunta di Israele alla sua Legge Fondamentale del 2018 chiamata “Israele come Stato-nazione del popolo ebraico”. In breve, questa legge ha detto ai cittadini palestinesi di Israele: questo posto non lo puoi considerare casa tua.

E non sono stati solo i Palestinesi ad annunciare la catastrofe che si sta verificando oggi nelle strade di Israele. Anche tre figure militari israeliane avevano dato l’allarme.

Il Vice Capo di Stato Maggiore dell’esercito (IDF), il Mag. Gen. Yair Golan, in uno storico discorso alla cerimonia per il Giorno della Memoria dell’Olocausto del 4 maggio 2016, dichiarò:

“Se c’è qualcosa che mi spaventa nei ricordi dell’Olocausto, è la conoscenza dei terribili processi avvenuti in Europa in generale, e in Germania in particolare, 70, 80, 90 anni fa, e trovarne tracce qui [in Israele] in mezzo a noi, oggi, nel 2016″.

L’ex ministro della difesa israeliana Moshe Ya’alon, spiegando i motivi delle sue dimissioni presso la sede dell’IDF a Tel Aviv il 20 maggio 2016, dichiarò:

“Ma con mio grande dispiacere, elementi estremisti e pericolosi hanno preso il controllo di Israele e del partito Likud e ne stanno scuotendo le fondamenta e minacciando di ferire i suoi residenti”.

“Purtroppo, i politici di alto livello del paese hanno scelto la via dell’incitamento e della segregazione di parti della società israeliana, invece di unificarla e riunirla. È insopportabile per me pensare che saremo divisi tra di noi solo per motivi di cinismo e desiderio di potere, e ho espresso più di una volta la mia opinione in merito, perché sono veramente preoccupato per il futuro della società israeliana e per il futuro delle prossime generazioni.”

E come per riassumere lo stato di cose israeliano, l’ex primo ministro israeliano e ministro della Difesa Ehud Barak, durante un’intervista televisiva del 20 maggio 2016, disse:

Israele è stato “infettato dai semi del fascismo”.

Riferendosi alle dimissioni che il ministro della Difesa Moshe Ya’alon aveva dato all’inizio della giornata, Barak disse che quel fatto “dovrebbe essere un segnale di allarme per tutti noi riguardo a ciò che sta succedendo nel governo”.

“Quello che è successo è una presa di potere ostile del governo israeliano da parte di elementi pericolosi. Ed è solo l’inizio.”

“Un sionismo vitale e i semi del fascismo non possono vivere insieme”, disse Barak a un intervistatore israeliano di Channel 10.

Passando rapidamente ai giorni nostri, c’è un nome per indicare a che punto Israele è arrivato, sia in Israele vero e proprio, sia per quanto riguarda i Palestinesi dei territori occupati, ed è “apartheid”, l’antitesi della lunga tradizione di giustizia sociale del giudaismo. È ora che gli Ebrei di tutto il mondo si esprimano, pubblicamente e ad alta voce, e si aggiungano a ciò che decine di voci palestinesi hanno sostenuto fino alla nausea nel corso degli anni.

I recenti rapporti della più grande organizzazione israeliana per i diritti umani, B’Tselem, di un altro gruppo israeliano per i diritti umani, Yesh Din, e di Human Rights Watch, etichettano lo stato delle cose come un crimine di apartheid, proprio come fece Jiryis nel 1966, anche se non usava la parola “apartheid” e la situazione è chiarissima. Se Israele non viene fermato e posto di fronte alle sue responsabilità, minaccerà rovina per se stesso e per tutti coloro che lo circondano.

Finché ciò non accadrà, abbiamo intanto la notizia che a Lod, una di quelle città miste che si suppone coesistano in pace, “le autorità [israeliane] hanno dichiarato uno stato di emergenza speciale nella città, che ha una popolazione di circa 80.000 persone, e hanno imposto un coprifuoco notturno. Centinaia di poliziotti paramilitari di frontiera sono stati portati dalla Cisgiordania occupata e dispiegati in tutta la città “.

Il concetto che Israele ha adottato sin dalla sua fondazione è stato che i vecchi Palestinesi moriranno e i giovani dimenticheranno. E questo non potrebbe essere più lontano dalla verità, come stiamo tutti vedendo oggi con orrore.

Di recente ho avuto l’onore di leggere il libro manoscritto (in cerca di editore) della figlia di Sabri Jiryis, Fida, che attualmente risiede a Ramallah. È una scrittrice cristiana palestinese, nata in esilio in Libano e che ha perso la madre in un attentato a Beirut nel 1983. Il suo libro racconta la storia della sua famiglia, del loro esilio e del ritorno in Israele, intrecciandola con la storia e il presente di Israele.

Fida e io siamo stati co-autori di un pezzo su Haaretz nel 2012, Perché il Giorno della Terra è ancora importante (ripubblicato su +972 Magazine), che evidenziava le difficoltà dei Palestinesi israeliani ad emanciparsi in Israele. No, i Palestinesi non stanno dimenticando, stanno comunicando con il mondo come mai prima d’ora.

Sia che questo ultimo scoppio di violenza possa essere attribuito al rifiuto di Israele di consentire ai Palestinesi di Gerusalemme Est di votare alle elezioni palestinesi, ora rinviate, o ai continui sfratti di Palestinesi per fare spazio a coloni israeliani illegali come quello che sta accadendo a Sheikh Jarrah, o alle dozzine di leggi e pratiche discriminatorie, ai razzi di Hamas, ai tentativi di Netanyahu di rimanere ad ogni costo al potere (e fuori dalla prigione), o a qualche altro motivo, una cosa è certa.

Se non si affronteranno le cause profonde della realtà odierna, stiamo semplicemente assistendo all’ultimo episodio di violenza prima del prossimo.

Sam Bahour è un consulente aziendale palestinese-americano di Ramallah / Al-Bireh nella Palestina occupata. È un frequente commentatore politico indipendente ed è co-editore di “Homeland: Oral Histories of Palestine and Palestinians” (1994). Ha un blog su ePalestine.ps. @SamBahour

https://sbahour.medium.com/israeli-social-fabric-is-ripping-at-the-seams-6541d7729959

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

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