Il verdetto di B’Tselem segue una lunga tradizione: quando ci sono denunce di apartheid israeliano, i principali media le ignorano

di Philip Weiss,  

Mondoweiss, 16 febbraio 2021. 

L’ex-presidente Jimmy Carter risponde a una domanda durante una conferenza al Carter Center in Atlanta, 2005. (AP Photo/Ric Feld, File)

Quando il gruppo per i diritti umani B’Tselem ha dichiarato, il 12 gennaio, che Israele è uno stato di “apartheid”, che mantiene un “regime di supremazia ebraica dal fiume al mare”, il rapporto ha sconvolto molti nel mondo.

Eppure, a più di un mese di distanza, lo shock è scomparso e nulla di concreto ne è seguito. The New York Times e altri popolari media statunitensi hanno ignorato il rapporto. I gruppi sionisti liberali vicini al Partito Democratico hanno evitato l’argomento come la peste, perché sanno che “apartheid” significa solo una cosa: BDS, boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, la pressione economica che i gruppi pro-Israele chiamano antisemita.

Aver snobbato B’Tselem non è affatto una cosa nuova. Proprio quest’anno la London Review of Books ha pubblicato un pezzo rivoluzionario che descrive Israele come uno stato di apartheid. Lo scorso luglio il gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din ha detto che Israele applica procedure di apartheid in Cisgiordania.

Lo scorso autunno, una coalizione di 232 gruppi della società civile ha chiesto all’Assemblea Generale dell’ONU di “avviare inchieste internazionali sul regime di apartheid di Israele sul popolo palestinese” e di “porre fine all’apartheid nel XXI secolo”.

E nessuno di quei rapporti ha avuto molto seguito negli Stati Uniti.

Tutti questi risultati sono sicuramente importanti nella lunga battaglia centrata sul: “crescente riconoscimento che Israele mantiene un regime di apartheid” (Al-Haq, 22.9.2020 [Ndt, Al-Haq è un’organizzazione palestinese indipendente per i diritti umani]). Ma l’indifferenza nei confronti di queste denunce è anch’essa nel solco di una lunga tradizione: ignorare, negli Stati Uniti, le dichiarazioni sull’apartheid di Israele. La lobby israeliana è semplicemente un’istituzione troppo onnipresente, nella nostra politica e nei media, perché l’accusa di apartheid sia presa seriamente in considerazione. No, questo è delegittimare Israele ed è antisemita!

Credo sia utile elencare molti di questi giudizi di apartheid, allo scopo di mostrare da quanto tempo gli esperti siano giunti a questa conclusione e quanto tali giudizi abbiano avuto scarso effetto, almeno fino a ora.

Inizio con la mia storia. Nel 2006 incontrai Gosiame Choabi, un funzionario ecclesiastico sudafricano a Hebron, e lui mi disse che aveva vissuto l’apartheid e quel che vedeva in Palestina, dalle strade separate ai checkpoint che bloccavano il passaggio ai Palestinesi, era “peggio dell’apartheid”. Pubblicai la sua dichiarazione nel New York Observer come fosse uno scoop giornalistico. (Alcuni mesi dopo Jared Kushner mi licenziò).

Lo stesso anno, 2006, Jimmy Carter pubblicò il suo libro, “Palestine: Peace Not Apartheid” e venne violentemente attaccato dai media. Carter era stato preciso:

All’interno della Cisgiordania è stato sviluppato un sistema di apartheid che è per molti versi più oppressivo del sistema di apartheid in Sudafrica… Le autostrade sono proibite ai Palestinesi… [E a Gaza] non ci potrebbe essere nel mondo un caso peggiore di segregazione o apartheid.

La conduttrice radiofonica Terry Gross, in particolare, rimproverò Carter per la parola ‘apartheid’. “Il titolo la sta già mettendo nei guai con molte persone”, disse su Fresh Air. “Perché non chiamarlo in un modo neutro come ‘La crisi infinita del Medio Oriente: ciò che ogni parte deve fare’? Quindi, anche se lei pensa che le pratiche di Israele siano una pratica di segregazione, non teme che usando la parola apartheid rischia di alienare proprio le persone che vuole convincere?”

Gross citò politici democratici importanti e anche l’avvocato Alan Dershowitz che avevano detto che Carter sbagliava.

Carter rispose citando il consenso globale: “Quel che volevo fare è esprimere un fatto che è quasi completamente evitato e non espresso negli Stati Uniti, ma che è ben noto nel resto del mondo”.

Diversi gruppi per i diritti umani hanno ripreso questa opinione più di 10 anni fa.

Al-Haq ha scritto: “Nel 2009, il South African Human Sciences Research Council pubblicò un rapporto in collaborazione con membri della società civile palestinese in cui si riconosceva che Israele stava violando il divieto di apartheid nei TPO [Territori Palestinesi Occupati]”,.

Il rapporto citava molti paralleli tra il regime israeliano e l’apartheid sudafricano, tra cui: detenzioni illegali, “privilegi discriminatori basati sull’etnia attribuita, … draconiana segregazione etnica in ogni aspetto della vita, compreso il confinamento dei gruppi in ‘riserve e ghetti’ etnici; ampie restrizioni delle libertà individuali, come quelle di movimento ed espressione: un doppio sistema legale basato sull’identità etno-nazionale (ebrea o palestinese); denazionalizzazione (negazione di cittadinanza); e un sistema speciale di leggi progettato selettivamente per punire qualsiasi resistenza palestinese al sistema”.

Al-Haq ha iniziato a usare il termine “apartheid” almeno dallo stesso periodo. Il Tribunale Russel ha fatto la stessa cosa nel gennaio 2012.

Una sfilza di autori hanno concordato, molti mettendo la parola apartheid nei titoli. Ilan Pappé, “Israel and South Africa: The Many Faces of Apartheid” (2015); Virginia Tilley, “Beyond Occupation: Apartheid, Colonialism and International Law in the Occupied Palestinian Territories” (2012); John Dugard e John Reynolds, “Apartheid, International Law, and the Occupied Palestinian Territory” (2013)… John Quigley, “Apartheid outside Africa: The Case of Israel” (1991). (L’elenco è di Al-Haq.)

Nel 2006 Chris McGreal pubblicò un famoso rapporto in The Guardian denunciando il fatto che “la rete di controlli che riguardano ogni aspetto della vita palestinese ha un’inquietante somiglianza con l’apartheid”. Alcuni passi scelti:

Si sentono sempre più spesso paragoni tra il dominio bianco nel Sudafrica e il sistema di controllo di Israele sulle genti arabe che esso governa…

Alcuni Ebrei sudafricani e israeliani che hanno vissuto l’apartheid –compresi politici, sopravvissuti all’Olocausto e uomini che una volta venivano dichiarati terroristi– descrivono aspetti del moderno Israele che somigliano in modo inquietante al vecchio Sudafrica. Alcuni vedono il parallelismo in una matrice di pratiche e controlli discriminatori e in ciò che loro descrivono come pura avidità di terra che il nascente stato israeliano sequestrava agli Arabi in fuga e più tardi ai Palestinesi per favorire la continua espansione delle colonie in Cisgiordania. “L’apartheid era un’estensione del progetto coloniale di espropriare le persone della loro terra,” ha detto il ministro ebreo del Sudafrica ed ex guerrigliero dell’ANC [NdT, Congresso Nazionale Africano, il più importante partito anti-apartheid] Ronnie Kasrils, durante una visita a Gerusalemme. “Questo è esattamente ciò che è accaduto in Israele e nei territori occupati; l’uso della forza e della legge per prendere la terra. Questo è ciò che l’apartheid e Israele hanno in comune.”

Anche alcuni sionisti giunsero a una conclusione di apartheid, scusandosene. Nel 2004, Jeffrey Goldberg scrisse in The New Yorker che c’era temporaneamente apartheid in Cisgiordania.

Un apartheid de facto esiste già in Cisgiordania… Gli Ebrei vivono sotto il diritto civile israeliano, … ma i loro vicini arabi –che vivono, in alcuni casi, solo a pochi metri di distanza– sono sotto un differente, e sostanzialmente non democratico, insieme di leggi amministrato dall’esercito israeliano… Ufficialmente, è una cosa temporanea. Nondimeno è una forma di apartheid, perché due diversi gruppi etnici che vivono nello stesso territorio sono giudicati da due diversi tipi di legge.

Nove anni dopo Goldberg accettava ancora la scusa di Israele: era un apartheid “provvisorio”.

Altri sono stati più onesti. Charney Bromberg, un sionista liberale, ha detto che la conclusione dell’apartheid era inevitabile, in un discorso del 2010 alla Columbia University:

È accaduto qualcosa che è un grave affronto all’idea di un Israele buono in cui credevo quando iniziai questo lavoro circa 35 anni fa… Diffido molto della parola apartheid… Israele non è stato creato come un stato razzista. Non credo che Israele sia uno stato razzista. Ma attraversate la Linea Verde e ritroverete molte di quelle attrezzature militari che i Sudafricani predisponevano per controllare la loro popolazione ostile, o meglio quella che credevano essere tale. Strade solo per bianchi. Strade controllate a ogni passo. Strade controllate da recinzioni e guardie.

Stephen Robert, un sionista liberale ed ex Cancelliere della Brown University, fu più enfatico quando, un anno dopo, scrisse in The Nation che Israele praticava “Apartheid all’ennesima potenza”:

Ciò di cui sono stato testimone in Cisgiordania –dove vivono circa 2,5 milioni di Palestinesi e 400.000 coloni israeliani– ha superato le mie peggiori aspettative. Mentre gli statisti del mondo erano esitanti, Israele ha creato un sistema di apartheid all’ennesima potenza, un’orribile prigione con muri di cemento alti fino a 8 metri, sormontati da spire taglienti di filo spinato. Lungo queste mura sono intervallate imponenti torri di guardia che ospitano bunker da cui i soldati israeliani possono sparare ai trasgressori. Da questa segregazione fisica –una terra per gli Israeliani, un’altra, ineguale, per i Palestinesi– scaturisce un fiume di miseria, brutalità e violazioni dei diritti umani…

Molti credono che ci sia una campagna internazionale per delegittimare lo stato ebraico. Ma a questo punto è Israele che sta delegittimando se stesso.

Anche Henry Siegman, un ex sionista liberale, nel 2010 pubblicò in The Nation le sue conclusioni che puntavano all’apartheid. Israele aveva perseguito il progetto di insediamento in Cisgiordania “al fine di precludere la possibilità di una soluzione a due Stati”.

Come risultato di quel “successo”… Israele ha varcato la soglia: dall’essere “l’unica democrazia in Medio Oriente” a essere l’unico regime di apartheid nel mondo occidentale.

Bene, tutto questo è sufficiente per inquadrare il passato e dimostrare che la gente parla di apartheid da lungo tempo.

Anche se qualcosa sembra essere cambiato nell’ultimo anno.

La scorsa estate Al-Haq ha detto che c’era un “riconoscimento senza precedenti del regime di apartheid di Israele” e il gruppo per i diritti umani Yesh Din, sulla base di un’indagine dell’avvocato per i diritti umani Michael Sfard, ha dichiarato che c’è apartheid in Cisgiordania.

La conclusione di questo parere legale è che il crimine contro l’umanità che si chiama apartheid è stato commesso in Cisgiordania. Gli autori sono Israeliani e le vittime sono Palestinesi.

Poi, lo scorso autunno, 232 organizzazioni della società civile hanno chiesto un’indagine dell’ONU sull’apartheid israeliano, e il mese scorso Al-Haq ha accolto con entusiasmo B’Tselem e la sua capacità di comunicare l’accusa:

“Il riconoscimento di apartheid da parte di B’Tselem, la più importante organizzazione israeliana per i diritti umani, è un importante passo nella diffusione dell’analisi giuridica di apartheid sull’intero popolo palestinese, sia che viva all’interno o al di là della linea verde, sia che viva come rifugiato o esule all’estero, e nella lotta per i diritti umani e la fine della discriminazione razziale”, ha dichiarato Shawan Jabarin, direttore generale di Al-Haq.

Essendo un ottimista, credo che questo sia un momento importante. L’idea è rimbalzata con sempre maggior frequenza negli ultimi mesi e continuerà ad aumentare perché la soluzione a due Stati è così palesemente morta (come ha detto Richard Falk ad Anadolu Agency), sostituita da uno “stato ebraico esclusivista sull’intera ‘terra promessa’ e dalla Legge Fondamentale del 2018 che afferma che solo il popolo ebraico ha diritto all’autodeterminazione nello Stato di Israele”.

Così lo stato ebraico sta delegittimando la sua stessa ideologia. E i rapporti sull’apartheid significano che il mondo ne prende atto. Un giorno anche gli Stati Uniti riceveranno la notizia.

Traduzione di Elisabetta Valento – AssoPacePalestina

1 commento su “Il verdetto di B’Tselem segue una lunga tradizione: quando ci sono denunce di apartheid israeliano, i principali media le ignorano”

  1. In Italia è anche peggio. Sia il gruppo GEDI (Stampa Repubblica Espresso Huff.Post etc.) che RCS (Corsera) nascondono e censurano le notizie che riguardano il razzismo, l’apartheid, le violenze sui palestinesi commesse in Israele e nei Territori occupati. I giornalisti fanno a gara di servilismo.

    Se scrivi sul Corriere
    dei fatti di Israele
    a Mieli sii fedele,
    sia il giudizio encomiastico
    o finisci sul lastrico
    (e anche su stampubblica
    è regola non dubbia).

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