di Greg Burris,
Middle East Eye, 27 gennaio 2021.
La proibizione israeliana di proiettare il suo documentario del 2002 “Jenin, Jenin”, ha minacciato di fare dell’attore-direttore un paria, ma la sua più che decennale carriera rende un grande tributo alla realtà palestinese
Nel 2002, Mohammad Bakri –uno degli attori palestinesi più noti e visibili in Israele– si è recato a Jenin, dopo essere venuto a conoscenza di un massacro. Bakri ha passato lì 5 giorni, a filmare i postumi dell’assalto israeliano e a intervistare numerosi sopravvissuti.
Ne è nato un film di 54 minuti, Jenin, Jenin, cheè stato presentato per la prima volta più tardi, nel corso di quell’anno, alla Cineteca di Gerusalemme. Bakri –confessa– aveva ingenuamente sognato che questo film sarebbe stato accolto da Israeliani simpatetici e che avrebbe vinto premi e riconoscimenti per la coraggiosa e impenitente presentazione del resoconto dei testimoni oculari palestinesi. Invece, è stato accolto con rabbia.
I critici di Bakri hanno condannato il documentario, considerandolo una “offesa antisemita” e lui stesso è stato accusato di spacciare propaganda “nazipalestinese”.
Dopo solo poche proiezioni pubbliche a Gerusalemme e Tel Aviv, sono intervenute le autorità e hanno vietato il film. Massacri e crimini di guerra vanno bene: documentarli è, evidentemente, un peccato imperdonabile.
La caduta in disgrazia di Bakri è stata rapida. Per circa due decenni era stato una delle facce arabe più popolari del cinema israeliano. L’anno precedente l’uscita del documentario, Bakri era stato candidato a uno dei premi cinematografici più prestigiosi di Israele, per il suo ruolo, recitato in ebraico, di un ebreo mizrahi [orientale], in Desperado Square. Con l’uscita di Jenin, Jenin, le cose sono cambiate.
“L’arabo buono” si è svelato essere più palestinese di quanto la sua audience israeliana si fosse resa conto, e, come risultato, Bakri è stato subito denunciato come traditore di fronte alla Knesset ed è stato reinventato come un simpatizzante dei terroristi nella stampa israeliana.
Dopo circa due anni di battaglie legali relative al film, la Corte Suprema israeliana ha revocato il divieto di proiettarlo.
Ora si può finalmente acquistare o proiettare Jenin, Jenin in Israele, senza commettere un reato. Comunque, la kafkiana sfida legale non è finita qui, e, da allora, il film è stato oggetto di molte cause di diffamazione su base razziale.
All’inizio del mese, una di queste cause ha avuto la meglio e una Corte di Lod ha bandito il film ancora una volta. Ha ordinato di confiscare e distruggere le copie esistenti e a Bakri è stata appioppata una multa di 175.000 shekel (circa 55.000 dollari), da pagare ad uno dei soldati israeliani che appaiono brevemente nel film. Bakri ha promesso che si appellerà contro la decisione.
Il livello di violenta retorica fiorito attorno a questo caso non dovrebbe essere sottovalutato. In Israele, Bakri è diventato un parafulmine che attira il vetriolo anti-palestinese, ed è regolarmente oggetto di invettive, minacce, parole di odio, alcune delle quali si possono vedere nel suo documentario del 2005 Since You’ve been Gone. Come uno dei legali di Bakri ha recentemente detto ad Ha’artez “Non ho mai avuto un caso in cui l’atmosfera fosse così avvelenata e violenta come in questo.”
Proprio questo momento, in cui Bakri corre il rischio di punizioni così severe per il documentario di diciotto anni fa, è ideale per fare il punto sulla sua lunga e ancora attiva carriera nell’industria cinematografica.
Bakri ha iniziato la sua carriera d’attore in un periodo in cui i ruoli importanti per gli Arabi erano estremamente rari, e perciò i suoi successi non dovrebbero essere sottostimati. Nel corso degli anni, Bakri ha cercato di scovare letteralmente ogni occasione per rendersi visibile sullo schermo, ed è diventato una delle figure cinematografiche più note.
Sfortunatamente, molti dei contributi di Bakri rischiano di essere dimenticati, e, anche nella nostra era digitale, con visioni a richiesta, in cui il divertimento è di solito questione di un click sul mouse, molti dei film di Bakri rimangono dimenticati e difficili da reperire.
Ecco una breve panoramica e un bilancio della carriera di Bakri, che sottolinea, in particolare, dieci dei suoi film che non si possono perdere.
- Hanna K. (dir. Costa-Gavras, 1983)
Bakri ha debuttato alla grande sul grande schermo. All’età di 30 anni è stato selezionato per il ruolo principale di un personaggio palestinese per una grossa produzione internazionale: il film di Costa-Gavras Hanna K, del 1983.
Basato sulla scenografia dell’autore de La battaglia di Algeri, Hanna K. tratta di una avvocatessa, la Hanna del titolo, il cui assistito palestinese, Selim (Bakri), viene arrestato continuamente per ingresso (illegale) in Israele.
Selim sostiene che vuole soltanto ritornare a casa sua; lo Stato lo accusa di essere un terrorista. Poiché seguiva a ruota il thriller politico Missing –pluripremiato– ci si sarebbe aspettati che Hanna K. ottenesse un successo di botteghino maggiore di quello che di fatto ha avuto.
Quando uscì nelle sale, gruppi filo-israeliani cercarono di opporsi. B’nai B’rith e la Lega Antidiffamazione avevano anche distribuito ai loro membri elenchi di argomentazioni, istruendoli su come rispondere alle asserzioni del film.
Forse in conseguenza di queste pressioni, sembra che Hanna K. sia stato “seppellito”. I suoi incassi al botteghino sono stati decisamente limitati e, ad oggi, rimane uno dei pochi film di Costa Gavras che non sono disponibili su DVD in Nord America.
In Hanna K.,il personaggio di Bakri rimane alquanto enigmatico. Non si sa mai con certezza se Selim sia segretamente coinvolto in pratiche violente oppure no. In ogni caso, viene costantemente presentato come un carattere molto più dignitoso di tutti gli altri personaggi maschili del film. Selim dimostra, per il bambino di Hanna, perfino più affetto di quanto non ne mostri il padre.
Mentre altri, nel film, gridano, giudicano e si infiammano facilmente, Selim rimane gentile e tranquillo di fronte alle offese, risolutamente focalizzato sul suo obiettivo: semplicemente tornare a casa.
Verso l’inizio del film, Bakri recita una delle battute più memorabili del film. Quando Hanna gli chiede perché non ha scelto di difendersi, il personaggio di Bakri risponde: “Perché non mi avrebbero ascoltato. Anzi, non mi avrebbero sentito”. Cioè, i Palestinesi possono essere visti e ascoltati, ma non sono compresi o considerati. È una intuizione significativa che è assai rilevante ancor oggi: quando un Palestinese chiede l’uguaglianza, i difensori di Israele non sentono altro che i suoni della violenza e del terrorismo.
Nonostante l’iniziale apprezzamento di personaggi come Edward Said, Hanna K., non è così radicale come si sarebbe potuto immaginare. In ogni caso, dovremmo tenere a mente il contesto in cui è apparso.
Il film è stato distribuito nell’era pre-Intifada, un momento in cui le rappresentazioni positive dei Palestinesi, o della causa palestinese, erano quasi completamente assenti nel mondo occidentale. In effetti, Hanna K. ha fatto la sua comparsa nei cinema meno di un anno prima del famoso From Time Immemorial di Joan Peters –un libro che mette in discussione l’esistenza stessa dei Palestinesi– diventasse un bestseller.
Hanna K. Rappresenta quindi una pietra miliare. Per molti spettatori in Occidente, il volto di Bakri è stato, molto probabilmente, il primo viso palestinese che avessero mai visto rappresentato sotto una luce positiva.
- Beyond the Walls (dir. Uri Barbash, 1984)
Gli anni ‘80 e ‘90 non erano tempi favorevoli per un attore arabo, né in Israele, né a livello internazionale. I pochi ruoli disponibili erano spesso limitati a personaggi grossolani e stereotipati: l’Arabo come terrorista o kamikaze. Con poche eccezioni, Bakri è riuscito ad evitare di impersonare quei ruoli, e, in qualche caso, è anche stato capace di suggerire modi per migliorare i suoi personaggi.
Per esempio, in Beyond the Walls, il dramma israeliano del 1984 sui detenuti, candidato per l’Academy Award, Bakri interpreta Issam –un leader di Fatah incarcerato– che finisce per collaborare con una gang di criminali ebrei per organizzare uno sciopero contro delle guardie carcerarie corrotte.
Originariamente Beyond the Walls doveva finire con Issam che interrompe lo sciopero per ottenere il permesso di vedere la moglie e il figlioletto. Come Ella Shohat ha notato nel suo libro “Il Cinema Israeliano”, Bakri non approvò questo approccio e disse che un finale del genere avrebbe “ucciso l’utopia”.
Dopo aver filmato la scena nei due modi, il regista condivise la posizione di Bakri. Nella scena finale, Issam rifiuta di interrompere lo sciopero. La solidarietà è mantenuta. È un importante momento cinematografico di resistenza, un momento di sacrificio personale per la causa collettiva.
In questo periodo della sua carriera, Bakri recitò in una serie di film israeliani. Spesso aveva il ruolo di militante arabo, ma qualche volta interpretò anche ruoli di Ebrei e recitò anche in ebraico, un’interessante inversione della pratica consolidata di far recitare ad attori ebrei mizrahi [orientali] il ruolo di malvagi terroristi arabi.
- Cup Final (dir. Eran Riklis, 1991)
Il film più interessante di questo periodo è Cup Final di Eran Riklis del 1991. Ambientato nel 1982, questo film segue un gruppo di militanti palestinesi nel Sud del Libano, che riescono a catturare due soldati israeliani. Il film segue il loro ritorno a Beirut, e, sebbene non diventino mai esattamente amici, la relazione tra i Palestinesi e i loro prigionieri israeliani si sviluppa in una grande empatia e, anche, in comprensione reciproca.
Cup Final è un film israeliano in ogni senso; è stato diretto da un Israeliano, scritto da un Israeliano e finanziato da Israele. E tuttavia, ciò che veramente risalta in questo film è il gruppo dei Palestinesi. Bakri recita il ruolo del loro capo, Ziad, e il resto del gruppo è recitato dai più famosi attori palestinesi con cittadinanza israeliana del momento, tipo Salim Dau, Yussuf Abu-Warda e Suhel Haddad.
Il cameratismo che si sviluppa tra loro è profondamente avvincente, a volte umoristico, a volte tremendo; a volte addolorato e triste. È sorprendente vedere i militanti palestinesi trattati con un tale livello di complessità.
Nel ruolo di Ziad, Bakri offre la migliore interpretazione del film. A prima vista assomiglia a un Rambo in versione araba: pistola in una mano, sigaretta nell’altra. Tuttavia, invece di sposare nozioni machiste di spavalderia ed eroismo maschile, Bakri rappresenta Ziad con varie sfumature e profondità, mostrando anche diversi momenti di tenerezza e delicatezza.
Una delle scene più memorabili del film, si svolge quando il gruppo si rifugia in una sala giochi. Ziad sfida il suo prigioniero israeliano al biliardo, e i Palestinesi, spontaneamente, danno ad ogni palla di biliardo il nome di cittadine e città palestinesi: Jenin, Nablus, Hebron e perfino Gerusalemme. D’improvviso, l’amichevole gioco al biliardo diventa molto più di un semplice gioco, e la tensione sale con ogni palla che il soldato israeliano riesce a mandare in buca.
- The Milky Way (dir. Ali Nassar, 1997)
Per quanto rivoluzionario sia stato il contributo di Bakri a film tipo Beyond the Walls e Cup Final, i suoi ruoli erano comunque alquanto limitati. Sembrava che fosse destinato a recitare soltanto detenuti e militanti.
Questo cominciò gradualmente a cambiare con la nascita del cinema indipendente palestinese, verso la fine degli anni ’80 e i ’90. Mentre le produzioni palestinesi cominciavano a decollare, Bakri appariva in film di registi emergenti, inclusi Hanna Elias, Michel Khleifi, Rashid Masharawi e Najwa Najjar. In questi film, i Palestinesi potevano finalmente rappresentare personaggi con molta più varietà ed anche umanità.
Uno dei ruoli più memorabili di questo periodo è una gemma poco conosciuta, quasi dimenticata del 1997, The Milky Way di Ali Nassar. Ambientato in un villaggio palestinese della Galilea durante gli anni dell’occupazione militare israeliana, il cast di The Milky Way è composto esclusivamente da attori palestinesi. Anche i militari israeliani che appaiono nel film, sono recitati da Palestinesi.
Oltre ad essere stato il produttore esecutivo del film, Bakri ha anche recitato nel ruolo di uno dei suoi più avvincenti personaggi: Mahmud il fabbro. La prima volta che vediamo Mahmud, è nella sua bottega, accovacciato vicino al fuoco, su cui sta forgiando una falce. Se questo simbolismo non fosse sufficiente a farci indovinare il suo orientamento politico, veniamo subito a sapere che il suo colore preferito è il rosso.
Se da un lato i richiami socialisti possono essere un po’ pesanti, Mahmud è un protagonista memorabile, che deve fronteggiare un nuovo tipo di nemico. Mentre gli Israeliani costituiscono ancora una minaccia sullo sfondo del film, gli antagonisti più immediati emergono dalla società palestinese stessa: ufficiali corrotti e tradizioni gerarchiche.
- Haifa (dir. Rashid Masharawi, 1996), e 6. Laila’s Birthday (dir. Rashid Masharawi, 2008)
Una delle più notevoli collaborazioni di Bakri, è stata quella con il regista nato a Gaza, Rashid Masharawi. Bakri è apparso in parecchi dei suoi film, incluso Haifa (1996) e Laila’s Birthday (2008). Nel primo, Bakri recita il ruolo di un pazzo –l’archetipico idiota del villaggio– che corre attorno al campo dei rifugiati di Gaza, urlando in modo concitato i nomi delle città conquistate: “Jaffa, Haifa, Acri!”
Haifa è un film di sogni spezzati. Nei suoi brevi 75 minuti, ogni frammento di speranza sembra distrutto, soprattutto le speranze del personaggio ingenuo di Bakri. Il film pare essere una valutazione critica degli accordi di Oslo: troppo poco e troppo tardi.
Filmato nel corso di un decennio, Laila’s Birthday sviluppa alcuni degli stessi temi. Se Haifa lamentava l’inizio del periodo di Oslo, Laila’s Birthday è una risposta alla sua istituzionalizzazione e al suo completo fallimento.
Ambientato nel corso di una singola giornata della vita di Abu Laila (Bakri), un giudice diventato taxista a Ramallah, il film è un esercizio di frustrazione crescente. In ogni direzione in cui svolta, Abu Laila incontra ostacoli: il traffico, ufficiali corrotti, ostacoli burocratici, clienti maleducati, violenza di Palestinesi sui Palestinesi.
Alla fine, Abu Laila ne ha abbastanza e il film termina con una scena spettacolare in un’area di servizio, in cui il protagonista afferra il microfono di una macchina della polizia e comincia a urlare ordini al mondo caotico e corrotto che gli sta intorno.
La follia dei Territori Occupati ha spinto l’uomo più sano della zona sull’orlo della pazzia. Nonostante la tensione crescente del film, Abu Laila mantiene una reale tenerezza e un affettuoso calore per la sua giovane figlia, Laila, e Bakri naviga sapientemente questa mescolanza di amore e follia, serenità e pazzia.
- 1948 (dir. Mohammad Bakri, 1998)
Mentre Jenin, Jenin è il film che ha dato a Bakri la notorietà, non è stato né il primo né l’ultimo documentario che abbia diretto. Pensato per coincidere con il cinquantesimo anniversario della Nakba, il suo esordio come regista, 1948, ha portato sullo schermo memorie che, altrimenti, non erano ancora state registrate dal cinema.
Se, da un lato, la Nakba esiste all’ombra della maggior parte dei film palestinesi, è stata però raramente rappresentata in modo così diretto. Il nucleo di 1948 sono le sue interviste con i sopravvissuti della Nakba, inclusa gente scappata al massacro di Deir Yassin e al-Dawayima e profughi di villaggi distrutti come Saffuriya.
La prima intervista del film è quella ad un’anziana donna, una sopravvissuta di Deir Yassin. Di fronte alla cinepresa, la donna canta una lamentazione, mentre una bandiera israeliana, ironicamente, sventola dietro di lei.
Assieme ai sopravvissuti della Nakba, 1948 presenta anche foto d’archivio, interviste con famosi autori palestinesi (il poeta Taha Muhammad Ali e la scrittrice Liana Badr) e scene dal monologo di Bakri, il Pessoptimist (basato su un romanzo di Emile Habiby)
Il film include anche conversazioni con diversi Israeliani: un soldato che aveva partecipato alla cosiddetta Guerra d’Indipendenza, diventato poi attivista per la pace, e due Ebrei iracheni, che ora vivono in un villaggio che era stato precedentemente abitato da Palestinesi.
Bakri dà al film anche un po’ di contesto storico, includendo interviste con un giornalista israeliano; e uno si chiede se questa inclusione sia una delle ragioni per cui 1948 non produsse la stessa reazione al vetriolo di Jenin, Jenin. Tutti e due i documentari sono estremamente critici di Israele, ma, mentre 1948 comprendeva autorevoli voci israeliane, quest’ultimo presenta solo Palestinesi in lutto.
- Private (dir. Saverio Costanzo, 2004)
Con l’uscita di Jenin, Jenin nel 2002, Bakri è diventato persona non gradita nei circoli israeliani. Una delle sue più importanti fonti di lavoro gli è quindi stata preclusa e, come risultato, si è rivolto sempre più a produzioni internazionali.
È da sottolineare come alcuni di questi film abbiano riguardato le lotte di altre comunità, incluse quella armena e curda. Come Bakri ha una volta dichiarato durante un’intervista: “Amo girare film per gli oppressi e che riguardano gli oppressi.”
Per esempio, in The Lark Farm, Bakri impersona un contadino turco senza un soldo, che si pente della propria decisione di aver tradito il datore di lavoro armeno durante il genocidio. Un’altra produzione internazionale in cui Bakri compare, Flowers of Kirkuk, tratta del massacro dei Curdi ad opera del regime di Saddam Hussein negli anni ‘80 del Novecento.
Ovviamente, alcune delle produzioni internazionali di Bakri hanno come tema la Palestina. L’esempio più significativo di questa categoria sono il film italiano del 2004 Private e il film d’animazione norvegese del 2018, The Tower.
Private rappresenta l’esordio cinematografico del regista Saverio Costanzo. Bakri interpreta un uomo la cui famiglia abita in una grande casa in un’area rurale della Cisgiordania. Una notte la famiglia viene bruscamente svegliata dall’invasione della loro casa da parte di soldati israeliani. Piuttosto che buttar fuori semplicemente la famiglia palestinese, gli Israeliani impongono una suddivisione tripartita della casa; un’ovvia metafora per la divisione dei Territori Occupati in area A, B e C.
9. The Tower (dir. Mats Grorud, 2018)
The Tower è un film d’animazione che usa pupazzi a stop-motion e segue tre generazioni di una famiglia scappata dalla Palestina, che vive ora nel campo profughi Bourj el-Barajneh in Libano. Bakri è una delle voci degli attori.
Mats Grorud, il regista norvegese del film, ha una connessione personale con la storia. Nel 1980 e negli anni seguenti, sua mamma ha fatto la volontaria come infermiera in qualcuno dei campi, e lui stesso, più tardi, ha lavorato lì come insegnante di inglese.
Come film d’animazione, The Tower è stato tradotto in varie lingue, e Bakri ha prestato la sua voce al personaggio del nonno nella versione inglese. È piuttosto strano sentire personaggi palestinesi che parlano in lingue diverse da quella araba. In ogni caso, come film d’animazione internazionale, The Tower può potenzialmente raggiungere un’audience mondiale che altri film non potrebbero mai raggiungere, ed è quindi un altro importante contributo al cinema Palestinese.
10. Wajib (dir. Annemarie Jacir, 2017)
La carriera cinematografica di Bakri, che si avvicina al suo quarto decennio, mostra pochi segni di rallentamento. In più, il suo contributo al cinema palestinese, va oltre il suo personale lavoro e tre dei suoi figli –Saleh, Ziad e Adam– sono, a loro volta, diventati attori.
Sembra ormai che, in quasi ogni nuovo film palestinese, ci sia almeno qualcuno del clan Bakri. Mentre Bakri ha occasionalmente lavorato a dei film con i suoi figli –Saleh appare brevemente in Laila’s Birthday, per esempio, e Ziad ha diretto nel 2011 un corto in cui recitava il padre, The Salt Fisherman– è stato solo con Wajiab di Annemaire Jacir che Bakri ha diviso il ruolo di comprimario con uno di loro.
Con protagonisti comprimari Bakri e il figlio Saleh, Wajib rappresenta in assoluto una delle migliori prestazioni nella considerevole carriera di Bakri. Il film si svolge a Nazareth, e segue un padre mentre gira in macchina con il figlio, per distribuire inviti al matrimonio della figlia. Il padre, Abu Shadi, è un insegnante che si è gradualmente adattato alla realtà della vita in Israele nei tempi moderni.
Il figlio Shadi, dall’altra parte, è un radicale che si è trasferito in Italia. È interessante paragonare il ruolo del maturo Bakri di questo film, con qualcuno dei suoi ruoli precedenti. A un certo punto del film, il figlio di Bakri gli passa al telefono il padre della sua ragazza in Italia: un invecchiato membro dell’OLP.
Per qualche breve momento è come se parlasse a uno dei suoi precedenti personaggi: i radicali e i militanti di film come Beyond the Walls e Cup Final. Quando il membro dell’OLP, desideroso di immagini della terra natale, gli chiede cosa stia vedendo al momento, Abu Shadi mente e gli dice che sta guardando un bellissimo aranceto, mentre, in effetti, getta gli occhi su un mercatino delle pulci che vende ammennicoli natalizi a buon mercato.
Questa scena umoristica incapsula uno dei temi più importanti del film: la contraddizione tra un’immagine romanticizzata della Palestina e la realtà banale dell’esistenza quotidiana. La Palestina è meravigliosa, ma la Palestina è anche normalità. Nel corso della sua carriera Bakri ha dato vita a tutti gli aspetti di questa contraddizione.
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Traduzione di Anna Maria Torriglia – AssopacePalestina