di Oren Ziv
+972Magazine, 10 dicembre.
Come denunciano gli avvocati che difendono i detenuti palestinesi, le detenzioni amministrative si basano di regola su “materiale riservato” consegnato in via riservata ai tribunali da parte dello Shin Bet, i servizi segreti israeliani. Si tratta di materiali a cui i detenuti stessi ed i loro avvocati non hanno accesso. Di conseguenza, è praticamente impossibile difendersi da un ordine di detenzione amministrativa. Secondo il diritto internazionale, la detenzione amministrativa dovrebbe essere utilizzata solo nei casi più estremi. “Siamo venuti qui per protestare contro le detenzioni amministrative, in corso dal 1967″, ha detto l’attivista Sigal Avivi a +972. “Negli anni sono stati arrestati uomini, donne e bambini. “Siamo qui perché lo Shin Bet lavora nell’ombra. In passato, alcuni studenti che hanno cercato di protestare qui sono stati costretti ad andarsene. Il nostro obiettivo è raggiungere molte persone ed essere qui e mostrare come lo Shin Bet è coinvolto in tutte le fasi della detenzione amministrativa”. “La detenzione amministrativa si basa su informazioni riservate solitamente raccolte dallo Shin Bet”, ha detto Sahar Francis, direttore esecutivo di Addameer, una ONG con sede a Ramallah che fornisce assistenza legale ai prigionieri palestinesi. “I capi di imputazione non ci vengono mai rivelate a noi avvocati. Il problema con la detenzione amministrativa è che è infinita, i detenuti vengono messi in detenzione e non sanno perché sono lì o quando saranno rilasciati”.
“I detenuti vengono trasferiti agli interrogatori dello Shin Bet, che in molti casi includono la tortura”, si legge in una dichiarazione pubblicata dagli organizzatori della protesta. “L’uso sistematico di torture fisiche e mentali, abusi, false notizie, alterazione delle prove e impunità fanno parte del passato e del presente nel modo di operare dello Shin Bet. I metodi di interrogatorio brutali e violenti dello Shin Bet sono un segno di vergogna per l’intera organizzazione, non solo0 per il singolo torturatore”. Nonostante il calo del numero di casi negli ultimi due decenni, Francis osserva che la detenzione amministrativa è ancora una pratica comune. “Ci sono nuovi ordini ogni settimana così come estensioni di ordini esistenti. Proprio questa settimana abbiamo avuto il caso di un uomo di Betlemme che ha trascorso due anni in detenzione amministrativa. Il tribunale ha deciso di rilasciarlo, ma poi la sua detenzione è stata nuovamente decisa. Il problema è che possono sempre affermare che c’è nuova informazione, e noi come avvocati non sappiamo cosa hanno in mano come accuse, siamo completamente dipendenti dai giudici. La detenzione amministrativa può anche essere usata come un passo che precede la detenzione “regolare” o come mezzo per garantire che i palestinesi siano tenuti dietro le sbarre, anche se il tribunale militare ordina che siano rilasciati. È stato il caso di Amal Nakhleh, un palestinese di 16 anni sospettato di aver lanciato pietre ed è stato arrestato il mese scorso mentre tornava a casa dopo aver fatto la spesa con gli amici. Dopo che il giudice aveva previsto il rilascio su cauzione, i militari hanno minacciato di porre Nakhleh in detenzione amministrativa per assicurarsi che rimanesse in prigione.
Nakhleh ha recentemente subito un intervento chirurgico per rimuovere un tumore e soffre di una malattia autoimmune che colpisce i muscoli e la capacità di deglutire e respirare. Ha bisogno di cure mediche regolari ed è ad alto rischio di COVID-19. Il caso di Maher Al-Akhras, un palestinese che ha fatto lo sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione amministrativa, ha messo in luce l’informazione unilaterale e confidenziale consegnata dallo Shin Bet ai giudici militari israeliani. Al-Akhras ha concluso lo sciopero della fame dopo 103 giorni ed è stato rilasciato il 26 novembre. Al momento del suo arresto, la moglie di Al-Akhras, Taghrid, ha parlato della condizione di venire imprigionato senza processo: “Mio marito è in arresto senza motivo . In passato, è stato minacciato di arresto e gli è stato detto che lo avrebbero distrutto. Ha dovuto fare lo sciopero della fame per poter essere liberato.”
Oren Ziv è un fotoreporter, un membro fondatore del collettivo fotografico Activestills e giornalista della israeliana Local Call.
Traduzione a cura dell’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su Local Call.
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