di Chris Doyle
Arab News, 2 novembre 2020.
Chi pensa che i bambini dovrebbero essere torturati o sistematicamente perseguiti in un tribunale militare? Chi pensa che i bambini dovrebbero essere cacciati in celle affollate durante la pandemia da coronavirus e privati delle visite dei familiari? Nessuno, e nemmeno io. Eppure è proprio questo ed altro che quel presunto faro solitario di democrazia nel Medio Oriente che è Israele fa ai bambini palestinesi.
L’ONU e diverse associazioni umanitarie ne riferiscono da un po’, ma il tema è stato messo in luce chiaramente da un report di Save the Children (SCF), pubblicato la settimana scorsa, intitolato: “L’impatto della detenzione militare israeliana sui bambini palestinesi”. Un bruciante atto d’accusa nei confronti delle autorità israeliane, e una meritevole aggiunta alla ampia ma schiacciante ricerca seria su questo argomento.
SCF ha esaminato i casi di oltre 470 bambini di tutta la Cisgiordania. All’epoca erano di età compresa tra i 12 e i 21 anni, ed erano tutti stati arrestati o detenuti da bambini, in età compresa tra i 10 e i 17 anni.
“La maggior parte ha riferito di essere stato soggetto ad un arresto violento o stressante, avvenuto per lo più di notte; interrogazioni in stato di costrizione; abusi fisici e psicologici durante la detenzione; diniego di servizi essenziali inclusa una istruzione adeguata: tutte circostanze che costituiscono violazione dei loro diritti sanciti dal diritto internazionale”, dice SCF.
In modo un po’ sorprendente, il report abbassa i toni quando utilizza l’espressione “interrogatorio coercitivo”. È tortura, pura e semplice. SCF non è la prima a muovere questa accusa, ma i Palestinesi si chiedono come mai i ministri europei e statunitensi, tra gli altri, non dicano niente.
Il report afferma che l’occupazione ha “avuto un impatto su ogni aspetto della loro vita, dalla sicurezza e lo sviluppo al benessere psicosociale e alla salute mentale”. Perfino andare a scuola, oltrepassando insediamenti e checkpoint militari, può essere traumatico. Oltre 10.000 bambini palestinesi sono stati sottoposti a detenzione da parte di Israele negli ultimi 20 anni.
L’impatto è enorme, e comporta che i bambini siano affetti da “ansia, depressione, cambiamenti nel comportamento, disordini alimentari e del sonno, e sintomi fisici come dolore al petto, spossatezza e torpore”, ha detto SCF.
Per il diritto internazionale la detenzione dei bambini dovrebbe essere un’opzione di ultima istanza. Ciò che si osserva regolarmente nell’occupazione israeliana è che essa è sistematica, utilizzata non solo come uno strumento di controllo, ma anche di dominazione e intimidazione di un popolo sottomesso.
Una delle ragioni per cui l’occupazione militare israeliana non richiede una forte presenza nella Cisgiordania per controllare 2,7 milioni di persone è il modo in cui il sistema penale e detentivo spezzano la volontà e lo spirito della popolazione sotto occupazione, a partire dall’infanzia.
Gli arresti di bambini sono frequenti. Circa la metà dei bambini palestinesi detenuti vengono arrestati di notte. Spesso un bambino si sveglia e trova soldati israeliani armati fino ai denti nella sua stanza da letto. Questo è già abbastanza spaventoso, ma poi solitamente vengono portati via dalle loro case senza che ci siano adulti con loro e ficcati nel retro di una jeep militare. Normalmente vengono portati in un insediamento, in attesa dell’interrogatorio.
La maggior parte dei bambini riferisce che non gli è stato permesso di dormire prima dell’interrogatorio, e l’89% afferma di essere stato bendato o incappucciato durante la detenzione. Quasi tutti i bambini subiscono ispezioni corporali.
Un bambino, Issa, ha ricevuto una ferita da arma da fuoco a un checkpoint. È stato interrogato prima di essere portato all’ospedale. Durante l’interrogatorio c’era un’arma posata sul tavolo di fronte a lui. Nessun bambino ha riferito la presenza di un avvocato durante l’interrogatorio. Generalmente i bambini firmano confessioni in ebraico, che non capiscono.
La maggior parte dei bambini viene arrestata per lancio di pietre. Questo accade generalmente vicino a insediamenti israeliani o a checkpoint, dai quali è difficile stare lontani nella Cisgiordania di oggi. Sono luoghi di tensione. Secondo Military Court Watch, i bambini palestinesi che sono stati detenuti nel 2019 vivevano in media entro 900 metri da un insediamento nella Cisgiordania.
Se un bambino israeliano degli insediamenti lancia una pietra, la cosa è gestita attraverso il processo civile israeliano, con tutte le adeguate garanzie che ci si aspettano. Due popoli, due diversi sistemi giuridici esistono in un unico paese.
In molti casi, il comandante israeliano locale prende bambini palestinesi quasi a caso ogni volta che c’è un episodio di lancio di pietre. Devono farlo per mantenere il clima di deterrenza, altrimenti ci sarebbero rivolte tutti i giorni. Nelle molte volte che sono stato nei tribunali militari israeliani, non una volta ho visito presentare prove della colpevolezza di qualche bambino per i lanci di pietre.
Israele è l’unico paese al mondo che processa sistematicamente i bambini nei tribunali militari. A quanto pare, sono estremamente efficienti. Il tribunale militare di Ofer, uno dei due presenti in Cisgiordania, vanta una percentuale di condanne del 99,74% in base ai numeri da esso stesso forniti.
Forse il mancato 100% dipende da qualche banale anomalia statistica, ma sicuramente i regimi siriano e nordcoreano sarebbero orgogliosi di un tal risultato. Ogni bambino palestinese sa che se confessa gli verrà inflitta una detenzione più breve, e sa che contestare le accuse non serve a nulla.
Nella mia prima visita a uno di questi tribunali non credevo ai miei occhi. Un quattordicenne veniva portato in aula con le catene alle caviglie. Un anziano politico britannico che era con me descrisse il tribunale come una catena di montaggio. La giustizia e lo stato di diritto erano palesemente assenti.
Il periodo di detenzione è devastante per i bambini. Circa il 60% viene incarcerato in Israele, in violazione dell’art. 76 della Quarta Convenzione di Ginevra. Nelle celle sovraffollate le condizioni sono scadenti, ma i bambini vengono anche messi in isolamento. Secondo Amina, che aveva 15 anni quando è stata detenuta, “Non ti senti un essere umano in quel posto. Eravamo trattati come animali”.
I prigionieri palestinesi, compresi i bambini, sono detenuti in celle sovraffollate anche durante la pandemia. I bambini riferiscono che non gli è stato neppure detto nulla sulla pandemia quando erano nelle carceri israeliane. Per giunta, il diritto di ricevere visite è stato sospeso. In teoria possono ricevere telefonate dalle loro famiglie ogni due giorni, ma in realtà ci voleva circa un mese. In luglio è stato diagnosticato il virus al primo bambino detenuto, seguito da un quattordicenne a settembre.
La detenzione è diventata una norma per i bambini palestinesi. È un doloroso rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta. L’altra cosa che è diventata una norma è la reazione internazionale. Il conflitto israelo-palestinese è lontano dalla soluzione, ma sicuramente il minimo che uno dovrebbe aspettarsi è una chiara opposizione di principio agli abusi sui bambini.
Chris Doyle è direttore del Council for Arab-British Undestanding, con sede a Londra. Twitter: @Doylech
Traduzione di Dora Rizzardo – AssopacePalestina