Se siete a favore della pace, rifiutate questa pace

Nov 3, 2020 | Riflessioni

di Haggai Matar

+972magazine, 29 ottobre 2020.

I Palestinesi e la destra israeliana capiscono che gli Accordi di Abramo sono uno strumento per rafforzare l’apartheid. La Sinistra sionista ancora non ci arriva.

Un uomo sventola la bandiera degli Emirati Arabi Uniti davanti alla residenza ufficiale del Primo Ministro a Gerusalemme, 19 agosto 2020 (Yonatan Sindel/Flash90)

Qualcosa di piuttosto raro è accaduto alla Knesset il 15 ottobre. L’osannato accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti è stato presentato al Parlamento per il voto, poche settimane dopo che il Primo Ministro Benjamin Netanyhau l’aveva firmato sul prato della Casa Bianca. La stragrande maggioranza degli 80 membri della Knesset ha ratificato l’accordo; dal partito sionista liberale Meretz a quello di destra, il Likud di Netanyahu, a quello nazionalista-religioso Yamina di Naftali Bennett. Soltanto 13 dei 120 membri della Knesset hanno votato contro l’accordo: erano tutti membri della Joint List, l’alleanza di quattro partiti che rappresenta in gran parte i cittadini palestinesi di Israele.

Come si è arrivati al punto in cui il partito più favorevole alla pace si oppone ad accordi del genere con i paesi Arabi, mentre la destra ebraica israeliana li sostiene? La risposta, in breve, è che questi accordi, inclusi i più recenti con il Bahrain e il Sudan, non sono davvero accordi di pace: sono strumenti di oppressione.

La pace, come recita anche l’Oxford Dictionary, richiede uno status preesistente di guerra od ostilità. Eppure, non un singolo soldato israeliano è stato ucciso in una battaglia contro gli Emirati, e gli abitanti di Manama non hanno mai dovuto temere un attacco aereo israeliano. In effetti, Israele ha incoraggiato per anni più che cordiali rapporti strategici ed economici con i paesi del Golfo, incluso il fatto che compagnie israeliane offrivano agli Emirati Arabi Uniti e al Bahrain (tra gli altri) sofisticati programmi-spia da usare contro i loro stessi cittadini.

Dall’altra parte –dal punto di vista della destra israeliana– lo scopo principale di questi accordi è quello di consolidare il proprio potere e di indebolire ulteriormente la lotta palestinese contro l’occupazione e l’apartheid. Come bonus, questi accordi portano con sé qualche copertura mediatica positiva per le amministrazioni sia di Netanhyahu che di Trump, altrimenti molto impopolari. Ambedue i Presidenti, infatti, si stanno dimostrando fallimentari nel gestire la pandemia del coronavirus e le sue ripercussioni economiche: ambedue, inoltre, devono affrontare conseguenze legali e la pressione dell’opinione pubblica relativamente ad accuse di corruzione.

Spingere i Palestinesi a cedere

Da parte sua, Netanyahu è estremamente chiaro sul legame esistente tra il suo piano di normalizzazione e l’occupazione israeliana. “I Palestinesi sostengono che dovremmo ritirarci ai confini del ‘67 e dividere Gerusalemme: il che è assurdo” ha detto in agosto alla Radio dell’Esercito Israeliano, dopo che gli Accordi di Abramo erano stati annunciati. “Credo che dovremmo adottare un approccio completamente diverso: pace in cambio di pace; pace che viene dalla forza.”

Per il Primo Ministro, la cui opposizione a uno Stato Palestinese è ben nota, gli accordi sono una prova che la formula “terra in cambio di pace”, che definiva i precedenti accordi di pace, era un errore. “Abbiamo spezzato questa dottrina terribile e pericolosa, e ne sono fiero” ha detto.

Per dirla senza mezzi termini, lo scopo fondamentale di queste nuove alleanze, è quello di far pressione sui Palestinesi, perché facciano marcia indietro sulle loro richieste politiche fondamentali –richieste radicate nel Diritto Internazionale e nelle Risoluzioni ONU. Per quanto riguarda il Parlamento Israeliano, i Palestinesi, così come gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il Sudan, dovrebbero accontentarsi della “pace in cambio di pace” – senza cessioni territoriali, senza richiedere una parte di Gerusalemme, o la fine dell’occupazione militare o il ritorno dei rifugiati.

Il Presidente americano Donald Trump e il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante la visita del Primo Ministro alla Casa Bianca, Washington, 15 febbraio 2017(Avi Ohayon/GPO)

Per decenni, uno dei maggiori punti di forza dei Palestinesi al tavolo delle trattative è stato il sostegno degli Stati Arabi. Un’ipotesi di scambio era stata avanzata dall’Iniziativa di Pace Araba del 2002, confermata poi varie volte dalla Lega Araba, che prometteva piena ed ufficiale normalizzazione dei rapporti con Israele in cambio della fine dell’occupazione. Dal punto di vista di Netanyahu, questo sostegno significava che i Palestinesi stavano tenendo i paesi arabi “ostaggi per le richieste più estreme”. Erodendo pezzo a pezzo quel fronte unito, un paese alla volta, Netanyahu e Trump stanno togliendo ai Palestinesi un’altra possibilità su cui far leva per le trattative –forse una delle loro ultime.

La motivazione più accomodante per questi accordi, così come li hanno presentati i leader del Bahrain e i sionisti israeliani di sinistra come il capo del Meretz Nitzan Horovitz, è che gli accordi avrebbero allontanato i piani di Netanyahu di annettere unilateralmente de jure parti della Cisgiordania. E tuttavia l’annessione formale era a un punto morto anche prima che gli accordi fossero annunciati, sia a causa della pressione internazionale sia a causa dell’opposizione all’interno della destra dei coloni e della coalizione governativa di Netanyahu. Nello stesso tempo, l’annessione de facto –lanciata da Trump come “l’Accordo del Secolo”– continua sul terreno a pieno ritmo in tutta la Cisgiordania: sulle terre di Battir vicino a Betlemme, attraverso nuovi avamposti e strade per i coloni, a Gerusalemme Est dove il Jewish National Fund si sta alleando con gruppi di coloni per aumentare il controllo ebraico sulla città e via dicendo.

Qualsiasi speranza che il patto con i Paesi del Golfo potesse rallentare le annessioni è stata sonoramente messa a tacere questo mese, quando Netanyahu ha annunciato una nuova ondata di costruzioni di insediamenti, a cui non si sono opposti né gli Emirati Arabi Uniti, né il Bahrain. Come ha detto un anziano funzionario degli Emirati al sito di informazione israeliano Ynet,Israele può aspettarsi una “pace cordiale, che potrebbe sopportare anche una crisi come quella provocata da una guerra contro Gaza.”

Così, non solo gli accordi non fanno nulla per promuovere la fine dell’occupazione dei Palestinesi, fanno di peggio: la consolidano. Come il Presidente del partito Balad, Jamal Zahalka, ha recentemente affermato –prima dell’annuncio dell’accordo di normalizzazione con il Sudan– gli Accordi di Abramo sono essenzialmente un’alleanza fra tre Stati che praticano l’apartheid: Israele nei confronti dei Palestinesi, il Bahrain con la sua oppressione sunnita, sostenuta dall’Arabia Saudita, sulla maggioranza sciita; e gli Emirati Arabi Uniti, dove un milione di cittadini vive assieme ad otto milioni di “stranieri” che non hanno alcun diritto.

Mettere alle strette la sinistra sionista

Questo ci riporta alla spaccatura all’interno della sinistra sionista israeliana, le cui linee di faglia si possono grossomodo tracciare attorno alla sua relazione con il Sionismo. Mentre Ebrei di sinistra anti- o non-sionisti sostengono la posizione della Joint List contro gli accordi, il Partito Laburista eil Meretz votano e si esprimono a favore.

La posizione di quest’ultimo echeggia sulle pagine di Haaretz, il principale giornale sionista liberale di Israele che, in un recente editoriale, ha acclamato gli accordi come “un evento estremamente importante nella storia del conflitto arabo-israeliano… Netanyahu ha titolo per raccogliere il credito di questo passo in avanti, e Israele deve ringraziare il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per i suoi sforzi e le pressioni che ha esercitato, senza le quali questa cerimonia non si sarebbe potuta celebrare”. Per Meretz e Haaretz, gli accordi non sono un ostacolo o una deviazione, bensì una pietra miliare verso la pace con i Palestinesi.

CIl Presidente del Partito Laburista Amir Peretz e il leader di Meretz Nitzan Horowitz tengono una conferenza stampa a Tel Aviv,12 marzo 2020 (Tomer Neuberg/Flash90)

Questa posizione, non sorprendentemente, ignora completamente le voci dei Palestinesi –dagli attivisti agli analisti, ai politici, dall’interno di Israele, dai Territori Occupati e dalla diaspora– che hanno sottolineato come gli accordi vengano usati come una copertura per rafforzare ulteriormente l’apartheid. Ciò che è abbondantemente chiaro ai Palestinesi e alla destra israeliana, in qualche modo non è chiaramente visibile ai sionisti liberali.

Dato che la mossa di Netanyahu si sta trasformando in un’arma, sia contro il campo di pace israeliano, sia contro i Palestinesi, la reazione calorosa agli accordi mostrata dalla sinistra sionista può sorprendere. Per anni, la sinistra ha sostenuto due argomenti principali per fare la pace con i Palestinesi: terminare violenza e spargimento di sangue e guadagnare legittimazione e normalizzazione con i paesi arabi.

Netanyahu ha reso ambedue questi incentivi ridondanti. Il numero dei morti israeliani nel conflitto è diminuito di dieci volte negli ultimi dieci anni, riducendo il costo dell’occupazione in termini di vite umane. Ora, con questi “accordi di pace”, sta diventando evidente per gli Israeliani che essi non hanno neppure bisogno dei Palestinesi per avere accesso a un più vasto Medio Oriente. Nel frattempo, Israele può continuare a trarre profitto dall’occupazione, dalla terra a buon mercato (leggi “rubata”) per costruire abitazioni, all’acqua e ad altre risorse naturali, a un mercato e a una forza lavoro prigionieri e via dicendo.

Come nel caso del movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), la questione degli Accordi di Abramo mette alla stretta gli Ebrei israeliani di sinistra. Un’autentica resistenza alla situazione coloniale richiede che si metta in questione il nostro privilegio e, in questo caso, che si resista agli “accordi di pace” di cui beneficia solo Israele. Questa posizione, che si oppone al dare “carote” a Israele per le sue azioni criminali, e incoraggia invece –attraverso la pressione internazionale– a brandire il “bastone”, è qualcosa di difficile da far digerire al pubblico israeliano; fatto che spiega perché la Joint List sia lasciata così platealmente da sola in questa posizione. E tuttavia, è l’unico modo per promuovere pace, libertà, uguaglianza e democrazia autentiche in questa terra. Noi –Israeliani sul campo e alleati della giustizia a livello internazionale– dobbiamo solo ascoltare i nostri partner palestinesi per capirlo.

Haggai Matar è un giornalista e attivista politico israeliano che ha vinto vari premi, oltre ad essere stato direttore di “972 – Advancement of Citizen Journalism”,l’associazione nonprofit che pubblica la rivista “+972 Magazine”

https://www.972mag.com/zionist-left-netanyahu-abraham-accords/

Traduzione Anna Maria Torriglia – AssopacePalestina

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