L’accordo Emirati Arabi Uniti-Israele è una vittoria per gli estremisti del Monte del Tempio

di Daniel Seidemann

+972magazine, 1 settembre 2020.

I termini dell’accordo sui luoghi santi di Gerusalemme consentono ai gruppi ebraici estremisti di perseguire le loro pericolose aspirazioni – e di concretizzare le più profonde paure dei Palestinesi.

Ebrei israeliani visitano il complesso del Monte del Tempio, luogo della Moschea di Al-Aqsa e della Cupola della Roccia nella Città Vecchia di Gerusalemme, durante la festa ebraica di Sukkot, 8 ottobre 2017. (Yaakov Lederman/Flash90)

La pompa magna che lunedì ha circondato lo “storico” volo dei funzionari israeliani e americani da Tel Aviv ad Abu Dhabi è stata un vero spettacolo. Due settimane fa, il 13 agosto, il presidente degli Stati Uniti Trump, il principe degli Emirati bin Zayed e il primo ministro israeliano Netanyahu hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per normalizzare le relazioni tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele. Poiché i dettagli dell’accordo non sono ancora conclusi, la dichiarazione congiunta trilaterale annunciante questo evento fondamentale è stata, prevedibilmente, povera di dettagli e ricca di fiorita retorica.

Tuttavia, nascosta tra le parole elevate dei funzionari c’è un’eccezione, accuratamente formulata, a questa parsimonia di dettagli, che recita: “Come stabilito nella Visione per la Pace, tutti i Musulmani che vengono in pace possono visitare e pregare nella Moschea Al Aqsa, mentre gli altri luoghi santi di Gerusalemme devono rimanere aperti per i fedeli pacifici di tutte le religioni”. Ma se questa può sembrare un’affermazione non controversa, di fatto la formulazione ha implicazioni profonde e potenzialmente pericolose.

La linea si collega all’esplosivo centro del conflitto tra Israeliani e Palestinesi per Gerusalemme e nel quale gli Arabi e tutto il mondo musulmano sono interessati: il cosiddetto “status quo” che circonda il Monte del Tempio/Haram al-Sharif. Questo status quo emerse dopo la guerra del 1967, quando Israele occupò la Città Vecchia di Gerusalemme e con essa prese il controllo del Muro Occidentale, il luogo più sacro del giudaismo, e della Moschea Al-Aqsa e della Cupola della Roccia, due dei luoghi più sacri dell’Islam.

Mentre non c’è una definizione universalmente accettata dello status quo, uno dei suoi pilastri è stato meglio articolato in una dichiarazione formale fatta da Netanyahu nel 2015, che esprime la posizione di ogni primo ministro israeliano dal 1967 in poi: “Israele continuerà ad applicare la sua politica di sempre: i Musulmani pregano sul Monte del Tempio; i non-Musulmani visitano il Monte del Tempio”. Da allora nessuna affermazione di Netanyahu si è discostata da quella dichiarazione.

Il consigliere presidenziale degli Stati Uniti Jared Kushner, il consigliere per la Sicurezza Nazionale Robert OBrien e i membri della delegazione USA-Israele partecipano a una cerimonia prima della loro partenza da Tel Aviv per Abu Dhabi, all’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv, 31 agosto 2020. (Tomer Neuberg/Flash90)

Anche se il piano Trump pubblicato a gennaio 2020 prevede una Gerusalemme indivisa a esclusiva sovranità israeliana, stabilisce anche che “lo status quo al Monte del Tempio/Haram al-Sharif deve continuare”. Eppure, nella frase seguente, il piano contraddice proprio questa posizione: “Alle persone di ogni fede deve essere consentito di pregare sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif”.

Questa disposizione, che consentirebbe la preghiera ebraica sul Monte, è un esplicito allontanamento dallo status quo come definito anche da Israele, almeno sino al piano Trump. E non è avvenuto a caso. Infatti Nadav Shragai, giornalista ed esperto dei luoghi sacri di Gerusalemme, con stretti legami con il governo Netanyahu, ha recentemente rivelato che questa è una clausola “che lo staff del primo ministro Netanyahu ha scritto insieme agli Americani”.

La disposizione è stata così controversa nel mondo arabo che l’amministrazione Trump è stata costretta a fare velocemente marcia indietro, chiarendo che “non c’è nulla nel piano che imponga un’alterazione dello status quo che non sia soggetta all’accordo di tutte le parti. Quindi non aspettatevi di vedere niente di diverso nel prossimo futuro, o magari in tutto il futuro”.

Questo avrebbe dovuto mettere le cose a tacere. Ma così non è stato.

Non è un passo falso

All’apparenza, la linea della dichiarazione congiunta del 13 agosto sembra conservare lo status quo. Uno sguardo più attento in realtà rivela il contrario.

Una veduta della Moschea di Al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme, situata sull’Haram al-Sharif (il Nobile Santuario) o Monte del Tempio, il terzo luogo sacro dell’Islam dopo la Mecca e Medina. 7 novembre 2016. (Sebi Berens/Flash90)

Mentre il piano Trump parla di accesso al “Monte del Tempio/Haram al-Sharif”, la dichiarazione congiunta parla specificamente di accesso alla “Moschea di Al-Aqsa”, non all’Haram al-Sharif. Di conseguenza, secondo Israele (e apparentemente anche secondo gli Stati Uniti), qualsiasi cosa sul Monte che non sia la struttura della moschea stessa è definita come “uno degli altri luoghi sacri di Gerusalemme” e quindi aperta alla preghiera di tutti, inclusi gli Ebrei.

Questa precisa scelta delle parole è il culmine di un lungo processo politico. Negli anni successivi al 1967 emerse un movimento guidato largamente, ma non esclusivamente, dall’estrema destra nazionalista-religiosa ebraica, che ha cercato di alterare radicalmente lo status quo del Monte del Tempio. Alcuni di questi attivisti chiedevano che gli Ebrei potessero pregare sul Monte; altri tentarono di costruire una sinagoga, accanto o addirittura al posto delle moschee. Percepito come un’eccentrica frangia cinque decenni fa, questo movimento è divenuto dominante. Conosciuto oggi come il movimento del Monte del Tempio gode ora del supporto del partito Likud di Netanyahu che è al governo.

Di conseguenza, secondo i termini dell’accordo Emirati Arabi Uniti-Israele, il Monte del Tempio si sta effettivamente trasformando da luogo musulmano aperto alle rispettose visite dei non musulmani in un luogo sacro ebraico-musulmano “condiviso”. Questo concetto è simile a quello della Tomba dei Patriarchi/Moschea di Abramo di Hebron, il luogo dove il colono Baruch Goldstein massacrò fedeli musulmani nel 1994 e che è stato fisicamente diviso e posto da allora sotto il controllo dell’esercito israeliano.

La visione di un luogo sacro “condiviso” è l’apice delle aspirazioni strategiche del movimento del Monte del Tempio. E una delle più profonde paure dei Palestinesi.

Palestinesi che partecipano alle proteste in occasione del 24° anniversario del massacro della Moschea di Abramo, dopo la preghiera del venerdì nei pressi della Moschea di Abramo, nella città di Hebron, in Cisgiordania, il 2 febbraio 2018. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

Sia il primo ministro israeliano sia il gruppo di negoziatori statunitensi comprendono pienamente il significato di ogni singola parola e di ogni sfumatura relativa a Gerusalemme, in particolare quando si tratta del Monte del Tempio/Haram al-Sharif. Quindi, questa scelta di terminologia non è né casuale né un passo falso e non può non essere vista come un intenzionale, anche se subdolo, tentativo di lasciare la porta spalancata alla preghiera ebraica sul Monte, così da modificare radicalmente lo status quo.

Gerusalemme è una città saggia e gentile per coloro che trattano la sua complessità con la reverenza che merita. Ed è una città crudele e vendicativa per quelli che ignorano o trattano tale complessità senza la dovuta considerazione. La storia millenaria di Gerusalemme è disseminata di corpi, letteralmente e figurativamente, di conquistatori, profeti e imperatori che agirono come se la città fosse un bene privato o collettivo da sfruttare a capriccio o una merce che può essere barattata. Se si traffica con Gerusalemme lo si fa a rischio e pericolo di tutti coloro che vi sono coinvolti, e questa clausola della dichiarazione congiunta è proprio un incauto armeggiare.

Allo stato attuale, le squadre di Netanyahu e di Trump stanno usando la normalizzazione araba come una copertura per rimodellare il luogo più sensibile di Gerusalemme nell’immaginario ideologico del movimento estremista israeliano del Monte del Tempio. Basti solo ricordare le conseguenze dell’apertura del tunnel del Muro Occidentale nel 1996 (fatta dallo stesso Netanyahu) e della visita di Ariel Sharon al Monte del Tempio/Haram al-Sharif nel 2000, che scatenò la Seconda Intifada, per rendersi conto di quanto questo possa essere irresponsabile e pericoloso.

Daniel Seidemann è un avvocato israeliano specializzato in geopolitica della Gerusalemme contemporanea.

https://www.972mag.com/temple-mount-jerusalem-uae-israel/

Traduzione di Elisabetta Valento – AssopacePalestina

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