Nel 2020 la regione è in condizioni molto peggiori che nel 2010.
Al Jazeera, 3 agosto 2020
Se pensavate che il Medio Oriente avesse toccato il fondo e potesse finalmente emergere indenne da un decennio di sconvolgimenti e conflitti, ripensateci.
Le realtà economiche, politiche e sociali della regione erano già terribili e ora stanno diventando orrende, senza che se ne intraveda una fine. Potrebbero andare fuori controllo, verso un futuro ancora più violento e caotico, con impreviste ramificazioni internazionali.
Le uccisioni possono essere relativamente diminuite in alcuni luoghi, per ora, ma le ferite della guerra non stanno guarendo e sono esacerbate dalla pandemia di coronavirus e dalle difficoltà economiche associate. Il Medio Oriente in generale sta soffrendo molto più di quanto sembri.
Anche nel 2010 la regione stava andando verso l’abisso, ma con poco clamore. Oggi il disastro è scritto a caratteri cubitali su tutti i muri. Se situazioni simili ma meno drammatiche hanno portato a un decennio violento e distruttivo, i pericoli apocalittici di oggi potrebbero portare a un esito molto peggiore.
La previsione di un inverno caldo
“Questo sarà un inverno caldo”, ho scritto in una nota interna di Al Jazeera nel novembre 2010, prevedendo la temperatura politica della stagione.
“Le temperature in calo del Medio Oriente faranno ben poco per rinfrescare quella che sembra essere una stagione invernale assai calda. Dato che un certo numero di stati fragili o senza prospettive tendono sempre più verso una grave crisi, verso un conflitto e forse verso una terribile violenza, è fondamentale che noi di Al Jazeera riflettiamo e ci prepariamo per vari scenari tra cui il peggiore: la guerra”.
Facevo un lungo elenco di paesi che condividevano caratteristiche simili: divisioni sempre più profonde, popolazioni frustrate, sovranità compromesse, instabilità e minaccia di conflitti e violenze inter- e intra-nazionali.
La regione potrebbe aver sofferto terribilmente nel secolo precedente, ma in nessun momento della storia recente il Medio Oriente era apparso così cupo come nel primo decennio del 21° secolo: le sue élite al potere così ciniche, le tensioni così alte e l’impoverimento così diffuso.
Dopo pochi mesi, proteste popolari scoppiarono quasi ovunque, sfociando in una breve “primavera araba”, seguita presto da stagioni turbolente che misero in ginocchio la regione.
Oggi, come allora, rabbia e disperazione aleggiano ad ogni angolo di strada. All’inizio di questo decennio, proprio come all’inizio di quello precedente, la regione sta affrontando una crisi economica globale. E ancora una volta le nazioni del Medio Oriente stanno soffrendo non solo per l’incompetenza, la repressione e la corruzione dei loro regimi, ma anche per la politica estera assurda e sconsiderata degli Stati Uniti che sostiene gli autocrati e provoca instabilità.
Ma ora, a differenza di allora, la regione soffre non per uno ma per due decenni di conflitto: guerre civili, guerre per procura e guerre imperiali che hanno lasciato a pezzi la Siria, la Libia, lo Yemen e l’Iraq.
In effetti, la malinconia del 2010 è difficilmente paragonabile al livello di depressione e di rabbia che cova del 2020. Se la tensione era palpabile allora nell’aria, ora potresti tagliarla con un coltello.
Un misto di corruzione politica, paralisi internazionale e depressione economica ha aperto la strada a brutalità e violenze senza precedenti.
Di male in peggio
Se nel 2010 il “processo di pace” israelo-palestinese era bloccato, oggi è morto, punto. L’occupazione militare si è intensificata e le tensioni sono ora aumentate per l’incombente annessione israeliana di un terzo dei territori palestinesi occupati.
Il regime iraniano era e rimane roboante, ma la tensione con i suoi vicini non ha fatto altro che intensificarsi in seguito alle sue interferenze militari nelle guerre civili di Siria e Yemen, guerre che hanno distrutto gran parte dei due paesi, portando alla morte e allo sfollamento di milioni di persone.
E negli ultimi quattro anni, l’amministrazione Trump ha alimentato le tensioni sia nel Golfo che nel Vicino Oriente, poiché ha sostenuto le politiche espansionistiche israeliane e si è sottratta all’accordo nucleare iraniano imponendo dure sanzioni al paese e ai suoi partner commerciali, sanzioni che hanno mandato in bancarotta e fatto infuriare il regime iraniano.
La tattica violenta dell’occhio per occhio tra le due parti potrebbe arrivare fino al conflitto aperto se Trump verrà rieletto a novembre. Difficile immaginare quanta morte e distruzione potrebbe produrre un’altra guerra imperiale contro una potenza regionale.
Lo stesso vale per il distruttivo intervento russo e le controproducenti interferenze europee negli affari regionali.
Il Nord Africa e la regione del Sahel continuano a soffrire di insurrezioni, siccità e controversie regionali, con la guerra civile in Libia che sfugge a ogni controllo per l’aumento di interventi militari stranieri.
Persino quelle nazioni più piccole una volta chiamate in modo bizzarro “isole della decenza”, come Tunisia, Libano e Giordania, stanno affrontando instabilità e tensioni tumultuose. Un altro, gli Emirati Arabi Uniti, si è trasformato in uno “stato di polizia” e in un destabilizzatore piuttosto indecente, svolgendo un ruolo reazionario pernicioso dalla Libia allo Yemen.
La Tunisia, che è stata considerata l’unica storia di successo della “primavera araba”, è impantanata nella volatilità politica e nelle difficoltà economiche, mentre il Libano e la Giordania hanno lottato con sconvolgimenti sociali e casse statali vuote.
Il calo dei prezzi del petrolio sta colpendo e danneggiando tutti i paesi della regione: i paesi produttori di energia, dall’Algeria all’Iraq, l’Arabia Saudita e il resto degli stati del Golfo, così come i paesi più poveri della regione che dipendono dalle rimesse. Il risultato è un aumento della disoccupazione, servizi pubblici peggiori e instabilità assicurata.
Una di queste nazioni dipendenti è l’Egitto. Per decenni, la nazione araba più popolosa è stata governata da un regime autoritario incompetente. Ma oggi è governata da una dittatura brutale e inetta che ha imprigionato decine di migliaia di oppositori politici e gente comune.
Da quando Abdel Fattah el- Sisi ha assunto il potere attraverso un colpo di stato militare nel 2013, promettendo una rinascita egiziana, il suo regime inetto e corrotto ha prodotto solo paralisi e depressione.
La speranza in alcune capitali occidentali che il generale el- Sisi avrebbe seguito le orme del dittatore militare cileno Augusto Pinochet e –a parte la brutalità del suo governo– avrebbe anche raggiunto una certa stabilità e crescita economica si è rivelata niente più che un pio desiderio.
Ora che i suoi sostenitori del Golfo non sono in grado o non sono disposti a fornirgli altri miliardi di dollari, probabilmente si verificheranno crisi umanitarie, economiche e politiche.
Brutalità raddoppiata
Gli stessi regimi che hanno scatenato un sistema controrivoluzionario caratterizzato principalmente da violenza, terrore e repressione stanno oggi raddoppiando la brutalità del loro governo.
Moralmente, finanziariamente e politicamente in bancarotta, il loro potere dipende completamente ed esclusivamente dalla forza bruta e dal sostegno straniero.
L’esempio più ovvio sta nel sostegno iraniano-russo al sanguinoso regime di Bashar al-Assad, nel sostegno emirato-saudita al regime di el-Sisi, nel sostegno degli Stati Uniti al regime estremista israeliano, nel sostegno emirato-egiziano al signore della guerra Khalifa Hafter in Libia e nel sostegno degli Emirati ai lacchè separatisti dello Yemen.
La situazione è stata così grave per così tanto tempo in tutta la regione, che sarebbe necessario un intervento divino per riparare i danni degli ultimi decenni. Nemmeno una miracolosa caduta di dittature repressive e il ritiro dei loro sostenitori internazionali sarebbe sufficiente a far risorgere i paesi arabi negli anni, o addirittura nei decenni, a venire.
Solo gli abitanti della regione potrebbero allontanare il baratro. Negli ultimi due decenni hanno dimostrato di essere capaci della rivolta più pacifica e illuminata ma anche dell’insurrezione più oscura e violenta.
Il modo in cui sceglieranno di cambiare la loro insopportabile realtà contribuirà notevolmente a plasmare il loro futuro.
Marwan Bishara è analista politico senior di Al Jazeera.
https://www.aljazeera.com/indepth/opinion/beware-looming-chaos-middle-east-200803042230463.html
Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina