“Siamo giovani e non intendiamo più tacere ed essere accomodanti” ha dichiarato uno delle migliaia di dimostranti che si sono presentati sotto l’abitazione del primo ministro con rabbia e audacia.
di Nir Hasson
Haaretz, 15 luglio 2020
Verso la mezzanotte di martedì, sono salito sul terrazzo di un edificio commerciale da cui era possibile vedere Piazza Parigi a Gerusalemme, vicino all’abitazione del primo ministro Benjamin Netanyahu. Il mio cellulare non funzionava più dopo essere stato bagnato dai cannoni ad acqua della polizia, il che significava che ero libero di osservare la protesta anziché fare fotografie o aggiornare la redazione di Haaretz.
Piazza Parigi è attualmente in fase di ristrutturazione e due operai palestinesi stavano ancora pavimentando il marciapiede quando è iniziata la protesta. I manifestanti hanno dato loro adesivi di protesta e hanno cercato di convincerli a partecipare, ma loro erano impegnati a portar via gli attrezzi del lavoro.
A mezzanotte, la piazza sembrava una zona di guerra. Un contenitore per il riciclaggio era in fiamme nel bel mezzo della via. Tutte le strade adiacenti erano bloccate con bidoni della spazzatura rovesciati. I dimostranti hanno usato le pietre per la pavimentazione non ancora collocate, per bloccare la strada vicino all’hotel Kings. La sabbia sottostante alla pavimentazione in pietra era esposta e, per un momento, sembrava richiamare lo slogan della rivolta studentesca in Francia nel ’68 – sous les pavés, la plage – sotto il pavimento, la spiaggia.
Il cannone ad acqua della polizia si muoveva avanti e indietro, inondando con il suo getto potente le centinaia di manifestanti nelle strade. La maggior parte di loro trovava riparo dietro le automobili o nei cortili, mentre altri restavano in piedi a sfidare l’urto dell’acqua. Molte persone sono state ferite e alcune hanno tirato bottiglie d’acqua contro i cannoni, ma non ho visto lanci di sassi.
Tre poliziotti a cavallo hanno più volte caricato i gruppi di folla e, nel mezzo di tutto ciò, membri dell’unità speciale di pattuglia Yasam hanno iniziato a fare arresti di massa. Ironia della sorte, gli arrestati sono stati caricati su un autobus recante la scritta del consiglio regionale degli insediamenti in Cisgiordania cui apparteneva.
Dal terrazzo, un manifestante ha cercato di dare fuoco a una bandiera israeliana – la stessa persona che due ore prima aveva cercato di prendere il microfono al giornalista di Channel 13 News, Avishay Ben Haim. La bandiera proprio non voleva prendere fuoco, cosi l’uomo la lascia e torna con due accendini, ma viene notato da un altro manifestante “Stai causando problemi”, gli grida, “È anche il tuo Paese”.
“Il mio Paese è finito, bruciato”, gli risponde. Altri manifestanti gli si radunano intorno e tentano di persuaderlo a fermarsi.
“Sto combattendo per il mio Paese perché me ne importa. Se fosse finito, non sarei qui”, gli dice per dissuaderlo una donna.
La situazione quasi degenera in violenza. “Sarà questa l’immagine della protesta. E ciò è esattamente quel che vogliono. Stai aiutando i nostri avversari.” Allora l’uomo spegne la piccola fiamma che aveva cominciato a bruciare sulla bandiera e la donna la fa sparire dalla scena. L’uomo arrabbiato è stato forzato a cedere e a scendere dal terrazzo.
I giornalisti di vecchia data di Gerusalemme non ricordano un’altra manifestazione come questa, almeno non a Gerusalemme Est. Nel 2011, durante l’ondata di proteste sociali in Israele, vi fu un’ampia manifestazione vicino all’abitazione del primo ministro, ma si disperse tranquillamente. Nel 2015, si tenne una manifestazione turbolenta dei giovani etiopi ma erano poche persone e comunque fu un evento meno violento.
La manifestazione di martedì scorso è stata una svolta nell’evoluzione delle proteste contro Netanyahu. Le proteste finora sono state sostenute da dimostranti più anziani, la maggior parte dei quali sono relativamente benestanti, del centro del Paese, che sono furiosi per ciò che considerano come un tradimento dei loro valori da parte del primo ministro e trovano difficile accettare che qualcuno sotto inchiesta sia il primo ministro.
Martedì, tuttavia, il testimone della protesta è stato trasmesso alle nuove generazioni, la cui rabbia è di tipo completamente diverso. Il comandante della polizia del distretto di Gerusalemme, Doron Yedid, li ha definiti “di sinistra” e “anarchici”, ma è più complicato di così.
Al margine delle proteste infatti c’erano alcuni giovani che potevano a malapena essere considerati anarchici. Ma nel corso dell’intero pomeriggio di martedì, ho visto solo una persona con una maschera (per ragioni diverse dalla pandemia) e sembrava essere amico dell’uomo che ha tentato di dar fuoco alla bandiera.
La maggior parte dei manifestanti aveva altre cose in mente. Non era solo rabbia per la corruzione e frustrazione per la situazione politica. Era anche, e forse persino soprattutto, una frustrazione economica. La pandemia da coronavirus ha inferto un duro colpo alle finanze degli studenti universitari e altri gruppi di giovani. Molti di loro sono stati costretti a tornare a vivere dai loro genitori, a cambiare il loro stile di vita e dimenticare molti dei loro sogni.
“C’è la sensazione che le linee rosse e i limiti della vergogna siano stati superati”, dice Arnon di Gedeera, “quando tutto ti collassa intorno e un uomo che vale 50 milioni di sheqel, il cui livello di miseria dovrebbe essere illegale, domanda un’esenzione dalle tasse e Miki Zohar afferma che non arriva a fine mese.”
Si riferiva alla coalizione Zohar, che recentemente ha giustificato un’esenzione fiscale di un milione di shekel per il primo ministro sostenendo che così non avrebbe dovuto preoccuparsi di arrivare, finanziariamente, a fine mese.
“Come potete vedere, siamo giovani e non siamo più disposti a stare zitti ed essere accomodanti”, ha detto Sahar Vardi di Gerusalemme, arrestato nel corso della protesta. La violenza della polizia, ha affermato, sta facendo capire ai manifestanti “fino a che punto l’attuale regime sta facendo quello che vuole”.
Verso l’una e trenta del mattino, la polizia è riuscita finalmente a liberare la piazza. I giovani si sono divisi in gruppi più piccoli. Molti di loro hanno cercato di aggirare le barricate presso la residenza del primo ministro, ma sembrava che non fossero di Gerusalemme e non conoscessero il quartiere. Altri urlavano in risposta ai residenti di Rehavia che si sporgevano dalle finestre lamentandosi del rumore.
L’ultimo gruppo di manifestanti si è riunito di fronte alla Grande Sinagoga in King George Street. La polizia a cavallo ha fatto irruzione contro il gruppo e li ha dispersi. Uno dei manifestanti, prima di andar via, ha gridato: “Giovedì ci incontreremo di nuovo davanti alla residenza del Primo Ministro. Venite.”
Traduzione di Cecilia De Luca – AssopacePalestina