Il governo israeliano che ha vietato ad un figlio di stare con la madre nei suoi ultimi istanti di vita è lo stesso la cui polizia ha portato via un figlio ad una madre
di Hagai El-Ad
+972 Magazine, 8 giugno 2020
La scorsa domenica un altro ‘non-evento’ si è svolto presso la corte distrettuale di Gerusalemme. Una ‘non-persona’ non è andata alla sua ‘non-udienza’, in cui sono state fornite delle ‘non-prove’. Il risultato è stato assolutamente di routine. Il vicepresidente della corte ha preso per buone le non prove contro la ‘non-persona’, presentate dallo Shin Bet a porte chiuse.
Dopo l’esame del caso, il ‘non-giudice’ Moshe Sobel ha autorizzato le restrizioni draconiane imposte per mesi dal governo israeliano a Laith Abu Zeyad, un attivista palestinese di Amnesty International. Pare che l’uomo rappresenti una tale minaccia alla sicurezza della “zona”, che l’unica soluzione è impedirgli di lasciare del tutto la Cisgiordania.
La messa in scena è stata allestita con oggetti di scena da due soldi: le aule di tribunale della corte distrettuale, il giudice, l’accusa, le norme kafkiane ai sensi delle quali si è svolta la non-udienza. Gli unici elementi reali di questo “sistema giudiziario” erano lo Shin Bet (il vero arbitro con in mano il potere e che determina il destino del soggetto in questione), l’udienza a porte chiuse, e l’assenza di Abu Zeyad, al quale Israele non ha concesso il permesso di entrare a Gerusalemme Est.
Abu Zeyad è una nullità, insignificante per i suoi carcerieri. È un uomo il cui destino, come quello di tutti i Palestinesi, è completamente nelle mani di Israele. È un uomo che può essere assente alla sua udienza, perché non ha importanza chi sia, cosa abbia da dire o quale forma prenderà l’attuale ciclo di umiliazioni. A chi importa di te, Laith Abu Zeyad, un Palestinese, non-cittadino, proveniente dalla città di al-Eizariya in Cisgiordania?
E a chi importa di al-Eizariya, in ogni caso? Più di dieci anni fa Israele ha deciso di costruire un muro lungo la principale arteria che connette Gerusalemme Est al resto della Cisgiordania. In questo modo, questo sobborgo di Gerusalemme, un tempo vivace, adesso si trova isolato alla fine di una strada lontana chilometri da Gerusalemme. I Palestinesi che vogliono entrare in città devono richiedere un permesso alla guardia carceraria, ovvero lo Stato di Israele. La barriera di separazione israeliana ha sicuramente fatto capire agli abitanti di al-Eizariya quale sia il loro ruolo “nell’area” – un non luogo (Nowherestan) in cui soggetti invisibili affrontano la loro non-vita.
Lo stesso vale per la morte. A dicembre quando la madre di Abu Zeyad stava morendo di cancro in un ospedale di Gerusalemme Est, Israele ha impedito al figlio di visitarla. È morta senza di lui al suo fianco. Come si può rimarginare una ferita del genere?
Quanta insensibilità, arroganza, e crudeltà serve per gestire questo regime di controllo? Un sistema che da un punto di vista ideologico parte dal presupposto che alcune persone sono superiori ad altre. Un sistema basato sulla supremazia e sulla disumanizzazione, che non fa una piega neanche quando separa un figlio da una madre che sta per morire.
Nessuna forza al mondo è più potente dell’amore di un figlio per la propria madre, o dell’amore di una madre per i suoi figli. Non so a che punto del caso di George Floyd le persone hanno smesso di trattenere le lacrime. A me è successo quando ho letto che Floyd ha gridato il nome della madre e ha implorato per la propria vita. E quanto tempo ci è voluto prima di iniziare a piangere dopo aver letto che Iyad al-Hallaq, un palestinese autistico, è stato ucciso da un poliziotto di frontiera israeliano a Gerusalemme? A me è successo quando la madre ha pianto durante un’intervista, chiedendo perché, perché, perché le avessero portato via il figlio.
Con o senza lacrime, dovrebbe essere evidente a tutti che l’amore di una madre non potrà mai esserle portato via. Chiunque calpesti questo basilare fondamento di umanità –sia che si tratti di una sparatoria sotto gli occhi di tutti che parlando a porte chiuse– non potrà togliere la dignità o l’amore di chi opprimono o uccidono. Difendere l’umanità richiede una lotta, con lacrime e rabbia, fino a quando tutti i sistemi di oppressione e umiliazione, di uccisione e copertura, di supremazia e sfruttamento, vengano abbattuti dalle persone. Le stesse persone che amano le proprie madri.
Hagai El-Ad è il direttore di B’Tselem: The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories.
https://www.972mag.com/laith-abu-zeyad-state-oppression/
Traduzione Claudia Vlad – Cultura è Libertà