The National, 9 giugno 2020
Nei quasi due decenni da quando la Corte Penale Internazionale (CPI) è stata fondata per giudicare le violazioni più serie alla legge internazionale sui diritti umani, le sono state mosse dure critiche per il suo approccio estremamente selettivo su chi dovesse essere processato.
Creato nel 2002, il tribunale avrebbe agito, si immaginava, da deterrente nei confronti dell’erosione di un ordine internazionale ideato per evitare il ripetersi delle atrocità della Seconda Guerra Mondiale.
Tali speranze non sono durate a lungo.
Il tribunale, che ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, ha immediatamente dovuto fronteggiare una prova difficile: se osare di affrontare la superpotenza a capo del mondo, gli Stati Uniti, che avevano proclamato una “guerra al terrorismo”.
I procuratori della CPI si rifiutarono di affrontare la questione spinosa dell’invasione di Afghanistan e Iraq da parte degli USA. Al contrario, scelsero gli obiettivi più semplici e per troppo tempo è sembrato che gli Africani fossero gli unici a commettere crimini di guerra.
L’attuale procuratrice capo della CPI, Fatou Bensouda, sembra finalmente pronta a dar mordente al tribunale. Minaccia infatti di condurre indagini su due stati, USA e Israele, le cui azioni sono state particolarmente lesive del diritto internazionale nell’era moderna.
La corte sta prendendo in considerazione la possibilità di esaminare le diffuse violazioni di diritti umani perpetrati dai militari statunitensi in Afghanistan e i crimini commessi dai militari israeliani nei Territori Palestinesi Occupati, ed in particolare a Gaza, come anche i funzionari responsabili del piano per gli insediamenti illegali di Israele.
Indagare su entrambi gli argomenti ha un’importanza fondamentale: gli USA si presentano con il ruolo di poliziotti del mondo intero, mentre le palesi violazioni della legge internazionale da parte di Israele vanno avanti ormai da più di mezzo secolo.
Gli USA sono i criminali più potenti, e Israele il più incallito.
Entrambi gli Stati hanno temuto a lungo questo momento, ragione per cui hanno rifiutato di ratificare lo Statuto di Roma che fondò la CPI.
La scorsa settimana Mike Pompeo, il Segretario di Stato USA, ha moltiplicato gli attacchi al tribunale, dichiarando che la sua amministrazione è “determinata ad impedire che noi americani ed i nostri alleati in Israele ed altrove siano tirati in ballo da questa corrotta CPI”.
Una vasta maggioranza di senatori USA di entrambi gli schieramenti ha inviato il mese scorso una lettera a Pompeo chiedendogli di garantire a Israele un “supporto vigoroso” contro la corte dell’Aia.
Israele e gli Stati Uniti hanno entrambi affermano di essere esenti dal diritto internazionale in quanto non firmatari degli accordi che hanno istituito la corte.
Ma questo non fa che mettere in evidenza il problema. Il diritto internazionale esiste per proteggere i deboli dagli abusi commessi dai forti. Le vittime dai prepotenti.
Un sospettato di crimini non può decidere se la propria vittima può presentare un reclamo, o se il sistema legislativo dovrebbe indagare o meno. Lo stesso deve accadere per il diritto internazionale, se deve avere una qualche applicazione significativa.
Anche con Bensouda, il processo va avanti molto lentamente. Ci sono voluti anni perché il suo ufficio potesse condurre un’indagine preliminare e determinare, come ha fatto a fine aprile, che la Palestina ricadeva nella giurisdizione della CPI, in quanto Stato.
Questo ritardo ha poco senso, dato che lo Stato della Palestina è riconosciuto dalle Nazioni Unite, ed ha potuto ratificare lo Statuto di Roma cinque anni fa.
Israele sostiene che la Palestina non ha le caratteristiche normali di uno stato sovrano. Ma, come l’organizzazione per i diritti umani israeliana B’Tselem ha fatto notare di recente, questo è dovuto proprio al fatto che Israele ha occupato il territorio dei Palestinesi e trasferito illegalmente i propri coloni nella loro terra.
Israele pretende di non essere indagata tirando in ballo proprio i crimini che necessitano di indagine.
Bensouda ha chiesto ai giudici della corte di deliberare sulla sua opinione che la giurisdizione della CPI si estende alla Palestina. Non è chiaro al momento quanto ci vorrà perché emettano un verdetto.
Le minacce della scorsa settimana di Pompeo –ha detto che gli USA chiariranno presto quale sarà la propria reazione– sono finalizzati ad intimidire la corte.
Bensouda ha avvertito che il suo ufficio è stato vittima di “cattiva informazione e calunnie”. A gennaio, il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha accusato la corte di essere “antisemita”.
In passato, Washington ha negato a Bensouda il visto d’ingresso ed ha minacciato di confiscare i beni suoi e dei giudici della CPI e di portarli a processo. Gli USA hanno anche giurato che avrebbero usato la forza per portare via qualunque Americano dal banco degli imputati.
Alcuni segnali indicano che i giudici possano ora cercare una scappatoia. Hanno chiesto ad Israele e all’Autorità Palestinese di rispondere urgentemente a domande riguardanti il quesito se gli accordi temporanei di Oslo, firmati più di 25 anni fa, siano ancora legalmente vincolanti.
Israele ha affermato che la mancata risoluzione degli accordi temporanei di Oslo impedisce la creazione di uno stato palestinese. Ciò lascerebbe ad Israele, e non alla CPI, la giurisdizione sui territori.
Bensouda ha insinuato che si tratti di un diversivo.
Giovedì scorso Mahmoud Abbas, il Presidente Palestinese, ha dichiarato alla CPI che comunque l’Autorità Palestinese si considera esente dagli accordi di Oslo, visto che Israele ha annunciato un piano imminente di annessione di parti del territorio palestinese in Cisgiordania.
L’annessione è stata autorizzata dal “piano di pace” del Presidente Trump, reso noto all’inizio dell’anno.
Il mandato di Bensouda come pubblico ministero termina quest’anno. Israele potrebbe sperare di continuare a mettere i bastoni tra le ruote fino a che lei non va via. Elyakim Rubinstein, un ex giudice della Corte Suprema di Israele, ha avviato il mese scorso una campagna per assicurarsi che il successore di Bensouda sia più solidale con Israele.
Ma se Bensouda ottenesse il semaforo verde, Netanyahu ed un gruppo di ex generali, incluso il suo Ministro della Difesa Benny Gantz, sarebbero convocati a processo. Se rifiutassero, potrebbe essere emesso un mandato internazionale di arresto, teoricamente applicabile nei 123 stati che hanno ratificato la corte.
Né Israele né gli USA vorrebbero che si arrivasse a questo punto.
Hanno reclutato alcuni importanti alleati nella loro battaglia, tra i quali l’Australia, il Canada, il Brasile e diversi stati europei. La Germania, il secondo maggior donatore del tribunale, ha minacciato di ritirare i propri contributi in caso la CPI dovesse procedere.
Maurice Hirsch, un ex consulente legale dell’esercito israeliano, ha scritto lo scorso mese una colonna su Israel Hayom, un giornale considerato portavoce di Netanyahu, accusando Bensouda di essere una “sventurata pedina dei terroristi palestinesi”.
Ha esortato altri stati a minacciare il ritiro dei propri contributi, a vietare allo staff della CPI i visti per i viaggi necessari alle loro indagini e persino ad abbandonare il tribunale.
Ciò distruggerebbe ogni possibilità di applicare il diritto internazionale, un risultato che farebbe felice sia Israele che gli USA.
Ciò renderebbe la CPI poco più che una lettera morta, proprio mentre Israele, con il supporto degli USA, si prepara a procedere all’annessione della Cisgiordania.
Traduzione di Rosaria Brescia – AssopacePalestina
2 commenti su “Stati Uniti e Israele sperano di scoraggiare la Corte Penale de L’Aia dall’aiutare la Palestina”