di Sam Bahour
Mondoweiss, 29 maggio 2020
La prossima linea di faglia nel conflitto Israele-Palestina proviene da un angolo solitamente appartato: il sistema bancario. Con l’appoggio dell’amministrazione Trump, Israele ha legiferato per commettere crimini in pieno giorno. L’ultimo sforzo arriva sotto forma di un ordine militare, uno delle migliaia emessi durante l’occupazione militare israeliana in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza. Oggi, stando alle leggi israeliane, qualsiasi soldato israeliano ha il diritto di entrare in qualsiasi banca palestinese e confiscare fondi che si presume siano associati a particolari conti bancari.
In qualsiasi altra parte del mondo questo sarebbe chiamato “rapina in banca”, ma in Palestina è solo un altro giorno sotto l’occupazione militare israeliana.
Israele chiede alle banche palestinesi di chiudere i conti di quei Palestinesi (di identità non conosciuta) che sono stati inseriti in una lista nera. Questa flagrante violazione del settore privato palestinese, per non parlare della giurisdizione del governo palestinese, è stata intrapresa in piena luce del giorno, senza alcun pretesto legale, nessuna verifica e nessun regolare processo. Invece Israele, come ha fatto per oltre cinque decenni, emette semplicemente un ordine militare attraverso il suo Ministero della Difesa, che è responsabile del territorio palestinese occupato.
Come forza occupante, Israele si è autonominato giudice e giuria, nonché carceriere e torturatore in questo caso, sfidando totalmente gli obblighi definiti a livello internazionale e richiesti dalle leggi di occupazione.
Quest’ultimo ordine militare israeliano, # 67 (2020), è un emendamento a un precedente ordine militare, # 1651 (2009), ed è stato emesso il 9 febbraio 2020. È entrato in vigore il 1 ° maggio 2020. In breve, il nuovo ordine aggiunge una nuova definizione all’ordine originale e recita [in ebraico, tradotto]:
“Gestione del denaro”
“Dare il diritto o revocare il diritto alla proprietà dei fondi o qualsiasi diritto ai fondi, nel caso in cui siano mobili o immobili, a un prezzo o senza un prezzo, e ogni processo che include l’assunzione, la consegna, il possesso, lo scambio, operazioni bancarie, investimenti, scambi in borsa, intermediazione, sovvenzioni o acquisizione di crediti, importazione, esportazione, creazione di credito o commistione di denaro terroristico con altri fondi, anche quelli che non sono collegati al terrorismo “.
Usando questa definizione, l’esercito israeliano minaccia di considerare chiunque sia coinvolto in una qualsiasi delle suddette transazioni, direttamente o indirettamente, come colpevole e soggetto a una pena detentiva di sette anni e/o un’ammenda che può raggiungere dieci volte l’importo della transazione.
La motivazione politica alla base di queste insulsaggini “legali” è il desiderio israeliano di punire la leadership palestinese per aver rifiutato di non versare più contributi sociali a quei Palestinesi che erano o continuano a essere detenuti nelle carceri israeliane –prigionieri politici– oltre ai pagamenti sociali fatti alle famiglie di martiri. È importante notare che quasi un milione di Palestinesi sono passati attraverso il sistema carcerario israeliano dall’inizio dell’occupazione militare israeliana nel 1967. Questi arresti sono molto arbitrari e i tribunali che ascoltano i casi sono tribunali militari con un tasso di condanna del 99,74%. Migliaia di Palestinesi sono stati anche incarcerati da Israele usando la cosiddetta “detenzione amministrativa” in base alla quale possono essere detenuti senza alcuna accusa nei loro confronti.
Con questo ultimo attacco al settore bancario, Israele sta minacciando direttamente tutte e 14 le banche palestinesi, che comprendono una rete di 370 filiali e uffici e quasi 7000 impiegati bancari, gestendo depositi per 14,8 miliardi di dollari, un portafoglio crediti di 9 miliardi di dollari ed un’attività totale di 17,3 miliardi di dollari. In poche parole, questo è un tentativo di minare alle fondamenta l’economia palestinese.
Assegnare ruoli
L’esercito israeliano è stato aiutato in quest’ultima aggressione contro le banche palestinesi. Un’organizzazione non governativa (ONG) di destra, legata all’intelligence israeliana, ha inviato il 20 aprile lettere di avvertimento personalizzate alle banche palestinesi per avvertirle della nuova legislazione. La lettera è stata firmata dal direttore del gruppo e dal suo responsabile delle strategie legali, che è un ex direttore della procura militare delle Forze Israeliane di “Difesa” in Cisgiordania, e avvertiva:
“Se la vostra banca ha dei conti di terroristi incarcerati […] dovete ordinare il congelamento immediato di quei conti.”
Questo testo è stato inviato in arabo, a differenza dell’ordine militare stesso, emesso in ebraico. Il modo in cui le banche dovrebbero essere in grado di classificare un cliente come “terrorista” o meno è irrilevante per coloro che cercano di intraprendere queste ingiustificate azioni legali.
Lo stato di Israele e le sue ONG quasi-governative si sono storicamente divisi i ruoli di oppressori tra loro. Anche prima della creazione di Israele, i suoi fondatori hanno usato gli uffici del Jewish National Fund (JNF) per spogliare i Palestinesi della loro terra. Questo accordo con il JNF continua ancora oggi. Trasferendo le attività illegali alle organizzazioni su cui ha il controllo, la strategia di Israele è simile a quella di una società commerciale che esterna i suoi sforzi di raccolta clienti alla mafia, quindi quando un cliente insolvente viene trovato con due gambe rotte e senza unghie, può sempre affermare di non saperne niente e di non aver fatto nulla di male.
Deja vu
Questa non è la prima volta che Israele scatena i suoi militari per razziare le banche palestinesi e gli agenti di cambio. Al-Haq, un’organizzazione palestinese per i diritti umani con sede a Ramallah, Cisgiordania, ha riferito: “Il 25 febbraio 2004, la polizia israeliana, gli ufficiali dell’Agenzia di Sicurezza Interna (Shabak) e la polizia di frontiera hanno fatto irruzione in filiali della Arab Bank con base in Giordania, e della Cairo Amman Bank, nella città di Ramallah, in Cisgiordania, sequestrando dalle casse della banca contanti per oltre 35 milioni di NIS (l’equivalente di 7 milioni di dollari). La somma corrispondeva alla quantità di denaro detenuta in oltre 200 conti appartenenti a privati, enti di beneficenza e organizzazioni non governative.” Questo per quanto riguarda un ordine militare per rapinare una banca.
Naturalmente il settore bancario non è stato l’unico bersaglio nel mirino di Israele. L’ufficio dell’editore della principale pubblicazione palestinese in inglese “This Week in Palestine“, è stato saccheggiato diversi anni fa e i loro computer sono stati confiscati. Fino ad oggi, l’editore non è riuscito a ottenere la restituzione delle sue apparecchiature per ufficio.
Con il continuo sconvolgimento della società palestinese, ora con la minaccia aggiunta di un’ulteriore annessione di terra, Israele ha bisogno della copertura della violenza per occultare la sua aggressività. Quando i Palestinesi non reagiscono in modo violento, Israele si agita e fa provocazioni come con quest’ultima minaccia bancaria.
Quando uno stato canaglia come Israele, impegnato in una aggressiva occupazione militare lunga 53 anni, raggiunge il punto di assoluta impunità, sembra che tutto sia permesso. Purtroppo, per tutti noi, il “tutto è possibile” è una strada a doppio senso che nessuna parte può controllare con le leggi.
Traduzione di Paolo Lipari – AssopacePalestina