Denis Goldberg, una persona completa: combattente sudafricano per la libertà, ebreo antisionista e vero essere umano

di Ronnie Kasrils

Portside, 16 maggio 2020

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Sono stata fortunata nella mia vita per aver incontrato e conosciuto Denis e anche Ronnie, insieme a molti militanti e dirigenti conosciuti durante la lotta contro l’apartheid in Europa e poi dopo la liberazione e l’elezione di Mandela a presidente nelle elezioni del 1994, alle quali ho partecipato come osservatrice per il Sindacato Italiano dei Metalmeccanici.

Integrità e verità ad ogni costo e generosità e amore per l’umanità; vale anche per Ronnie e non solo per Denis. Ebrei, bianchi, comunisti e antisionisti, un ruolo di primo piano nell’African National Congress.

Abbiamo condiviso la pena e la rabbia (ovviamente non pretendo di essere sul loro stesso piano) quando Zuma divenne presidente del Sud-Africa. Non si poteva immaginare che dopo Mandela e Mbeki (con le dovute differenze) subentrasse un personaggio corrotto e violento come Zuma. L’ultima volta che ci siamo visti è stato per il lancio della campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti nell’Isola di Robben Island, nella cella di Mandela, campagna sostenuta fortemente da Ahmed Kathrada, anche lui condannato nel famoso processo di Rivonia e prigioniero con Nelson Mandela nell’isola di Robben Island. Mandela diede il suo consenso a lanciare la campagna dalla sua cella ma non gli fu possibile partecipare, era già molto malato. Denis si è sempre speso per la giustizia e la verità e per il popolo palestinese, in modo deciso e determinato, ma trovate in Ronnie Kasrils le parole migliori per descriverlo.

La sua morte è un enorme dolore e una perdita nel movimento per la libertà della Palestina. Ciao Denis.

Luisa Morgantini

Integrità e difesa della verità, qualunque fosse il costo personale, questa è stata la scelta che Denis Goldberg ha fatto in tenera età, e a cui è rimasto fedele per tutta la vita. Si dice che una vita vissuta con integrità, dedicata alla lotta per la libertà e l’uguaglianza di tutti, è come una luce guida per le nazioni. Denis si unisce a quel pantheon di stelle nel firmamento.

I suoi genitori si stabilirono in Sud Africa, dalla Lituania passando per Londra, per sfuggire ai pogrom zaristi e alla povertà della Russia del 19° secolo. Crebbe nella zona allora multirazziale di Observatory, Città del Capo, dove suo padre aveva una piccola attività di trasporto merci. Entrambi i genitori erano membri del Partito Comunista e l’educazione di Denis in una casa non razzista durante la Seconda Guerra Mondiale, unita alla lotta contro il fascismo, ha modellato le sue opinioni. “Ho capito che ciò che stava accadendo in Sud Africa con il suo razzismo era equivalente al razzismo della Germania nazista in Europa ed era ciò contro cui dovevamo combattere”, ha spiegato molte volte. Ma è stata la repulsione verso il razzismo che aveva visto in Sud Africa a diventare la forza trainante per tutto il corso della sua vita, così diversa da quella del 99% della comunità bianca. Aborriva il razzismo e la discriminazione ovunque esistessero. Ha sperimentato l’antisemitismo nei suoi anni scolastici. Non era religioso, ma assorbiva da sua madre il precetto giudaico del saggio Hilel: “tratta gli altri come desideri che trattino te.”

Da Ebreo anti-sionista, finì per vedere il razzismo coloniale di Israele come del tutto simile all’apartheid del Sud Africa.

Già da adolescente era stato attratto dal movimento di liberazione e nel 1957, dopo essersi laureato come ingegnere civile, si era unito al Partito Comunista (clandestino) e al Congresso dei Democratici (legale) che era alleato dell’African National Congress (ANC) e sosteneva la Carta della Libertà. Il massacro di Sharpeville del 1960 vide sia lui che sua madre scontare quattro mesi di carcere. Le sparatorie contro Africani disarmati videro passare l’ANC dalla resistenza non violenta alla resistenza violenta e all’istituzione dell’ala armata, uMkhonto weS izwe (Lancia della Nazione). Denis fu reclutato fin dall’inizio. Dopo tre anni movimentati fu catturato insieme ai massimi leader del movimento nella fattoria-rifugio di Rivonia.

Era il più giovane degli accusati nel processo di Rivonia del 1964 e all’età di 31 anni affrontò una possibile condanna a morte insieme a Nelson Mandela, Sisulu e altri, per aver avviato la resistenza armata all’apartheid. La sua telefonata esultante alla madre malata, che non aveva pienamente compreso il verdetto, fu: “La vita, mamma! Una bella vita.” Una profetica definizione per la sua vita, la sua bella vita fatta di valori e di servizio al popolo, nonostante i 22 duri anni di reclusione, separato dalla famiglia e dal suo coimputato, incarcerato a Robben Island. Ciò che più pesò sulla resistenza di Denis fu la separazione da quei compagni d’arme africani, poiché scontò la maggior parte della sua condanna in una prigione per bianchi, con solo pochissimi compagni. Nel 1985, dopo essere stato un prigioniero pieno di risorse, capace di entusiasmare i compagni di prigionia, il suo morale cominciò a cedere. Confessò alla sua unica visitatrice, Hillary Kuny (sua moglie Esme era in esilio in Inghilterra e non poteva fargli visita) –con una voce che, ha raccontato Hillary, era “simile alla disperazione”– che aveva detto addio a 48 compagni, usciti perché avevano avuto condanne più brevi della sua. Mentre era contento per il loro rilascio, scrive Kuny, era chiaro che sentiva come interminabile la sua condanna. Poi è venuto il rilascio, partito da una fonte inaspettata. La sua giovane figlia, chiamata anche lei Hillary, che viveva in un kibbutz in Israele, si era affidata al sostegno di un influente collega israeliano che aveva negoziato il rilascio di prigionieri ebrei, per lo più criminali, da tutto il mondo.

Il governo sudafricano dell’apartheid accettò le richieste di quest’uomo, cercando di far buona impressione sull’alleato israeliano. Denis fu rilasciato a condizione che si impegnasse a non sostenere il rovesciamento violento dello stato di apartheid. Lui interpretò creativamente questa condizione, come se gli desse il diritto di sostenere il cambiamento politico una volta all’estero e di mobilitarsi perché il regime fosse isolato dal resto del mondo. Pretoria reagì in modo furibondo a quanto era accaduto. La libertà dette una nuova prospettiva di vita a Dennis, e lui non poté far altro  che volare con il mediatore israeliano al kibbutz di sua figlia. Lasciando costernato il suo salvatore, cominciò a criticare duramente Israele per i suoi traffici d’armi con il Sud Africa dell’apartheid, dichiarando che Israele era l’equivalente medio-orientale del Sud Africa, e che la soluzione in entrambi i paesi doveva essere la stessa: uno stato con uguali diritti per tutti.

Volò subito a Londra da sua moglie e da suo figlio David, ormai un uomo. Fu accolto calorosamente dall’ANC e si mise ben presto a lavorare per loro a tempo pieno. Tra i suoi primi compiti internazionali c’era quello di parlare, a nome dell’ANC, di piena solidarietà con il popolo palestinese. Espresse più volte le sue opinioni su Israele.

“Avendo vissuto l’apartheid in Sud Africa, non c’è alcun dubbio nella mia mente che Israele sia uno stato di apartheid. Per la mia esperienza, non posso accettare che lo stesso tipo di oppressione sia usato contro i Palestinesi. Devo esprimere la mia contrarietà. E devo cercare di parlare contro questa oppressione con voce razionale e calma, quando in realtà sono molto arrabbiato […] quando la gente [israeliana] dice, beh, voi Sudafricani siete di parte, siete contro di noi. Non lo siamo. Stiamo parlando di diritto internazionale… La lobby filo-israeliana, il Consiglio Sudafricano dei Deputati Ebraici e la Federazione Sionista sudafricana cercano di dire che [la questione israelo-palestinese] non è una questione semplice, [dicono anzi che] è assai complicata. Non è complicata! È molto semplice, la semplicità è che un gruppo dominante [Ebrei israeliani] esclude il popolo palestinese indigeno dalla parità dei diritti”.

Servì l’ANC con energia illimitata e devozione, diventò uno dei suoi più straordinari oratori pubblici sul circuito internazionale, e più tardi in Sud Africa raccolse fondi per istituire una società commerciale di successo e fondò Community Heart che ancora oggi raccoglie libri e attrezzature educative per le scuole svantaggiate in tutta l’Africa meridionale. Tornò a casa in Sud Africa nel 2002 per un incarico di governo dopo che erano morte la moglie e poi la figlia. Un nuovo capitolo della sua vita cominciò con il suo secondo matrimonio con Edelgard Nkobi, una giornalista della Germania dell’Est (vedova del figlio del leader dell’ANC Thomas Nkobi). Si stabilirono a Hout Bay, fuori Città del Capo, quando la tragedia lo colpì nuovamente con la prematura morte di Edelgard per un tumore.

Coraggioso come sempre, Denis non permise mai che il dolore personale lo trattenesse. Il suo contributo politico e il suo coinvolgimento continuarono, diventando sempre più centrati sul progresso dei più svantaggiati nella sua comunità. Ma non per questo Denis si ritirasse dal lavoro nazionale o internazionale. La sua è stata sempre una voce influente nell’ANC, con molti viaggi all’estero come conferenziere e molte missioni di raccolta fondi. Quando, sotto il presidente Zuma, l’organizzazione divenne preda di corruzione e lo Stato di cattiva gestione e saccheggio, alzò la sua voce di condanna. Sostenne l’avvento al potere del Presidente Cyril Ramaphosa e sperava nel rinnovamento. Denis non si faceva illusioni e sapeva che, data l’eredità di disuguaglianza e povertà causate dall’apartheid, ci sarebbero voluti anni di sforzi onesti per sistemare le cose. Né si faceva illusioni sulla dura lotta che aspettava i Palestinesi. Continuò a difendere la loro causa fino alla fine della vita, incoraggiandoli con l’esempio vittorioso del Sudafrica contro l’apartheid e sottolineando l’importanza di campagne come il BDS. Nel 2017, quando i prigionieri palestinesi erano in sciopero della fame, fece un appello appassionato per il loro rilascio.

“Noi Sudafricani abbiamo imparato dal nostro passato di apartheid che leggi e regolamenti come la detenzione amministrativa sono usati per rafforzare un sistema razzista e di segregazione. Negli ultimi 50 anni, più di ottocentomila Palestinesi sono stati imprigionati dallo Stato israeliano, sotto molte leggi e regolamenti amministrativi esplicitamente razzisti e sotto un’occupazione militare illegale…”

Aggiungeva: “Sono deluso dal fatto che troppi Ebrei israeliani tacciano di fronte al razzismo di stato israeliano e alla negazione della giustizia. Il silenzio di fronte all’ingiustizia …. rende le persone complici di quell’ingiustizia.”

Mostrando la sua preoccupazione umana per tutti, Ebrei e Arabi, imprigionati all’interno del sistema sionista di Israele, e fiducioso che sarebbero potuti vivere tutti in armonia in un sistema basato sull’uguaglianza, concludeva:

“La … risposta ai bisogni di pace e stabilità in Israele e in Palestina e non è … la reclusione di coloro che chiedono giustizia… La risposta deve essere un sistema sociale ed economico in uno stato di diritto che produca una società inclusiva e democratica. Crediamo pertanto che lo sciopero della fame dei prigionieri politici sia giustificato e gridiamo: Basta con la detenzione amministrativa ORA! Liberate tutti i prigionieri politici ORA!”

La sua delusione per il comportamento degli Ebrei israeliani rispecchiava le sue opinioni sulla comunità ebraica in Sudafrica e sul loro incondizionato sostegno a Israele. Il fatto che fosse pronto a discutere le questioni in modo civile dette ai sionisti la sfrontatezza di affermare che in qualche modo si era avvicinato a loro. In effetti, lui era pronto a discutere anche con le sue guardie carcerarie.

Per quasi tre anni, Denis Goldberg ha lottato con una malattia debilitante che lo avrebbe portato alla morte. La sua fortuna fu quella di aver sviluppato un tenero rapporto con una donna deliziosa, Deidre Abrahams, che era un medico legale. Lei e altri amici devoti, così come suo figlio David, un uomo d’affari di successo, hanno lavorato con lui per la sua creazione finale: la costruzione di una Casa della Speranza per i bambini poveri della zona, dove l’arte, la musica e le attività sportive potessero fiorire. Era così determinato a vedere l’inizio del centro progettato che, quando c’era qualcosa da fare e Deidre o i suoi aiutanti non erano disponibili, usava un deambulatore per raggiungere la sua auto, collegava il suo apparecchio per l’ossigeno a una batteria sul sedile posteriore e partiva a tutta velocità.

Ho sentito da Deidre che Denis aveva tre desideri prima di morire: morire a casa; morire tra le braccia della sua amata; e veder l’inizio dei lavori per la sua Casa della Speranza. Tutti e tre i desideri gli sono stati accordati.

Il governo ha dichiarato quattro giorni di lutto per la sua scomparsa. Mi par di sentire la voce scherzosa di Denis che dice: tanto, con il blocco per il Covid-19, ci sarebbe stato comunque silenzio.

Che vita. Un vero essere umano.

Ronnie Kasrils, ex ministro del governo, e veterano della lotta contro l’apartheid.

https://portside.org/2020-05-16/denis-goldberg-man-integrity-south-african-freedom-fighter-anti-zionist-jew-and-true

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

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