Qual è la verità del viaggio lampo di Pompeo in Israele nel mezzo della pandemia

L’Iran e il coronavirus sono ovviamente dei diversivi. Allora perché è tanto urgente ed essenziale per il Segretario di Stato visitare Israele proprio ora?

di Daniel B. Shapiro

Haaretz, 11 maggio 2020

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Il Segretario di Sato americano parla all’ambasciata di Israele per la celebrazione del Giorno dell’Indipendenza. Washington, 22 maggio 2019. AFP

La sua sede del Dipartimento di Stato rimane in isolamento, con la maggior parte degli impiegati che lavorano da casa. Il mondo intero è soggetto all’allerta di livello 4 di “Non Viaggiare”. Ci sono funzionari della Casa Bianca che hanno partecipato a incontri nell’Ala Ovest [dove sono gli uffici del presidente, NdT] che sono risultati positivi al COVID-19 negli scorsi giorni.

Tuttavia, con tutto ciò, mercoledì 13 il Segretario di Stato Mike Pompeo atterrerà per una breve visita in Israele, dove incontrerà il primo ministro Benjamin Netanyahu e lo speaker della Knesset Benny Ganz, proprio prima che pronuncino il giuramento per il nuovo governo di Israele. Molti Israeliani si chiedono: perché?

In linea di principio, visite di funzionari americani a Israele sono sempre all’ordine del giorno. I due grandi alleati hanno talmente tanti interessi e affari in comune che di solito non serve un’agenda specifica.

Eppure, nel mezzo della pandemia globale di coronavirus, Pompeo non ha mai fatto viaggi all’estero dopo una visita in Afghanistan in marzo e non farà altre fermate in questo viaggio. Israele sta appena cominciando a emergere dalla chiusura e impone ancora una quarantena di 14 giorni ai viaggiatori che arrivano dall’estero – una clausola da cui sarà dispensato Pompeo e il suo piccolo gruppo di collaboratori. Presumibilmente, seguiranno il protocollo israeliano indossando mascherine e rispettando la distanza sociale nelle loro riunioni.

Allora, che cosa rende essenziale questa visita proprio ora?

Il Dipartimento di Stato annunciando la visita di Pompeo elenca due punti in agenda: gli sforzi degli Stati Uniti e di Israele per combattere il COVID-19 e la risposta alle malefiche attività dell’Iran nella regione. Ma c’è un terzo punto che aleggia pesantemente sullo sfondo: l’imminente decisione dell’annessione unilaterale della Cisgiordania da parte di Israele.

Sul COVID-19 Pompeo ha molto da imparare dall’esperienza israeliana. Il relativo successo di Israele nell’appiattire la curva dei contagi, limitare la mortalità e prevenire l’affollamento del sistema sanitario è in netto contrasto con il caotico, tragico disastro che caratterizza l’azione del governo americano. Le 250 morti di Israele rappresentano più o meno un decimo del tasso di mortalità degli Stati Uniti, dove ora le morti superano le 80.000 con pochi segnali di rallentamento.

Israele fa parte di una rete di paesi più piccoli i cui governi hanno agito tempestivamente e le cui popolazioni hanno seguito le istruzioni e sono ora in grado di cominciare una graduale riapertura e una ripresa. Questa esperienza, insieme ai progressi israeliani nelle tecnologie mediche, come i ventilatori a basso costo e la ricerca sul vaccino, potrebbero essere di grande aiuto agli Stati Uniti nell’arginare i danni del coronavirus.

Tutto ciò non basterebbe, naturalmente, a riparare i danni fatti alla leadership globale degli Stati Uniti dalla risposta ondivaga del presidente Trump alla pandemia che aveva in casa e dalla sua indifferenza verso il resto del mondo, fattori che chi ora ospita Pompeo si guarderà bene dal menzionare.

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Il Segretario di Stato Mike Pompeo partecipa a una riunione con il presidente Donald Trump, capi militari senior e la squadra nazionale di sicurezza di Trump nella Cabinet Room della Casa Bianca, il 9 maggio 2020, (Patrick Semansky)

L’eterno problema del comportamento minaccioso dell’Iran, sia nel campo nucleare che per le aggressioni ai paesi vicini, è sempre un tema accettabile per delle consultazioni ad alto livello tra Stati Uniti e Israele. Il momento attuale, con le iniziative dell’Iran in Siria che autorizzano bombardamenti aerei israeliani, non fa eccezione. Ma Pompeo arriva in una congiuntura cruciale: quando è al culmine la politica di Trump per distruggere il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action/Piano d’Azione Comprensivo Congiunto), l’accordo sul nucleare iraniano.

Gli Stati Uniti stanno cercando di ottenere in questo periodo una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per estendere l’embargo sulle armi contro l’Iran, che deve scadere in ottobre secondo i termini del JCPOA. La Russia e la Cina probabilmente porranno il veto su questa proposta, nonostante i suoi ovvi meriti di togliere armamenti sofisticati dalle mani dell’aggressivo regime di Teheran. In questo caso, gli Stati Uniti minacciano di invocare la propria posizione di partecipante al JCPOA –una rivendicazione discutibile dato che Trump ha abbandonato l’accordo nel 2018– per chiedere il ritorno di tutte le precedenti sanzioni contro l’Iran imposte dalle Nazioni Unite.

Questo vorrà dire il crollo finale del JCPOA, che comunque è stato tenuto in vita artificialmente giacché l’Iran rispondeva alle sanzioni più dure da parte degli Stati Uniti violando man mano le restrizioni al suo programma nucleare previste dall’accordo.

Da una parte, questo è un momento buono per Netanyahu, un critico radicale del JCPOA. D’altra parte, quale strategia verrà dopo questo crollo, come rispondere al fatto che l’Iran è ora a sei mesi dall’ingresso nel nucleare invece che a un anno come imposto dal JCPOA, rimane una cosa del tutto oscura. Funzionari americani e israeliani si consulteranno su come andare avanti, tenendo presente che la linea americana potrebbe cambiare dopo le elezioni presidenziali di novembre.

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Il Segretario di Stato Mike Pompeo ispeziona un F-15E Strike Eagle nella base aerea Prince Sultan in Arabia Saudita durante un viaggio per discutere questioni di sicurezza riguardanti l’Iran. 20 Febbraio 2020. (Andrew Caballero Reynolds. AP)

Ma nessuno di questi temi richiede una visita lampo del Segretario di Stato alla vigilia di un nuovo governo israeliano. Ciò che potrebbe richiederla è forse il desiderio di coordinare le rispettive posizioni sul tema dell’annessione unilaterale in Cisgiordania.

Ipocritamente, Pompeo il mese scorso affermava che gli Stati Uniti hanno lasciato completamente a Israele il compito di decidere se procedere o meno con l’annessione. Ma l’accordo di coalizione, che specifica che ci deve essere l’assenso degli Stati Uniti, dice che le cose non stanno così. Nel frattempo, l’amministrazione Trump ha chiarito abbondantemente che sta premendo perché l’annessione avvenga il più presto possibile dopo il 1 luglio, la data fissata nell’accordo di coalizione.

Pompeo, diversamente dalla maggior parte dei segretari di stato, non si è sottratto dal far politica interna per servire il suo capo. Ha partecipato a un gran numero di dibattiti radio televisivi e sulle reti social nelle ultime settimane, generalmente insistendo sui misfatti dalla Cina all’origine della pandemia di coronavirus.

Questi commenti possono essere giustificati, ma in quelle sedi sono usati per sviluppare una strategia di rafforzamento della base politica di Trump e per generare rabbia e entusiasmo che motiverà la gente ad accorrere in massa alle elezioni di novembre.

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Il primo ministro Benjamin Netanyahu visita il futuro sito di un nuovo quartiere nell’insediamento di Har Homa a Gerusalemme Est. 20 febbraio 2020. (DEBBIE HILL.AP

Per Trump, l’annessione unilaterale del 30% della Cisgiordania, a cui ha dato il via libera in gennaio con l’annuncio del suo “Piano del Secolo” per Israele/Palestina, serve a una finalità simile.

L’annessione non gode di una grande ondata di sostegno ed è oggetto di una forte opposizione nel pubblico americano in generale e nella comunità ebraica americana in particolare. Ma per la base evangelica ed ebraica di destra di Trump, l’annessione da parte di Israele –e l’ultima benedizione che ciò impartirà alla morente soluzione dei due stati– è molto popolare.

Mentre sale la preoccupazione internazionale per l’annessione unilaterale –i governi europei e il ministro degli esteri degli Emirati Arabi hanno aggiunto di recente la loro voce agli allarmati ammonimenti dei funzionari palestinesi e giordani– e mentre l’ex vice presidente Joe Biden e i suoi amici democratici dichiarano la loro opposizione, Pompeo e Netanyahu cercheranno una strategia comune per promuovere l’obiettivo di Trump.

Ma, se Gantz sollevasse alcune gravi questioni non risolte sulla mappatura, la sicurezza, i costi e le implicazioni regionali del progetto di annessione, potrebbe rimandare a casa Pompeo con un messaggio differente: che il nuovo governo israeliano è diviso sulla saggezza della rotta intrapresa.

Daniel B. Shapiro è Distinguished Visitig Fellow dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv. È stato ambasciatore di Israele negli Stati Uniti dal 2011 al 2017. Twitter: @DanielBShapiro

https://www.haaretz.com/us-news/.premium-what-pompeo-s-high-speed-mid-pandemic-trip-to-israel-is-really-about-1.8838797

Traduzione di Gabriella Rossetti – AssopacePalestina

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