Dopo cinque anni di attesa, ancora nessuna indagine nel Rapporto del Procuratore della Corte Penale Internazionale sulle attività preliminari del 2019.

Al-Haq, 6 dicembre 2019

Il 5 dicembre 2019 l’Ufficio del Procuratore della Corte Penale internazionale (CPI) ha pubblicato una relazione anticipata sulle indagini preliminari 2019, includendo una sezione di 6 pagine sulla situazione della Palestina. La relazione contiene ingiustificate e inquietanti mancanze tra cui l’omissione della Striscia di Gaza dai territori occupati nel 1967. Inoltre, il Rapporto non ricorda che l’estendersi della sovranità israeliana illegale su Gerusalemme nel 1980 durante l’occupazione che era in atto rappresenta un’annessione che viola l’articolo 2(4) della carta delle Nazioni Unite e l’articolo 47 della Quarta Convenzione di Ginevra, una misura che a suo tempo fu condannata “nei termini più forti” come illegale in base alla risoluzione 478 (1980) del Consiglio di Sicurezza ONU. Elemento cruciale, la stessa Legge Fondamentale israeliana che modifica lo status giuridico di Gerusalemme è considerata una violazione della legge internazionale, violazione che la comunità internazionale è obbligata a non riconoscere, come stabilito dal Consiglio di Sicurezza.

In tutto il Rapporto, sia Israele che la Palestina sono considerate come due parti uguali in un conflitto in corso. Le nostre organizzazioni (Al-Haq, il Centro Palestinese per i Diritti Umani PCHR e il Centro Al-Mezan per i Dritti Umani) avvertono che questa incapacità di affrontare adeguatamente il contesto esistente è del tutto fuorviante. Il contesto è invece quello di un’occupazione belligerante che dura da 52 anni, in cui una delle parti in conflitto (Israele, la potenza occupante) ha soggiogato la popolazione occupata che rimane saldamente sotto il suo controllo e la sua amministrazione. Ciò impone determinati obblighi a Israele giacché la violazione delle leggi che governano la sua amministrazione del territorio occupato può equivalere a gravi violazioni e crimini di guerra, con alcuni atti che raggiungono il livello di crimini contro l’umanità.

La tendenza a mettere sullo stesso piano il fatto che Israele sparava contro dei civili durante la marcia del Grande Ritorno e gli atti dei manifestanti palestinesi, ha prodotto delle anomalie nel Rapporto. Per esempio, problemi di ordine pubblico palesemente di basso livello come il lancio di sassi e “i tentativi di infiltrarsi nel territorio di Israele” sono descritti come “atti violenti.” Anche l’uso di attrezzi improvvisati come aquiloni e palloni incendiari difficilmente può considerarsi un crimine di guerra di cui la Corte debba occuparsi.

Allo stesso modo, il Rapporto si preoccupa per “le argomentazioni” ricevute dall’Ufficio del Procuratore secondo cui il pagamento da parte dell’Autorità Palestinese di prestazioni sociali ai parenti dei deceduti implicati presumibilmente in “attacchi,” rappresenterebbe un crimine secondo lo Statuto di Roma. Simili accuse, infatti, potrebbero difficilmente superare una valutazione di non comprovata mens rea [cioè che l’atto sia fatto col proposito di commettere un reato, NdT]. Questo solleva il problema del perché mai un’accusa così inconsistente sia presente nel Rapporto.

E ancora, crimini contro l’umanità  come persecuzioni, trasferimenti forzati di civili e stato di apartheid, messi in atto da Israele nel corso di questa lunga occupazione, sono seguiti immediatamente da un presunto equivalente crimine contro l’umanità commesso dall’Autorità Palestinese e consistente in torture e atti simili contro civili che si trovano nei centri di detenzione. Senza dubbio violazioni di diritti umani accadono in aree sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, e presumibilmente anche  crimini di guerra, ma  è altamente improbabile che tali violazioni facciano parte di una politica o di un piano che arrivi al livello di un attacco sistematico contro la popolazione civile, e parlare di crimini contro l’umanità in entrambi i casi ha tutte le caratteristiche di una distorta ricerca di equilibrio.

Un’errata interpretazione legale dei Territori Occupati Palestinesi

Le nostre organizzazioni rigettano e condannano nella maniera più decisa ciò che può essere descritto soltanto come un riassetto territoriale da parte dell’Ufficio del Procuratore, quando descrive la Cisgiordania e Gerusalemme Est come territori sotto il ‘controllo’ di Israele e perciò come territori occupati, e invece presenta separatamente la Striscia di Gaza come un’area di ostilità ancora in corso. Questa valutazione è palesemente in contrasto con le posizioni internazionali che vedono la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza come territori palestinesi occupati dal 1967, come stabilito dalle molteplici risoluzioni del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU[1], dall’Assemblea Generale dell’ONU[2], dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dai risultati approfonditi della Commissione d’Inchiesta ONU, e dal parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia.[3]

Le nostre organizzazioni ricordano che il territorio della Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza è un territorio internazionalmente riconosciuto come una singola unità legale.[4] Ricordiamo inoltre che il non includere la Striscia di Gaza come territorio occupato contraddice precedenti rapporti dell’Ufficio del Procuratore, in cui si affermava che “l’idea prevalente della comunità  internazionale è che Israele rimane una potenza occupante a Gaza nonostante il disimpegno del 2005.”[5]

Pertanto, il Rapporto si basa  sulla frammentazione da parte di Israele dei Territori Palestinesi Occupati per i suoi scopi espansionistici coloniali, una frammentazione che è ulteriormente rafforzata dall’applicazione di differenti regimi legali nella Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza, il rifiuto della libertà di movimento dei Palestinesi attraverso la costruzione del Muro di Annessione e di posti di blocco all’interno e intorno alla Cisgiordania e a Gerusalemme, muri militari, recinzioni, zone cuscinetto, torri di osservazione, sorveglianza con droni che circondano e imprigionano oltre due milioni di persone nella Striscia di Gaza, dove Israele mantiene un indiscusso controllo sullo spazio territoriale, marittimo ed aereo. Inoltre, il continuo controllo di Israele su tutti i Palestinesi  attraverso il registro della popolazione, il rifiuto della riunificazione delle famiglie, il rifiuto del ritorno dei rifugiati palestinesi, il rifiuto della libertà di movimento di persone, merci e servizi per tutto il territorio occupato e la divisione della popolazione palestinese  attraverso un sistema identificativo discriminatorio hanno frammentato famiglie intere per decenni in tutto il TPO.

Analisi irrilevante di un “processo di pace” che non esiste

Stranamente, il Rapporto approfondisce aspetti che considera potenziali oggetti di negoziazione in vista di un futuro processo di pace, tra i quali “la determinazione dei confini, la sicurezza, i diritti sull’acqua, il controllo sulla città di Gerusalemme, gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, i profughi e la libertà di movimento dei Palestinesi”.[6] Le nostre organizzazioni insistono sul fatto che i Palestinesi debbano avere il diritto di sovranità permanente sulla propria acqua e sulle proprie risorse naturali, diritti protetti durante un’occupazione belligerante secondo l’Articolo 55 dei Regolamenti de L’Aia. Siamo particolarmente preoccupati per il fatto che l’Ufficio del Procuratore non menziona la grave denuncia della società civile palestinese riguardo al crimine di saccheggio e distruzione, da parte di Israele, delle risorse naturali nei Territori Palestinesi Occupati. D’altro canto l’annessione di Gerusalemme viola i principi base che vietano l’acquisizione di territori mediante l’uso della forza, violazione che la comunità internazionale ha il dovere di non riconoscere e di far cessare. Analogamente, la costruzione di insediamenti costituisce, tra le altre cose, un’evidente violazione dell’Articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, mentre la natura inalienabile dei diritti di libertà di movimento e di ritorno dei profughi palestinesi non dovrebbero, a questo punto, essere indicati come diritti che possano essere barattati.

Al-Haq, Al-Mezan e PCHR si preoccupano della visione ristretta sulla cosiddetta Operazione Margine Protettivo, non inquadrata in un contesto più ampio che includa la prolungata occupazione militare, la chiusura e il blocco della Striscia di Gaza dopo le elezioni libere ed imparziali del 2006, e la punizione collettiva in atto sul popolo palestinese della Striscia di Gaza. Noi condanniamo come fuorviante l’analisi distorta dell’Ufficio del Procuratore sull’offensiva militare di Israele sulla Striscia di Gaza nel 2014. Come probabilmente l’Ufficio del Procuratore ricorda, le ostilità, che durarono ben 51 giorni, furono caratterizzate dai più vergognosi e pesanti bombardamenti sulla Striscia di Gaza dall’inizio dell’occupazione, nel 1967, quando Israele condusse più di 6000 attacchi aerei su Gaza, su aree densamente popolate da civili e in una zona chiusa sotto assedio militare. [7]

Tuttavia, il rapporto non menziona le sproporzioni grottesche in termini di perdite umane, per cui furono uccisi 2251 Palestinesi, inclusi 1462 civili, da confrontare con i 67 militari israeliani ed i 6 civili israeliani uccisi durante l’offensiva del 2014 sulla Striscia di Gaza.[8] Inoltre, il rapporto non parla della distruzione estesa di infrastrutture vitali, insieme alla demolizione di più di 18000 abitazioni di famiglie palestinesi nella Striscia di Gaza. Il rapporto non fa nemmeno riferimento ai risultati della Commissione di Inchiesta delle Nazioni Unite, che ad esempio concluse che:

“Le indagini della commissione sollevano anche il problema del perché le autorità israeliane non abbiano corretto le proprie politiche a Gaza e in Cisgiordania durante il periodo esaminato dalla commissione. In realtà, il fatto che la leadership politica e militare non abbia cambiato linea di condotta, nonostante la grande quantità di informazioni sull’imponente livello di distruzione e morte a Gaza, solleva questioni su potenziali violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di questi ufficiali, che possono arrivare ad essere considerati crimini di guerra. Le attuali procedure di attribuzione di responsabilità potrebbero non essere adeguate per affrontare questo aspetto.”[9]

Il Rapporto, quindi, ripropone la narrativa della sicurezza militare di Israele e non riesce ancora una volta ad affrontare le “cause scatenanti” del conflitto e dell’occupazione, che le vittime nei Territori Palestinesi Occupati hanno più volte chiesto alla comunità internazionale di affrontare. [10]

La Grande Marcia del Ritorno

Ancora una volta, la Grande Marcia del Ritorno è estrapolata da ogni contesto, inclusa la situazione di occupazione belligerante prolungata, e non fa alcun riferimento alle recenti conclusioni della Commissione di Inchiesta dell’ONU del Marzo 2019. Le nostre organizzazioni ricordano che Israele, come Potenza Occupante, dovrebbe seguire il modello di tutte le forze dell’ordine nel sorvegliare proteste pacifiche come la Grande Marcia del Ritorno. L’uso della forza da parte di Israele, che ha portato finora a circa 210 uccisioni note,[11] non è solo il risultato di una “forza eccessiva e mortale”, come il rapporto dell’Ufficio del Procuratore suggerisce, riferendosi a una formula del Diritto Internazionale Umanitario, ma è il risultato di un uso “non necessario” della forza, che ha portato alla soppressione arbitraria del diritto alla vita, come riportato nell’Articolo 6 dell’Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici, la cui violazione, nel contesto dell’occupazione in corso, equivale al crimine di guerra di assassinio deliberato. La scelta del linguaggio nel Rapporto è grossolanamente fuori contesto, trattandosi in questo caso di applicare semplicemente le leggi che tutelano l’ordine pubblico, come già confermato nelle conclusioni convincenti ed approfondite della Commissione di Inchiesta delle Nazioni Unite (CoI).[12]

A questo proposito bisogna osservare che, in seguito alla valutazione della CoI secondo cui “Sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani che potrebbero equivalere a crimini contro l’umanità”, la CoI ha raccomandato che il Governo di Israele:

“Indaghi immediatamente, in maniera imparziale e indipendente, su ogni uccisione e lesione collegata alla protesta, secondo standard internazionali, per determinare se siano stati commessi crimini di guerra o crimini contro l’umanità, affinché coloro che ne sono ritenuti responsabili ne rispondano adeguatamente”[13]

Inoltre, bisogna evidenziare che la richiesta da parte della suddetta CoI, che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani gestisca i dossier sui presunti colpevoli, da consegnare alla Corte Penale Internazionale, non è ancora stata eseguita.[14] La conservazione e la verifica delle prove è fondamentale per il procedimento contro crimini gravi, e il mancato trasferimento di questi documenti rappresenta un ingiustificato ostacolo all’accesso alla giustizia da parte delle vittime.

A tal proposito, in Isayeva v Russia I, la Corte Europea per i Diritti Umani (ECtHR) ha criticato i lunghi ritardi prima dell’apertura di un’indagine, ed in quel caso criticava la mancata raccolta delle prove sull’esistenza di un corridoio sicuro per il trasferimento dei civili [si fa qui riferimento alla causa di una donna cecena che ha accusato la Russia di non aver comunicato tempestivamente l’esistenza di una via di fuga per i civili di un villaggio in cui erano rimasti uccisi dalle bombe i familiari della donna, NdT], osservando quanto fosse difficile per l’ ECtHR stabilire come un’indagine fosse stata effettivamente condotta. In modo analogo, dato il potenziale accesso dell’Ufficio del Procuratore alle prove raccolte dalla Commissione di Inchiesta, la mancata acquisizione di queste prove indebolisce la credibilità dell’esame della Corte.[15]

La recente offensiva militare di Israele sulla Striscia di Gaza

Il Rapporto descrive gli attacchi di Israele sulla Struscia di Gaza del 4-6 maggio 2019, ma non menziona il pesante bilancio in termini di vittime durante i due giorni, che hanno portato all’uccisione di 23 Palestinesi, inclusi 14 civili (3 bambini e 3 donne).[16] Mentre il Rapporto menziona in dettaglio gli attacchi “mirati”, che hanno portato alla morte di 30 “individui” palestinesi, bisogna sottolineare che queste cifre includono 9 membri della famiglia al-Sawarka, uccisi in un attacco aereo – gli “individui” includevano 5 bambini, due dei quali neonati.

Infine, il ritardo nel procedere con le indagini, con un esame preliminare che dura ormai da quasi cinque anni, bloccato nell’Ufficio del Procuratore, e dopo circa 10 anni da quando i Palestinesi presentarono una richiesta alla Corte, ci preoccupa seriamente. Le vittime dei crimini di Israele hanno il diritto di accedere alla Corte entro tempi ragionevoli. Perciò, noi chiediamo al Procuratore di procedere con le indagini senza ulteriori ingiustificati ritardi. Ritardi prolungati possono essere intesi come interferenze politiche immotivate con il lavoro dell’Ufficio del Procuratore, mettendo a rischio la reputazione di imparzialità e indipendenza della Corte. Nel richiedere l’apertura immediata di un’inchiesta, Al-Haq, Al-Mezan e PCHR richiamano il vecchio adagio, “non solo deve essere fatta giustizia: si deve vedere che è stata fatta.” Non ci possono essere ulteriori ritardi.[17]

Note:

[1] UN Human Rights Council Resolution S-21/1 (23 July 2014).

[2] Peter Maurer, Challenges to international humanitarian law: Israel’s occupation policy, International Review of the Red Cross, Vol. 94, Number 888, p.1506; International Criminal Court, Office of the Prosecutor, Situation on Registered Vessels of the Comoros, Greece and Cambodia, 6 November 2014, Article 53 (1) Report, p. 17; General Assembly resolutions A/Res/64/92, A/Res/64/94, da leggere insieme.   

[3] ICJ, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, I.C.J. Reports 2004 , 9 July 2004, par. 78 et seq., 113. Prima di questa decisione, lo status di Israele come potenza occupante è stato riconosciuto, tra gli altri, dagli Accordi di Oslo, dalla Corte Suprema israeliana, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’Assemblea Generale dell’ONU e il Dipartimento di Stato USA.

[4] Assemblea Generale ONU 64/94, 10 dicembre 2009, che invita Israele a rispettare l’unità territoriale dei TPO, e si riferisce a Gaza come parte di quei territori; Art. XI (1) dell’Interim Agreement.

[5] International Criminal Court, The Office of the Prosecutor, “Situation on Registered Vessels of Comoros, Greece and Cambodia. Art. 53(1) Report” para. 27, available at: https://www.icc-cpi.int/iccdocs/otp/OTP-COM-Art. 53(1)-Report-06Nov2014 Eng.pdf

[6] Office of the Prosecutor, Report on Preliminary Examinations 2019, Palestine, para. 9 (copia preliminare).

[7] UN HRC, Commission of Inquiry 2014

[8] Vedi: Commission Report Summary, para 20; OCHA, “Key figures on the 2014 hostilities. Data featured in the Report of the Independent Commission of Inquiry on the 2014 Gaza Conflict, available at: https://www.ochaopt.org/content/key-figures-2014-hostilities

[9] A/HRC/29/CRP.4 ”Report of the detailed findings of the independent commission of inquiry established pursuant to Human Rights Council resolution S-21/1” (24 June 2015) para. 672.

[10] A/HRC/29/CRP.4 ”Report of the detailed findings of the independent commission of inquiry established pursuant to Human Rights Council resolution S-21/1” (24 June 2015) p. 180, para. 668, 

[11] Dati nell’archivio di Al-Haq al 5 dicembre 2019. 

[12] Vedi: section 2, A/HRC/40/CRP.2, “Report of the detailed findings of the independent international Commission of inquiry on the protests in the Occupied Palestinian Territory” (18 March 2019)

[13] A/HRC/40/CRP.2, “Report of the detailed findings of the independent international Commission of inquiry on the protests in the Occupied Palestinian Territory” (18 March 2019) para. 800.

[14] A/HRC/40/CRP.2, “Report of the detailed findings of the independent international Commission of inquiry on the protests in the Occupied Palestinian Territory” (18 March 2019) para. 801.

[15] App. No. 57950/00, Isayeva v. Russia, 218-22, a: www.echr.coe.int/ECHR/EN/Header/Case-Law/Hudoc/Hudoc+database/.

[16] PCHR, “Weekly Report On Israeli Human Rights Violations in the Occupied Palestinian Territory” (02– 08 May 2019), disponibile a: https://pchrgaza.org/en/?p=12474

[17] R v Sussex Justices, ex parte McCarthy 

http://www.alhaq.org/advocacy/16279.html

Traduzione di Carla Monti e Rosaria Brescia

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