di GIANLUCA DI FEO
Rep: Repubblica, 18 OTTOBRE 2019
Nel 1982 l’esercito israeliano irrompe in Libano per creare una fascia di sicurezza sul confine ed impedire gli attacchi terroristici: una situazione molto simile a quella che si sta verificando oggi in Siria. Finì con il massacro di migliaia di civili: allora erano palestinesi, ora rischiano di essere curdi
La storia si ripete quando ne ignoriamo la lezione:
chiudiamo gli occhi sul passato per voltare le spalle al futuro. Se non lo
facessimo, ci renderemmo conto che quello che sta accadendo nei territori curdi
della Siria somiglia troppo a qualcosa che non andrebbe dimenticato. Mai.
Il copione è identico, in maniera agghiacciante. Una nazione potente che invade
all’improvviso un altro Paese piegato dalla guerra civile, ma solo per colpire
una comunità precisa. Aerei che bombardano le città e carri armati che avanzano
inarrestabili. Poi la tregua. I combattenti sconfitti consegnano le armi
pesanti e vanno via. Con la garanzia americana che la popolazione sarà
protetta.
E’ quello che prevede l’accordo raggiunto tra Trump ed Erdogan per affidare ai
turchi la zona sul confine siriano e far ritirare i miliziani curdi dello Ypg.
Ed è quello che prevedeva l’intesa siglata tra Usa e Israele a Beirut nel
settembre 1982.
Forse adesso cominciate a ricordare. Forse adesso sentirete un brivido. Perché
la similitudine è paurosa, coincide persino nei dettagli e trasmette il senso
di una discesa verso il baratro. A cui la comunità internazionale assiste senza
muovere un dito.
L’avevano chiamata operazione “Pace in Galilea”, così come quella di oggi è
stata battezzata “Fonte di pace”. Il 6 giugno 1982, mentre si giocavano i
Mondiali di Spagna, l’esercito israeliano irrompe in Libano. Obiettivo
dichiarato: creare una fascia di sicurezza sul confine, per impedire gli
attacchi terroristici. Lo stesso che oggi viene ripetuto da Ankara: “Cacciare i
terroristi lontano dalla frontiera”. Allora erano palestinesi, ora curdi.
Nel 1982 ottocento tank israeliani, protetti dal fuoco di aerei, elicotteri e navi
arrivano in otto giorni a circondare Beirut. L’assedio dura due mesi. Poi
l’accordo. I guerriglieri dell’Olp lasceranno il Libano, sotto la protezione di
una forza internazionale a guida americana. Partono in più di 14 mila. I
filmati ingialliti mostrano Yasser Arafat che si imbarca, alzando un ramoscello
di ulivo come fosse un segno di vittoria.
L’inviato della Casa Bianca promette che i civili palestinesi non verranno
toccati. Lo ha fatto anche ieri; garantendo che dopo la ritirata dei
combattenti curdi quelle sul confine siriano saranno “zone sicure” sotto
“temporaneo” controllo turco; assicurando che non ci sarà la pulizia etnica.
Nel 1982 a Beirut dopo l’addio dell’ultimo guerrigliero palestinese si scatena
il caos. Le brigate internazionali che dovevano vigilare sulla tregua, italiani
compresi, abbandonano il Libano in anticipo. Contrariamente ai patti, gli
israeliani penetrano in città e circondano i campi profughi libanesi.
Come oggi in Siria, non c’è solo l’esercito occupante con la sua organizzazione
gerarchica. Assieme ci sono i miliziani, assetati di vendetta. Le cronache di
questi giorni attribuiscono gli episodi più crudeli non alle truppe di Erdogan
ma alle bande dei loro fiancheggiatori siriani. Che dietro lo scudo dei carri
armati turchi mettono a segno i loro sanguinosi regolamenti di conti, uccidendo
donne e bambini.
Quello che è già accaduto. Nella sera del 16 settembre 1982 i falangisti
libanesi entrano nei campi palestinesi di Sabra e Chatila. All’esterno ci sono
i soldati israeliani, loro alleati. Dentro l’inferno. Per quasi due giorni
massacrano donne, vecchi e bambini: gli uomini sono andati via con Arafat. Due
giorni di stupri, omicidi, spari, torture, urla, esplosioni. L’esercito
occupante chiude gli occhi davanti alla carneficina. Una strage così feroce e
selvaggia che non si conosce neppure il numero dei morti: tra i 700 e i 3.500.
Non c’erano osservatori internazionali, non c’era nemmeno il tempo per i
funerali o per ricostruire le identità: sono stati gettati in fosse comuni.
Si possono dimenticare le foto di quei cumuli di cadaveri accatastati ovunque
tra le baracche dei rifugiati? Delle file di bimbi allineati che paiono
dormire, ma hanno il corpo crivellato di proiettili? Di quell’abisso di
violenza che resta un oltraggio a ogni idea di umanità?
In Siria domani potrebbe succedere la stessa cosa. Erdogan ha già dato prova di
non temere le proteste del resto del mondo. Gli Stati Uniti e l’Occidente hanno
dimostrato di non volere correre il minimo rischio per aiutare i curdi. E
neppure al regime siriano interessa la sorte di quella comunità, che lo ha
sempre avversato. Se i combattenti dello Ypg lasceranno le città, la
popolazione resterà in balia dei miliziani.
E noi? Stiamo ignorando quello che la Storia ci ha insegnato. Quello che forse
nel 1982 non poteva essere previsto ma che ora appare chiarissimo. Donald Trump
sicuramente non sa cosa siano state Sabra e Chatila. Ma noi lo sappiamo.
Condivido pienamente l’analisi di De Feo. Ricordiamo gli amari commenti del Presidente Pertini e le giuste accuse al generale Sharon.