Quando gli ebrei elogiavano Mussolini e appoggiavano i nazisti: i primi fascisti di Israele.

Ago 1, 2019 | Riflessioni

danilfineman, 18 luglio 2019  

“Il fascismo non è proprio un prodotto per l’esportazione.” Benito Mussolini, 1925.

Un mix di repulsione e di insolito fascino fu la reazione di molti allo spot pubblicitario conclusivo della campagna elettorale, nel quale la ministra israeliana della giustizia presentava un finto flacone di profumo che aveva un’etichetta molto ideologica [sull’etichetta c’era scritto: Fascismo, NdT]. Era un concetto elegante, tutto sommato, e il messaggio era chiaro: quello che i suoi avversari etichettavano come “fascismo” aveva invece secondo lei il profumo di  una corretta amministrazione e di una forte autorità. Lo spot, come sappiamo, non ha salvato la campagna di marketing di Ayelet Shaked: il partito da lei magnificato, Habayit Hayehudi, non ha superato la soglia elettorale lo scorso mese di aprile. Tuttavia, la pubblicità ha sollevato varie domande di interesse sia storico che contemporaneo: qual è il “profumo” del fascismo? Può davvero essere “annusato” in qualche modo? C’è mai stato il fascismo in Israele, e se sì, è di nuovo attivo?

Tra le varie sinistre comuniste, c’è la tendenza frequente a vedere il fascismo in ogni manifestazione di nazionalismo, o almeno a vedere il fascismo come un tipo estremo di capitalismo avanzato. Nei circoli di destra, invece, il “fascismo” è una maledizione da evitare, una sorta di sospetto persistente che deve essere respinto, come avviene ad esempio nel tanto discusso spot del profumo.

Ma cos’è il fascismo? Che cosa gli dà unità oltre alle varie correnti politiche di destra che contiene? Nel 2004, Robert Paxton, nel suo e-book “L’anatomia del fascismo” (notizia: l’autore ha tradotto questo e-book in ebraico) ha elencato sette caratteristiche che collettivamente potrebbero forse delineare il carattere del fascismo come ideologia e come movimento politico. Sono: la certezza della supremazia del gruppo – a livello nazionale ed etnico – su ciascun diritto individuale e la subordinazione dell’individuo al gruppo; la percezione che il gruppo, nella ricerca del suo cammino, è fragile, ragione per cui è giustificata ogni azione intrapresa contro i suoi nemici (domestici o esterni, reali o immaginari); la preoccupazione che il gruppo riceva un danno dalle tendenze liberali o dalle influenze esterne “d’oltremare”; la necessità di una più stretta integrazione di una popolazione nazionale “pura”, sia mediante insediamenti forzati sia attraverso la violenza; l’insistenza sul diritto del gruppo di dominare gli altri senza alcuna limitazione – un diritto acquisito dal gruppo in virtù della sua eccezionalità o capacità; la possibilità che avvenga un disastro estremo, non suscettibile di una risposta convenzionale; il desiderio che l’autorità sia incarnata da un capo solo e solitario, e che l’obbedienza al capo sia basata in gran parte sulla convinzione che egli possiede intuizioni o capacità soprannaturali.

Un’altra caratteristica che alcuni potrebbero aggiungere è la feroce opposizione al socialismo in tutte le sue forme – un attributo che è stato particolarmente evidente nell’applicazione delle energiche azioni fasciste nella seconda metà del 20° secolo, anche se questa caratteristica non rientra nella loro ideologia dichiarata.

I fenomeni più comunemente riconosciuti come fascisti sono legati ai regimi che furono guidati da Benito Mussolini e Adolf Hitler: lo squadrismo (bande in Italia) o truppe d’assalto naziste che si scatenavano in forma di camicie nere o marroni, i processi di massa, la subordinazione di tutti i media al regime, l’efficiente eliminazione dell’apparato legislativo, la riorganizzazione in apparente “concordia” di tutto il sistema economico, la persecuzione di nemici domestici reali o immaginari, i campi di detenzione, le esecuzioni di massa, la mobilitazione di tutta la nazione e, infine, una guerra esterna che si traduce in distruzione totale – come nel caso di Italia e Germania.  

Benito Mussolini (secondo da sinistra) e vari leader fascisti, alla marcia su Roma, 28 ottobre 1922, che portò alla loro incruenta conquista del potere. Roger-Viollet / © LAPI / AFP  

Certo, il movimento fascista di Mussolini ed il movimento nazional-socialista di Hitler sono state le sole due organizzazioni fasciste che, ciascuna per la sua parte, sono riuscite a consolidarsi, raggiungendo un grande pubblico di sostenitori e perseguendo una politica che, sfruttando il sostegno popolare, avrebbe formato dei regimi del tutto nuovi ed avrebbe infine portato ad una terribile guerra nelle principali sedi internazionali, le cui istituzioni avevano minato e distrutto dall’interno. (L’Italia e la Germania sono stati i soli due paesi nei quali questi regimi si sono sostenuti in modo indipendente: i regimi fantoccio istituiti dalle loro forze di occupazione in Europa sono sopravvissuti solo perché sostenuti delle baionette degli italiani e dalle forze armate tedesche, e sono crollati istantaneamente alla loro scomparsa.)

Tuttavia, nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale, molte diverse formazioni e regimi (soprattutto in Europa, ma in modo altrettanto efficace anche altrove) erano stati creati ed avevano operato basandosi sul modello fascista: questi gruppi hanno cercato di rispondere a simili orientamenti dell’elettorato ed hanno usato modi analoghi per la loro propaganda. I Rexists in Belgio sotto Leon Degrelle, il raggruppamento nazionale di Vidkun Quisling in Norvegia, la Croce di Ferro ungherese, la Legione dell’Arcangelo Michele di Corneliu Codreanu in Romania, la Falange di José Antonio Primo de Rivera in Spagna, la British Union of Fascists fondata da Oswald Mosley, e il raggruppamento nazional-socialista siriano avviato da Antoun Saadeh in Libano: questi sono alcuni esempi di movimenti che non solo hanno operato nel solco e con le strategie di Mussolini e Hitler, ma hanno anche cercato di instaurare regimi simili nei loro paesi.

Ciascuno dei movimenti citati sopra aveva caratteri distintivi e ciascuno metteva in pratica una tattica politica leggermente diversa, a seconda dell’atmosfera politica locale, delle istituzioni politiche del paese e dei codici sociali all’interno dei quali agiva; nessuno di loro, tuttavia, ebbe il successo che avrebbero avuto le loro controparti in Italia e Germania. Ciò nonostante, tutti hanno condiviso le caratteristiche di ciò che gli studiosi del periodo chiamano “fascismo generalizzato”. In realtà, tra il 1920 e il 1930, il fascismo è stato un fenomeno politico che è sorto ed ha operato praticamente in ogni società avanzata di massa che fosse colpita nel corso di quegli anni da una profonda crisi.

E che cosa è successo in Palestina?

A confronto con il prolungato orrore causato dall’ingresso dell’occidente nella Prima Guerra Mondiale, o a confronto con i campi di battaglia grondanti del sangue di moltitudini di individui nell’Europa orientale durante la stessa guerra, ed ancora a confronto con gli sconvolgimenti conseguenti alla nascita dell’Unione Sovietica, i paesi agli estremi confini dell’impero Ottomano erano rimasti relativamente tranquilli. Ciò nonostante, l’angoscia derivante dalla Prima Guerra Mondiale – insieme con la dissoluzione del precedente ordinamento politico ed i cambiamenti finanziari e sociali che si sono verificati – non ha risparmiato completamente la Palestina di quel periodo. Si sono avuti episodi di mobilitazione di massa, di confisca dei beni e di esilio di intere popolazioni, privazioni e carestie, con l’aggiunta di assassinii mirati ed azioni criminali, che sono culminati nel crollo completo di un ordinamento politico vecchio di generazioni, che è stato soppiantato da un’amministrazione britannica imperiale nuova di zecca che, pur conservando alcune caratteristiche dell’ordinamento precedente, ha anche accelerato i processi di modernizzazione che hanno interessato la società, il sistema economico e la politica.

All’evoluzione autoctona della Palestina si erano sovrapposte ondate di immigrazione, con immigrati dall’Europa che si inserirono all’interno dello Yishuv, la popolazione ebraica pre-1948 della Palestina. Come ogni comunità migrante, questi Europei arrivarono qui equipaggiati del bagaglio culturale e della formazione politica che erano prevalenti nei loro paesi di origine. Il sistema di comunicazione, che fu migliorato e reso più rapido, la relativa libertà di movimento tra le due aree – tutto ciò aveva permesso e persino ispirato una circolazione di idee tra il Medio Oriente e le coste settentrionali del Mediterraneo. Inoltre, un numero non trascurabile di migranti europei che erano arrivati in Palestina dal centro e dall’est del continente negli anni 1920 erano stati “laureati” dalla Prima Guerra Mondiale e dagli sconvolgimenti seguenti. Che fossero ex-combattenti degli eserciti tedesco, austro-ungarico o russo, o che fossero i fratelli più giovani di persone che avevano servito in quegli eserciti, così come i loro coetanei rimasti in Europa, facevano anch’essi parte dell’epoca che fu sfregiata dalla Grande Guerra.

La giustapposizione di un sistema economico vacillante e di una società di massa in possesso di una organizzazione moderna basata su partiti politici (come era il caso del Yishuv), due comunità nazionali in competizione l’una con l’altra, la delusione per quella che sembrava essere l’inefficacia delle istituzioni politiche dominanti, e la percezione della limitata capacità delle autorità britanniche di garantire la sicurezza e di assistere la popolazione scatenò la ricerca di nuove soluzioni politiche. Come in Europa, alcuni si orientarono verso il fascismo; un gruppo fascista prese saldamente forma all’interno del gruppo sionista revisionista.

L’inizio fu modesto. Come molti altri nella metà degli anni 1920, Itamar Ben-Avi, il figlio di Eliezer Ben Yehuda – il rinnovatore della lingua ebraica ed editore del giornale Doar Hayom – espresse simpatia e anche ammirazione per Mussolini e le sue azioni. Contrariamente a diversi giornalisti del tempo, egli desiderava un capo potente, assertivo all’interno del Yishuv, e lo individuò nella persona di Ze’ev Jabotinsky. Un altro individuo simile era Abba Ahimeir, un commentatore politico che iniziò la sua carriera politica e la professione giornalistica nei circoli socialisti e nel giornale del gruppo di sinistra Hapoel Hatza’ir, e che sul finire degli anni ‘20 scriveva un articolo quotidiano per Doar Hayom dal titolo “Dal taccuino di un fascista”. Insieme ad un deluso dei circoli socialisti, l’autore e poeta di nome Uri Zvi Greenberg, e al medico e saggista Joshua Heschel Yevin, Ahimeir organizzò un gruppo di giovani noti come Brit Habiryonim (l’alleanza degli zeloti), la cui intenzione era convincere la gioventù della nazione a credere nel nazionalismo.

Itamar Ben-Avi. The Zionist Archives

Le idee sostenute dal terzetto, capi della fazione massimalista all’interno del movimento revisionista, vennero rese pubbliche dalla stampa. Dopo un periodo di pausa alla fine degli anni ‘20, presero il controllo e diventarono editori di successo del Doar Hayom e nel 1930 fondarono Ha’am (che nei 12 mesi successivi diventò Hazit Ha’am “l’ingresso degli individui”). La visione del mondo di questo triumvirato comprendeva sempre la sensazione di camminare sull’orlo della catastrofe e la preoccupazione di un rischio continuo per lo Yishuv e l’impresa sionista. Essi consideravano gli ebrei come un tutt’uno e i sionisti in particolare come vittime storiche in Europa ed anche all’interno della Terra di Israele. Dalle loro idee, è nata l’espressione “i campi di battaglia colpiti dal silenzio” della Prima Guerra Mondiale, nelle parole di Yevin. Di conseguenza, essi avevano solo disprezzo per i liberali, i moderati e chi nutriva il desiderio di raggiungere compromessi con gli arabi o con gli inglesi.

La loro esaltazione della violenza politica – in primo luogo contro i socialisti e i comunisti, ma anche contro i liberali e tutti gli avversari – si armonizzava perfettamente con la loro predilezione per i circoli di estrema destra in Europa. Non tennero nascosta la loro aspirazione per un unico, adorato capo: in un incontro del movimento revisionista a Vienna nell’estate del 1932, un altro membro del gruppo, Wolfgang von Weisl, propose che Jabotinsky fosse dichiarato il capo supremo del movimento e fosse investito di autorità illimitata (Jabotinsky respinse la proposta).

Brit Habiryonim venne sciolto alla fine del 1933, quando Ahimeir e due altri attivisti revisionisti (Zvi Rosenblatt e Avraham Stavsky) furono accusati dell’assassinio di Chaim Arlosoroff, un capo sionista del partito laburista, nel giugno di quell’anno. Ahimeir fu assolto dall’imputazione di omicidio, tuttavia fu condannato per essere stato a capo di un gruppo illegale e condannato a 2 anni di prigione. Inoltre, Doar Hayom fu chiuso e cessò le pubblicazioni.

Legami con le forze dell’Asse

Il movimento Brit Habiryonim fu attivo per breve tempo, ma il suo parziale sostegno, nella primavera del 1933, alle politiche di Hitler in Germania (espresso sul giornale Hazit Ha’am, cosa che fece infuriare Jabotinsky) ebbe una vita ancora più breve; due membri del movimento inscenarono addirittura una protesta contro le autorità naziste e rubarono la bandiera con la svastica dal consolato tedesco a Tel Aviv. Invece, i legami del movimento Revisionista con il regime di Mussolini durarono almeno fino al 1938, quando l’Italia varò leggi razziali simili a quelle naziste. Oltre ai giovani del movimento Revisionista che operarono a Civitavecchia come cadetti dell’Accademia Navale dal 1935 al 1938 con il benestare del regime fascista italiano, anche altri giovani Revisionisti erano iscritti come studenti nelle università italiane.

Uri Zvi Greenberg. Deluso dai gruppi socialisti. Zoltan Kluger/GPO

Uno di questi studenti era Zvi Kolitz che, tornato in Palestina dopo i suoi studi, pubblicò un libro intitolato “Mussolini: la sua persona e la sua dottrina.” L’elogiativa biografia del Duce includeva anche una scelta delle sue lettere. (Il soggiorno di Kolitz in Italia e l’affetto per il suo leader non gli impedirono poi di arruolarsi nell’esercito britannico.)

Un altro laureato dell’Università di Firenze nello stesso decennio fu Avraham Stern. Dopo il suo ritorno in Palestina, salì ai vertici dello Irgun Tzvai Leumi (il gruppo militare nazionale dei Revisionisti), ma dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lasciò l’Irgun e fondò un gruppo separato conosciuto come Lehi (un acronimo di “Combattenti per la Libertà di Israele”), noto altresì come la Banda Stern.

Dal punto di vista ideologico, Stern immaginava nei suoi scritti e nel suo manifesto “Idee di Rinascita”, un risorgimento nazionale volutamente aderente alle mode fasciste dell’epoca (anche se in un modello decisamente romanticizzato). Dal punto di vista pratico, Stern cercò di collaborare con le forze dell’Asse nella sua battaglia contro il Mandato Britannico. Nel gennaio 1941, dopo un fallito tentativo di prendere contatto con la rappresentanza italiana in Palestina, Stern mandò uno dei suoi uomini più qualificati presso il consulente strategico tedesco a Beirut. Anche questo tentativo non dette alcun frutto (soprattutto a causa di un calcolo costi-benefici fatto al Ministero tedesco per gli affari esteri), ma ebbe l’effetto immediato di spingere i britannici a intensificare la loro caccia contro Stern e i membri del suo gruppo.

Ci si domanda se i legami tra il movimento revisionista e i regimi fascisti fossero basati davvero su una profonda e genuina affinità, oppure soltanto sull’obiettivo condiviso di opporsi alla potenza britannica nel Mediterraneo. Nel caso di Jabotinsky, che non era un socialista ma apprezzava il significato e l’utilità dei valori liberal-democratici, si può pensare che il suo sia stato un legame temporaneo basato su obiettivi concreti. Tuttavia, a giudicare dai discorsi, articoli, canzoni e mozioni dei membri della sua cerchia (e poi dello stesso Irgun) che propendevano per una strategia massimalista in Palestina, questi personaggi certamente vedevano nel fascismo una strada degna di essere seguita e persino dotata di un certo fascino.

Il fascismo ebraico di quel periodo si estinse nel 1942, tra Florentin ed El-Alamein. Nel febbraio di quell’anno, in una piccola casa del sobborgo di Florentin a sud di Tel Aviv, Stern fu catturato e ucciso sul posto dalla polizia britannica. Nel novembre precedente, le forze dell’Asse erano state sconfitte in Nord Africa. Anche se questo non fu l’inizio della fine, come diceva Winston Churchill, fu certamente la fine dell’inizio: l’ascesa del fascismo sul palcoscenico mondiale era arginata, la sua immagine e la sua aura erano fortemente offuscate. Per molti anni dopo il 1945, il fascismo è stato considerato un obbrobrio, inconciliabile con una società di alto livello, e certamente non un profumo affascinante, ma un ripugnante fetore da eliminare in ogni modo.

Residui di fascismo

A distanza di ottanta anni, cosa è rimasto del fascismo ebraico nella politica attuale di Israele? Alcune delle principali caratteristiche del fascismo ricordate all’inizio sono chiaramente individuabili nella retorica della destra di oggi. Molti israeliani pensano che le necessità della nazione abbiano la supremazia su qualunque diritto delle persone e che i diritti individuali debbano essere subordinati alle necessità della nazione: ne è un esempio l’ossequio al totem del servizio militare, o il consenso al fatto che sia l’istituzione rabbinica ad occuparsi di questioni matrimoniali, o il disprezzo verso coloro che decidono di emigrare. Inoltre, non è difficile accorgersi della irremovibile sensazione che “gli Ebrei” sono le vittime di molti carnefici, come si evince dall’uso strumentale del genocidio di migliaia e migliaia di persone in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, oppure dal paradigma dei “pochi contro molti” qui in Israele (riferito, ad esempio, alle guerre combattute negli anni e alle due intifade), per ricordare solo due delle più comuni scuse che si accampano per l’uso smisurato dell’esercito israeliano.

La preoccupazione che i “valori della nazione” possano essere erosi dalle parole d’ordine liberali o da influenze “d’oltremare” può essere parte integrante della strategia di molti israeliani, magari tramite i timori espressi nei confronti di gruppi come il New Israel Fund, o nei confronti di “governi stranieri” e “organizzazioni mondiali”, oppure tramite iniziative volte a “rafforzare l’identità ebraica” di tutti gli abitanti.

L’idea che sta dietro al desiderio di creare comunità “più pure” è nota da tempo: dai teppisti dell’organizzazione anti-assimilazionista Lehava, all’aperta ostilità verso i richiedenti asilo, al marchiare i “sinistrorsi” non come rivali politici ma come una componente aliena da estirpare. E alla fine, la convinzione che il Popolo Scelto debba giustamente comandare perennemente sugli altri è stata evidente giorno dopo giorno per più di mezzo secolo nei rapporti tra l’istituzione israeliana West Financial e la Striscia di Gaza.

Detto questo, è vero che alcune delle caratteristiche essenziali del fascismo tradizionale non si ritrovano nella vita politica israeliana di oggi. C’è innanzitutto la diffusa sensazione di un incombente disastro cruciale, decisivo ed esistenziale che non può essere affrontato con le risposte convenzionali. È del tutto possibile che il continuo senso del disastro in cui la coscienza politica israeliana è stata immersa per tanti anni impedisca la realizzazione di un singolo, acuto e immediato disastro. Il continuo stato di emergenza (nelle istituzioni e nella coscienza collettiva) attenua il morso dell’urgenza: quando i razzi si abbattono ripetutamente su parti della nazione, diventano loro stessi una routine, anche se è una routine di morte. Allo stesso tempo, anche l’establishment politico e istituzionale di Israele è andato incontro a una lenta erosione. Da una parte, in mancanza di una struttura, è impossibile disfarsi dell’establishment e dichiarare lo stato di emergenza (che, come abbiamo visto, è già la norma), col solo risultato di produrre continui cambiamenti; tuttavia diverse realtà (congregazioni religiose, associazioni, corporazioni private, corti rabbiniche) si stanno già sostituendo allo stato in molti ambiti. Queste possibilità forniscono una varietà di scelte a diversi livelli per coagulare le esigenze politiche e sociali delle diverse comunità.

Un’altra caratteristica del fascismo che non è presente è la richiesta di autorità per un solo capo e il desiderio di inchinarsi di fronte a lui e alle sue virtù. Tanto per cominciare, uno dei molti tratti caratteristici della società israeliana –di cui dobbiamo forse ringraziare la tradizione rabbinica e quella della sharia– è la diffidenza verso l’autorità e la non-obbedienza a un singolo decisore. In secondo luogo, mentre il “capo forte” è circondato da sospetti e manipola con promesse sostenitori e avversari, mostra subito indicazioni di autoritarismo e populismo e appare all’esterno come qualcuno che sta cercando di evitare un processo, fino al punto di giustificare la corruzione e corrompere gli altri, tutt’altra cosa è qualcuno che cerca di costruire un vasto movimento di massa.

Il precedente ministro dell’istruzione [Naftali Bennett] che voleva diventare ministro della difesa è stato escluso (almeno per il momento) dalla Knesset dopo aver registrato solo un parziale successo tra i cittadini, che evidentemente non sono rimasti ben impressionati dal profumo che lui e la sua collega [Ayelet Shaked] avevano decantato nello spot pubblicitario. E tra i vari generali che cercano di tornare al potere in una difficile campagna elettorale centrista, è difficile individuare un leader capace di produrre, solo grazie alla sua statura, un movimento di persone disposte a sacrificarsi per lui. Un piccolo gruppo con le caratteristiche proprie dei nazisti aveva in realtà ottenuto ottime previsioni di successo nelle elezioni dello scorso aprile, ma i Kahanisti [seguaci del rabbino estremista Meir Kahane, NdT] hanno un piccolo problema: il loro capo è morto da più di un quarto di secolo.

Il rischio delle previsioni

Come si sa, è difficile fare previsioni, specialmente riguardo al futuro. In Israele potrebbe essere anche pericoloso. Nel 1991, quando apparve la raccolta di racconti di Uzi Weill “Il giorno che uccisero il primo ministro”, l’idea che qualcosa del genere potesse davvero accadere sembrava nel migliore dei casi uno scherzo o nel peggiore una satira inverosimile. Quattro anni dopo, quella previsione divenne realtà. Tra il Mediterraneo e il fiume Giordano, quello che al momento sembra “inconcepibile”, col passare del tempo succede davvero.

In una simile scala dei tempi, non bisogna vedere il fascismo come un rischio monolitico e senza storia: come in ogni altra parte del mondo, anche qui è un fenomeno in continuo movimento. Le persone cambiano e anche le loro idee cambiano. Wolfgang von Weisl, per esempio, che è noto per aver proposto che a Jabotinsky fossero dati illimitati poteri dittatoriali, iniziò la sua attività politica negli anni 1920 con il gruppo sionista-religioso Mizrachi e dopo la seconda guerra mondiale, quando Menachem Start prese le redini del suo gruppo in Israele, diminuì fortemente ogni attività politica. Ahimer finì per diventare uno dei molti capo-redattori dell’Enciclopedia Ebraica, Yevin finì per criticare il pensiero biblico e non laico, mentre Kolitz finì per diventare un produttore cinematografico in America.

D’altra parte, anche le iniziative fasciste, come tutte le iniziative politiche di successo, acquistano nuovi aderenti mentre ne perdono altri. Così, nel 1936, negli stessi mesi in cui Kolitz e Avraham Stern and andavano dalla Palestina in Italia per sperimentare in prima persona il fascismo e se ne innamoravano, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che era stato vicino al fascismo nei suoi anni giovanili a Milano mentre verso la metà degli anni 1930 era diventato un oppositore del fascismo ed era andato in esilio, venne a dirigere il concerto inaugurale dell’Orchestra Palestinese, che sarebbe poi diventata la Filarmonica di Israele.

Al momento attuale, il mondo si sta ancora dibattendo nella morsa di un disastro ambientale e finanziario senza precedenti, che può dar luogo a povertà su larga scala, disagi e miseria. Già adesso, nel mondo industrializzato migliaia e migliaia di individui che avevano sperato in un futuro migliore vedono svanire quelle speranze insieme alla scomparsa dell’abbondanza, della prosperità e dello “sviluppo” del mezzo secolo precedente, mentre si susseguono ondate di migrazioni in tutto il mondo e si approfondiscono le disuguaglianze finanziarie e il divario sociale.  Ci sono già masse di votanti delusi e di cittadini stanchi delle piattaforme politiche che vengono loro proposte. Questa delusione e questo risentimento nei confronti del sistema potrà alla fine incanalarsi verso un rinnovato fascismo? Un fascismo che non potrà essere controllato, anche se le sue caratteristiche potrebbero essere completamente diverse da quelle del fascismo precedente.

Anche in Israele, alcuni aspetti del fascismo tradizionale sono già presenti. La miscela di un disastro costituzionale, un rischio nazionale del tutto straordinario, una seria situazione finanziaria e la comparsa di un capo carismatico e incontrollabile potrebbero colmare la misura e sfociare in un periodo del tutto nuovo di fascismo in Israele. Non siamo ancora a questo punto, ma potremmo essere sulla strada che ci porta là.

Dan Tamir è l’autore di “Hebrew Fascism in Palestine, 1922-1942” (Palgrave Macmillan, 2018).

https://danilfineman.com/when-jews-praised-mussolini-and-supported-nazis-meet-israels-first-fascists-israel-news/

Traduzione di Maurizio Bellotto

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