Ora i Palestinesi di Hebron potrebbero rischiare un altro massacro.

Israele ha appena espulso gli unici osservatori internazionali che proteggevano i Palestinesi di Hebron dalla violenza di 800 superprotetti coloni di estrema destra, uno dei quali compì nel 1994 il massacro che portò all’istituzione della missione di controllo. Nessuno si aspettava che Trump protestasse, ma dov’è l’indignazione dell’Europa?

Muhammad Shehada

Haaretz, 7 febbraio 2019-02-07

Palestinesi che protestano contro la recente decisione del primo ministro Netanyahu di non rinnovare il mandato degli osservatori TIPH a Hebron, 30 gennaio 2019. AFP

La settimana scorsa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha improvvisamente messo fine al mandato della Presenza Internazionale Temporanea a Hebron (TIPH), violando gli Accordi Oslo II del 1995 e la risoluzione 904 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Quella missione, ora di fatto espulsa, era composta da osservatori civili di Svizzera, Svezia, Norvegia, Italia e Turchia ed era stata istituita in seguito al massacro del 1994 alla Tomba dei Patriarchi –in cui 29 Palestinesi furono uccisi dal colono israeliano di estrema destra Baruch Goldstein– per cercare di garantire la sicurezza (e il senso di sicurezza) dei civili palestinesi di Hebron.

Le motivazioni del gesto anti-pace di Netanyahu sono state spiegate molto chiaramente: basta con il controllo sul comportamento di Israele in questa parte dei territori occupati o in qualunque altra parte. “Non permetteremo la presenza di una forza internazionale che opera contro di noi,” ha dichiarato Netanyahu.

Ma non dovete credere che la decisione di Natanyahu di espellere di fatto quelli che stavano sorvegliando sui diritti umani dei Palestinesi di Hebron sia stata motivata da una mancanza di recenti minacce alla vita e alla sicurezza dei Palestinesi.

La decisione è stata presa pochi giorni dopo che un agricoltore palestinese era stato ucciso e altri dieci feriti da un colono israeliano armato nel villaggio cisgiordano di Al-Mughayyir; dopo che il convoglio dell’ex primo ministro dell’Autorità Palestinese Rami Hamdallah era stato presa a sassate dai coloni e alcune guardie del corpo erano stati ferite; e dopo che 5 soldati israeliani erano stati incriminati per aver gravemente malmenato e tormentato un uomo bendato di fronte al figlio ammanettato. E l’elenco potrebbe continuare.

I funerali di Baruch Goldstein, il medico ebreo americano che aveva massacrato 29 Palestinesi che pregavano alla Tomba dei Patriarchi di Hebron, 27 febbraio 1994. Eyal Warsharsky / AP

È proprio in periodi di tensione come questo che le missioni di pace in Cisgiordania sono più necessarie. Ma la netta decisione di Netanyahu di eliminare l’unica fragile barriera alle infinite tensioni tra gli 800 superprotetti coloni di estrema destra e i residenti palestinesi di Hebron, vuol dire che ormai a lui non importa un accidente del processo di pace o della costruzione della fiducia e non si preoccupa più di non provocare la comunità internazionale.

Dopo tutto, i coloni non hanno bisogno della protezione internazionale: ci pensa l’esercito israeliano. I civili palestinesi, invece, sono indifesi.

La comunità internazionale, dal canto suo, a prestato poca o nessuna attenzione ai recenti avvenimenti in Cisgiordania, non ultima la soppressione degli osservatori di Hebron.

La risposta dell’UE –un attore centrale nel processo di pace– è stata tutt’altro che combattiva. L’UE ha dichiarato che l’espulsione “rischia di peggiorare ulteriormente la fragile situazione sul campo,” e ha sottolineato “gli obblighi che la legge internazionale impone ad Israele di proteggere il popolo palestinese ad Hebron.”

I vari stati europei che partecipavano al TIPH hanno rilasciato una blanda dichiarazione in cui esprimono “dispiacere” per la decisione di Netanyahu, ma non la contestano, e aggiungono di “sperare” che qualche governo israeliano, chissà quando nel futuro, voglia rinnovare il mandato per il TIPH. L’unico paese che ha usato l’espressione “condanna fortemente” è stato, forse non a caso, la Turchia.

La non sorprendente posizione dell’UE testimonia purtroppo la perdurante paralisi dell’Unione quando si tratta del conflitto israelo-palestinese.

In rapporti confidenziali e a porte chiuse, i funzionari UE esprimono spesso preoccupazione per la “sistematica discriminazione legale” verso i Palestinesi sotto occupazione, per le sofferenze subite dai Palestinesi e per i pericoli ancora in agguato che si affacciano uno dopo l’altro nei territori occupati.

Ma quelli stessi funzionari si guardano bene dall’agire secondo le loro convinzioni. Come disse una volta un ambasciatore europeo all’ONU a un mio amico: “La mia simpatia va ai Palestinesi, ma il mio sostegno va a Israele.”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Federica Mogherini, rappresentante per la politica estera dell’UE alla Commissione Europea di Bruxelles, 11 dicembre 2017. Bloomberg

In pubblico, è tutta un’altra storia. La maggior parte dei funzionari europei è troppo distaccata per rendersi conto di quale sia la realtà sul terreno o per opporsi a chi mette ostacoli alla pace. Questo autodistruttivo silenzio è dovuto spesso a carrierismo personale e ad un malinteso senso di neutralità che allontana ulteriormente ogni prospettiva di pace.

Senza alcuna concreta strategia per la pace, senza una chiara prospettiva e senza una forte posizione sul conflitto, la politica dell’UE, in pratica, si riduce alla rassegnazione di fronte all’incontrollato esercizio del potere sui territori palestinesi da parte di Israele. L’unico suo compito consiste nel far di tutto per prevenire un’esplosione della rivolta palestinese, addormentando pesantemente i Palestinesi in una dipendenza passiva dagli aiuti.

Molto educatamente, un importante funzionario UE mi spiegò una volta: “La nostra politica non è quella di sostenere la soluzione a due stati, ma piuttosto di evitarne la scomparsa.” E questo, secondo l’UE, si ottiene con progetti di aiuto economico, ad esempio infrastrutture nelle zone palestinesi in difficoltà, soprattutto nell’area C, a Gerusalemme Est e a Gaza.

Tuttavia, nell’imminenza della campagna elettorale per la Knesset, con l’estrema destra israeliana che si contende il primato di chi respinge più decisamente la formazione di uno stato palestinese autonomo, e tutta una corsa elettorale tesa a tormentare, attaccare e aizzare contro i Palestinesi, la passività dell’UE –mentre prosperano i suoi scambi culturali ed economici con Israele– la rende complice dell’interminabile sofferenza palestinese.

Palestinesi di fronte alla sede del TIPH a Hebron, 1 febbraio 2019. Majdi Mohammed,AP

Alla domanda se l’UE avrebbe mai considerato soluzioni alternative per il conflitto, come la soluzione a uno stato –visto che la possibilità di realizzare un accordo per due stati sta diventando sempre meno realistica– un altro importante funzionario UE mi ha detto: “Solo se un governo israeliano accettasse la soluzione a uno stato, l’UE adotterebbe e sosterrebbe questa opzione.”

Ma fino a che la destra israeliana al governo sceglie di non risolvere il conflitto e continua a rendere impossibile uno stato palestinese autonomo, l’UE cercherà solo, in pratica, di contenere e sopprimere la rabbia in ciò che resta di una futura entità palestinese.

Sarebbe ora che l’UE cambiasse la sua strategia riguardo ai Palestinesi, adottando un comportamento più accettabile dal punto di vista morale e legale. E se una politica di intervento è al di là delle capacità dell’UE, il minimo che essa può offrire agli isolati, impoveriti e sempre più disperati Palestinesi è il costante sostegno, la solidarietà e il riconoscimento della loro tragica situazione.

Se l’UE continua nel suo abituale silenzio, è possibile che i Palestinesi debbano presto assistere all’annessione ufficiale della Cisgiordania, un’azione sostenuta recentemente dallo stesso presidente della Knesset, Yuli Edelstein.

E Gaza sotto blocco? C’è meno appetito in Israele per sua annessione, ma questa è una ben piccola clemenza. Gaza è già molto avanti sulla strada che la porterà ad essere un territorio invivibile.

Muhammad Shehada è uno scrittore e un attivista della Striscia di Gaza. Studia presso il dipartimento di Development Studies all’Università di Lund, Svezia. È stato portavoce dell’ufficio di Gaza dell’Euro-Med Monitor for Human Rights. Twitter: @muhammadshehad2

https://www.haaretz.com/middle-east-news/.premium-has-europe-stopped-caring-if-hebron-s-palestinians-risk-being-massacred-by-settlers-1.6913722

Traduzione di Donato Cioli

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