Amnesty International accusa TripAdvisor ed Expedia: fanno profitti con i crimini di guerra israeliani negli insediamenti della Cisgiordania.

La nuova campagna di Amnesty ‘Destinazione: Occupazione’ prende di mira le compagnie di viaggi e prenotazioni on-line perché sostiene che il loro modo di operare viola i diritti umani dei Palestinesi.

di Judy Maltz

Haaretz, 30 gennaio 2019

Turisti che ammirano le antiche rovine di Susya in Cisgiordania. © Amnesty International

Il sito archeologico situato ad ovest dell’insediamento israeliano di Shiloh attrae circa 60.000 visitatori all’anno, la maggior parte dei quali è rappresentata da Cristiani evangelici che come è noto attribuiscono grande importanza ai luoghi menzionati nella Bibbia. Nel Vecchio Testamento Shiloh corrisponde al luogo in cui si trovavano il Tabernacolo e l’Arca dell’Alleanza, il luogo di culto più importante per gli antichi Israeliti prima della costruzione del Primo Tempio a Gerusalemme.

Il sito comprende alcuni scavi, un bookshop in cui è possibile acquistare olio d’oliva e vino di produzione locale, e una gigantesca torre belvedere che ospita una sala video e un piccolo museo.

I visitatori che si affidano alle spiegazioni delle guide ufficiali lasciano senz’altro il sito con un forte coinvolgimento emotivo per il racconto degli Ebrei che sono tornati in questi luoghi a riprendersi un lembo di terra tanto carico di significato storico e religioso.

Probabilmente questo non avverrebbe se gli stessi turisti si sentissero raccontare la parte meno piacevole della storia: quella dei Palestinesi che sono stati cacciati dalle loro terre per trasformare questo luogo in una attrazione turistica.

Di recente, un gruppo di giornalisti locali e stranieri in visita a Tel Shiloh ha avuto la rara opportunità di assistere ad una narrazione alternativa. Infatti il sito è stato presentato, invece che dalle guide ufficiali dell’insediamento, dai Palestinesi del luogo e dai rappresentanti di organizzazioni per diritti umani.

Turisti in visita alle antiche rovine di Susya in Cisgiordania. © Amnesty International

Per esempio, hanno avuto modo di apprendere che l’insediamento di Shiloh, creato nel 1978, fu successivamente ampliato fino a inglobare terre coltivate dei Palestinesi, che contenevano al loro interno le rovine –non proprio un fatto di cui i coloni di qui possano andare fieri.

Hanno poi imparato come da allora siano stati costituiti altri dieci insediamenti vicino a Shiloh e migliaia di ettari di terra palestinese siano stati confiscati al fine di costruirci sopra.

Basher Muammar, un abitante del vicino villaggio di Qaryut , ha raccontato loro come ai Palestinesi sia vietata la strada che passa vicino al sito archeologico e di conseguenza, per raggiungere questo luogo che dista un chilometro da casa loro, essi siano costretti ad una deviazione di 18 chilometri.

“Ormai siamo così isolati che molti lasciano il villaggio, molti vendono la casa e la loro terra e si trasferiscono a Ramallah,” dice Basher Muammar.

Il tour per la stampa è stato organizzato da Amnesty International in vista del lancio di una nuova campagna che si propone di indurre le compagnie di viaggi e prenotazioni on-line a non ospitare più nei loro siti web le destinazioni turistiche a conduzione israeliana nei territori occupati. (Questa campagna è il prosieguo di un’altra lanciata 18 mesi fa in occasione del cinquantenario dell’occupazione israeliana).

Cartelli segnaletici posti dai coloni a Hebron, Cisgiordania. © Amnesty International

Laith Abu Zeyad, rappresentante di una organizzazione locale per i diritti umani, ha spiegato al gruppo: “Inserendo offerte di hotel, bed-and-breakfast e attrazioni turistiche come questa nei loro siti web, queste compagnie si rendono di fatto complici delle violazioni dei diritti umani subite dai Palestinesi che vivono nei pressi di questi insediamenti.”

La campagna, che si chiama ‘Destinazione: Occupazione’ è rivolta alle maggiori compagnie internazionali di viaggi e prenotazioni: Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor. Lo scorso mese di novembre Airbnb aveva annunciato l’intenzione di rimuovere dal suo sito i circa 200 annunci di strutture negli insediamenti israeliani. Tuttavia, fino a questo momento, non ha ancora tradotto in atto questa sua intenzione.

Nell’ambito di questa campagna, mercoledì prossimo Amnesty International pubblicherà un rapporto con l’elenco dettagliato delle offerte negli insediamenti presenti nel sito di ciascuna delle quattro compagnie. L’inchiesta di Amnesty riporta anche esempi concreti dell’impatto negativo che le imprese turistiche gestite da Israele nei territori occupati producono nei villaggi circostanti, compresi quelli dell’area intorno a Shiloh.

Il rapporto rileva come Airbnb non abbia esteso il criterio annunciato a novembre anche a Gerusalemme Est, dove continua a pubblicizzare circa 100 strutture “nonostante anche questo sia territorio occupato.” Fino ad oggi, la compagnia non ha spiegato il motivo di questa eccezione.

Indicazione stradale di un villaggio turistico israeliano nel deserto in Cisgiordania. © Amnesty International

L’inchiesta riporta che Booking.com ha 45 offerte di hotel e case di proprietà israeliana. Expedia ne ha nove mentre TripAdvisor ha più di 70 offerte di diverse attrazioni turistiche (compreso il sito archeologico di Tel Shiloh), escursioni, ristoranti, caffè, hotel e case in affitto in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

“Tutte e quattro le compagnie dichiarano di operare ispirandosi a valori etici e al rispetto della legge,” sostiene il rapporto di Amnesty. “Tuttavia non sembra che questi principi siano presenti quando le compagnie propongono offerte turistiche nei territori occupati. Facendo affari con gli insediamenti israeliani le quattro compagnie di fatto contribuiscono allo sviluppo, al mantenimento e all’espansione di insediamenti illegali e ne traggono profitti, un comportamento che secondo il diritto internazionale equivale a un crimine di guerra.”

Il rapporto sottolinea inoltre che la promozione degli insediamenti illegali come mete turistiche “ha l’effetto di ‘normalizzare’ e legittimare presso l’opinione pubblica quella che per il diritto internazionale è una situazione illegale.”

Secondo il rapporto, le compagnie spesso non informano correttamente i turisti che si rivolgono ai loro siti, omettendo di specificare che alcune destinazioni sono al di là dei confini internazionalmente riconosciuti di Israele, e in alcuni casi definiscono queste destinazioni come situate in Israele.

Un’insegna in ebraico dà il benvenuto nell’insediamento israeliano di Nofei Prat in Cisgiordania. © Amnesty International

Il ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan ha dichiarato di aver chiesto al suo ministero di esaminare la possibilità di vietare l’ingresso e la permanenza in Israele del personale di Amnesty International, con la motivazione che l’organizzazione promuove campagne anti-semitiche. Erdan ha inoltre aggiunto di aver contattato nelle settimane scorse il ministro delle finanze, chiedendo che all’organizzazione vengano tolte le agevolazioni fiscali.

Evacuazioni forzate nelle aree turistiche

Negli ultimi anni, Israele ha destinato risorse considerevoli allo sviluppo e all’espansione del turismo negli insediamenti. Secondo il rapporto di Amnesty questi investimenti rispondono a precise ragioni “politiche e ideologiche.”

“I gruppi di coloni appoggiati dal governo israeliano servono ad enfatizzare il legame storico fra la popolazione ebraica e quel territorio,” prosegue il rapporto. “Israele ha costruito molti dei suoi insediamenti vicino a siti archeologici, per rendere esplicito il legame fra il moderno stato di Israele e la storia degli Ebrei. Contemporaneamente però, Israele sminuisce o ignora l’importanza dei periodi non-ebraici nei siti archeologici e nei luoghi storici.”

Il rapporto afferma che il governo israeliano designa come siti turistici alcune parti del territorio per giustificare l’espropriazione delle terre palestinesi. “Questa politica ha portato ad evacuazioni forzate e a limitazioni della possibilità di abitare e di coltivare la terra per i Palestinesi.”

Tutte e quattro le aziende turistiche hanno annunci per Kfar Adumim, un insediamento situato circa 10 chilometri a est di Gerusalemme. Trip Advisor ha annunci anche per un parco nazionale, un museo, un tour nel deserto e vicine attrazioni a tema biblico. “Lo sviluppo e l’espansione degli insediamenti e di queste attrazioni hanno avuto un impatto negativo su molti diritti umani della vicina comunità beduino-palestinese di Khan al-Ahmar, che ha perso l’accesso ai pascoli, è stata sotto pressione per anni perché lasciasse l’area, ed è minacciata dalla imminente demolizione delle proprie case,” dice il rapporto.

Opuscoli che promuovono visite a siti gestiti da Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.© Amnesty International

Kfar Adumim è uno dei cinque insediamenti citati nel rapporto, che traggono vantaggio dalle prenotazioni online e dalle agenzie di viaggi.

Susya è un altro. Airbnb pubblicizza una proprietà in questo insediamento, situato sulle colline a sud di Hebron, mentre Trip Advisor pubblicizza lì una cantina insieme a un sito archeologico e un’attrazione turistica. “Israele ha sfrattato con la forza i residenti palestinesi di Khirbet Susiya per fare posto all’attrazione turistica,” afferma il rapporto, “e la costruzione dell’insediamento ha comportato per loro la perdita dell’accesso ai terreni agricoli.”

A Hebron, una città palestinese con un piccolo insediamento ebraico nel mezzo, Trip Advisor pubblicizza sia una visita guidata che un museo gestiti da coloni, mentre Airbnb elenca una proprietà. “Gli insediamenti di Hebron sono la causa principale di una ampia gamma di violazioni dei diritti umani subiti dalla popolazione palestinese della città,” afferma il rapporto.

Il rapporto nota anche che Trip Advisor ha un ruolo di primo piano e opera come agenzia di prenotazioni per la Città di David, una popolare attrazione turistica a Silwan, un quartiere palestinese di Gerusalemme Est. L’area è gestita da Elad, un’organizzazione che si dedica alla “giudeizzazione” della parte araba della città.

“Centinaia di residenti palestinesi sono minacciati di sfratto, poiché Elad ha in programma un’espansione della Città di David per aggiungerci altre abitazioni per i coloni,” afferma il rapporto. “I diritti umani che sono stati violati includono il diritto ad un alloggio soddisfacente e ad un adeguato standard di vita.”

Un cartello di informazioni turistiche nel sito archeologico Città di David, nel quartiere palestinese di Silwan, Gerusalemme Est. © Amnesty International

Mentre il rapporto veniva scritto, Airbnb elencava ancora cinque proprietà a Shiloh e nei vicini insediamenti nella parte nord della Cisgiordania. Booking.com ne elencava una, e Trip Advisor pubblicizzava il sito archeologico ed anche guide turistiche specializzate nella regione.

“La creazione e lo sviluppo di questi insediamenti hanno avuto un impatto nocivo sui diritti umani dei residenti nei vicini villaggi palestinesi Qaryut e Jalud,” sostiene il rapporto. “Gli abitanti non hanno più accesso alle loro terre e alla strada principale che porta alle loro case. Spesso finiscono sotto attacco da parte dei coloni.” In effetti, nello scorso fine settimana, un Palestinese di 38 anni è stato ucciso in questa zona nel corso di scontri con i coloni.

Amnesty International sottolinea che ha dato a tutte e quattro le aziende la possibilità di rispondere ai suoi rilievi e ad una serie di domande. Due imprese, Airbnb e TripAdvisor, non hanno risposto per niente. Expedia ha affermato quanto segue nelle sue risposte, citate nel rapporto: “Il Gruppo Expedia è impegnato su scala globale a fornire la massima trasparenza ai propri clienti che viaggiano in territori contesi, e apprezza che Amnesty International segnali le proprie preoccupazioni su questa complessa questione. Nei Territori Palestinesi Occupati noi identifichiamo queste strutture come “insediamenti israeliani” situati in territorio palestinese. Al momento stiamo rivedendo la trasparenza dei nostri annunci non solo per i Territori Palestinesi Occupati, ma anche in altri territori contesi a livello globale, per assicurare che i viaggiatori abbiano le informazioni necessarie per prendere le decisioni sul viaggio che meglio si adattano alle loro esigenze.”

Booking.com ha affermato nella sua risposta che non ci sono “leggi o sanzioni chiaramente definite e applicabili” che impediscano di pubblicizzare strutture nelle colonie. “Tutto ciò che facciamo per quanto riguarda le informazioni che pubblichiamo su Booking.com è incentrato sui clienti e sempre in accordo con le leggi applicabili.”

“Le nostre indicazioni geografiche sulle strutture forniscono completa trasparenza ai clienti per quanto riguarda il luogo in cui una sistemazione è situata, e noi aggiorniamo e ottimizziamo di continuo queste informazioni. Segnalando le proprietà in oggetto come situate in “insediamenti israeliani”, forniamo trasparenza a chiunque cerchi (o non cerchi) alloggio in questi territori”, ha aggiunto Booking.com.

Amnesty International ha definito la dichiarazione di Airbnb –che non pubblicherà più annunci su proprietà che si trovano nelle colonie della Cisgiordania– come “una buona notizia, ma solo un primo passo”.

Yonatan Mizrahi, amministratore delegato di Emek Shaveh, di fronte a una mappa di informazioni turistiche in lingua ebraica a Tel Shiloh, Cisgiordania. Judy Maltz

“La compagnia deve tradurre in pratica questa dichiarazione, deve dimostrare il suo impegno in una revisione delle sue politiche verso il pubblico, e deve riparare al male che ha contribuito a fare. Airbnb deve anche estendere il suo impegno agli insediamenti israeliani di Gerusalemme Est”, ha affermato Amnesty International.

Orientare la narrativa

Emek Shaveh, un’organizzazione israeliana contro l’occupazione fondata e gestita da un gruppo di archeologi, in anni recenti è stata impegnata in una battaglia legale volta a bloccare i tentativi dei coloni di intraprendere un’ulteriore espansione di Tel Shiloh. Come risultato di due diverse petizioni che ha presentato (insieme ai Palestinesi locali e ad altre organizzazioni israeliane per i diritti umani), i piani per costruire nell’area un nuovo complesso turistico di 11.000 metri quadri sono stati temporaneamente congelati.

Accusando i coloni di usare Tel Shiloh per scopi politici, Yonatan Mizrahi, manager di Emek Shaveh, sostiene che lo sviluppo del piano avrebbe causato un grave danno a un sito archeologico unico. Quando abbiamo visitato Tel Shiloh c’erano dei turisti locali e stranieri che si stavano aggirando nella zona: un piccolo gruppo cristiano evangelico dalla Corea del Sud; alcune dozzine di ragazzi che partecipavano a un anno sabbatico pre-militare; e tre Ebrei ortodossi che parlavano inglese con accento americano.

Fuori dal negozio di souvenir, Mizrahi indica una grande mappa della regione di Binyamin dove è situata Shiloh. I luoghi turistici amministrati dai coloni dominano la mappa, così come i vicini insediamenti. Le città e i villaggi palestinesi appaiono come piccoli puntini sbiaditi, anche se la maggior parte di essi sono molto più grandi e popolosi delle colonie.

“Questa mappa dice molto su che tipo di storia viene raccontata qui,” nota sarcasticamente Mizrahi.

Questo articolo è stato corretto il 30 gennaio. L’originale affermava che i Palestinesi erano stati “sfrattati dalle loro case” per far posto al sito turistico di Tel Shiloh, anziché “dalle loro terre.”

Il centro visitatori di Tel Shiloh, in Cisgiordania. Judy Maltz

https://www.haaretz.com/israel-news/.premium-amnesty-int-l-slams-travel-firms-for-israeli-run-sites-in-west-bank-e-j-lem-1.6892152

Traduzione di Nara Ronchetti e Rossella Rossetto

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