L’OLP chiede alla UE: Siete d’accordo con l’elogio che il vostro rappresentante ha fatto dei precedenti di Israele riguardo a ‘diritti umani’ e ‘stato di diritto’? E condividete le sue simpatie per gli estremisti israeliani? Chi è il vero portavoce per la vostra politica su Israele e Palestina?
di Nabil Sha’ath
Haaretz, 31 maggio 2018
“Noi [UE e Israele] condividiamo gli stessi valori. Crediamo nella democrazia, nello stato di diritto e nei diritti umani. Condividiamo valori fondamentali.”
Questo è stato l’apice della recente intervista ad Haaretz del rappresentante dell’UE in Israele, Emanuele Giaufret.
Il messaggio consegnato dal diplomatico europeo di origine italiana è stato semplice e coerente: l’Europa sviluppa il suo rapporto con Israele senza badare alle sistematiche violazioni di Israele nei confronti del popolo palestinese. In altre parole: carta bianca per Israele.
Il diplomatico suggerisce un rapporto tra Europa e Israele che si basa sul delirio di “valori condivisi,” ma quando si tratta di Palestinesi parla solo di “realismo”: loro devono aspettare fino a quando ci sarà una soluzione a due stati. Nel frattempo, Israele continuerà con le sue violazioni e l’Europa continuerà a cooperare col governo israeliano.
Naturalmente, quando un Palestinese sente un rappresentante internazionale che elogia Israele per il suo sostegno a “diritti umani” e “stato di diritto” l’unica cosa che può pensare è che questo rappresentante preferisce ignorare la situazione del popolo palestinese. Detto in parole semplici: i diritti umani palestinesi non esistono. Le gravi violazioni israeliane del Diritto Umanitario Internazionale diventano, secondo il rappresentante UE, “limitate divergenze diplomatiche” che, come detto nell’intervista di Haaretz, “sono insignificanti se confrontate con la cooperazione che avviene lontano dai riflettori.”
Mi rendo conto che le opinioni espresse dal signor Giaufet non rappresentano quelle di tutti i paesi o di tutti i leader europei. Ho incontrato in Palestina diplomatici europei responsabili, che hanno fatto quel che potevano per bilanciare il loro rapporto con Israele rispetto ai reali comportamenti israeliani sul terreno. Chiunque legga il rapporto annuale su Gerusalemme dei Capi Missione, un documento interno europeo, si rende conto che stanno avvenendo gravi violazioni israeliane del Diritto Umanitario Internazionale. Ma Bruxelles ha sempre ignorato le raccomandazioni di questo rapporto e persone come Giaufret si premurano di dire a Israele che non ci saranno mai reazioni.
L’intervista online col rappresentante UE mostra immagini riprese dai social media in cui il signor Giaufret ringrazia e valuta con orgoglio i suoi incontri con la crème de la crème degli estremisti israeliani: persone che hanno sollecitato la pulizia etnica dei Palestinesi, hanno diffuso appelli per il genocidio di donne palestinesi, per l’annessione dei territori occupati, per la modifica dello status quo nell’area della moschea di Al Aqsa. Inutile dire che ci sono anche i coloni in questo scelto gruppo.
Sull’altro versante, l’Unione Europea e i suoi stati membri mantengono una linea di stretta collaborazione con il popolo sotto occupazione, i Palestinesi. I loro rapporti col governo palestinese si basano sulla soluzione a due stati e sulla loro adesione alla Dichiarazione del Quartetto.
Ma quella dichiarazione prevede anche la totale cessazione delle attività israeliane di insediamento, l’eliminazione dei checkpoint e la riapertura delle istituzioni palestinesi nella Gerusalemme Est occupata. Nessuna di queste condizioni compare come un prerequisito per i rapporti EU-Israele, secondo il quadro politico sostenuto dal signor Giaufret. Le violazioni israeliane di questi principi, compresa la legge internazionale, diventano “limitate divergenze diplomatiche.”
Mettiamo in chiaro alcuni fatti: la soluzione a due stati non è “una cosa che è stata creata dalle due parti stesse,” come ha detto il signor Giaufret. È, in sostanza, il nucleo delle politiche europee che, fin dalla Dichiarazione di Bruxelles del 6 novembre 1973, hanno affermato chiaramente il sostegno alle Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’inammissibilità dell’acquisizione di territorio con la forza, la necessità di porre fine all’occupazione israeliana di territorio iniziata nel 1967 e il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.
Per i Palestinesi, aver accettato la soluzione a due stati ha rappresentato la necessità di adottare una posizione internazionale, soprattutto europea, che aveva il significato di un doloroso compromesso storico: riconoscere a Israele più del 78% della Palestina storica.
Il governo israeliano si rifiuta ancora di sottoscrivere la soluzione a due stati.
E poiché alcuni diplomatici europei hanno obiettato all’uso dei nomi di personaggi storici palestinesi per intitolare scuole palestinesi, [gli Israeliani] non hanno certo esitato ad elogiare i loro incontri con persone responsabili di continui crimini e violazioni ai danni del popolo palestinese.
Mentre noi continuiamo il nostro utile dialogo con i partner europei, e mentre apprezziamo pienamente il contributo dato dall’Unione Europea allo sviluppo delle nostre istituzioni, è importante sottolineare che, fintanto che l’Unione Europea e alcuni dei suoi membri non accompagneranno le loro politiche con azioni concrete, le prospettive di una pace giusta e duratura continueranno a svanire.
Siamo un vicino dell’Europa e quindi ci rendiamo conto che una pace giusta e duratura tra Israeliani e Palestinesi avrebbe un grande impatto non solo sul Medio Oriente ma anche sull’Europa. Ma questo non avverrà finché Israele continuerà ad esser trattata come uno stato al di sopra della legge.
Come è possibile che qualcuno promuova intese tra Unione Europea e Israele ignorando la realtà della Palestina e dei diritti umani dei Palestinesi?
Se il signor Giaufret è fiero di offrire cooperazione a ministri che hanno chiaramente in programma di polverizzare i diritti del popolo palestinese, diventa sempre più chiaro che le procedure europee di “differenziazione” tra Israele e i territori occupati dal 1967 sono inefficaci. Per quanto estremista possa essere il governo di Israele, il signor Giaufet è stato molto chiaro: l’UE non traccerà linee rosse di esclusione, ma cercherà piuttosto di “adattarsi alla situazione in corso.”
Una cosa da tenere a mente: gli insediamenti coloniali non crescono da soli. Sono il risultato delle politiche portate avanti da quelli stessi responsabili politici a cui l’Unione Europea ha cercato di “adattarsi.” A cominciare dal primo ministro Netanyahu, a Naftali Bennet, Uri Ariel, Ayelet Shaked, Yisrael Katz, Ofer Akunis e anche il signor Steinitz, che ha appena mandato “mille volte al diavolo” l’Unione Europea per una dichiarazione estremamente diplomatica sulla persecuzione messa in atto da Israele verso le organizzazioni della società civile e i difensori dei diritti umani.
Ci saremmo aspettati che, nel momento in cui l’amministrazione del presidente Donald Trump sta incoraggiando i crimini e le violazioni di Israele, l’Unione Europea e i suoi stati membri avrebbero risposto con il riconoscimento dello Stato di Palestina nei confini del 1967 e avrebbero intrapreso azioni concrete per realizzare le proprie politiche riguardo a Israele e alla sua impresa di insediamento coloniale.
Tutto quello che la Palestina chiede all’Europa è di essere coerente con le sue politiche e i suoi valori nei confronti di Israele e della sua impresa di insediamento coloniale.
Ma ecco il risultato. Il rappresentante dell’UE pensa che Israele e l’Europa condividano i valori dei diritti umani e dello stato di diritto. Il suo messaggio al popolo palestinese non potrebbe essere più chiaro: indipendentemente da quante violazioni Israele faccia della legge internazionale, Israele continuerà ad avere carta bianca.
Ci rifiutiamo di credere che questa sia la posizione ufficiale dell’Unione Europea, e ci aspettiamo una risposta chiara da Bruxelles.
Nabil Sha’ath
Nabil Sha’ath è consigliere del presidente palestinese Mahmoud Abbas per le relazioni internazionali ed è stato ministro degli esteri palestinese dal 1994 al 2005.
Traduzione di Donato Cioli