Manifestando a Gaza, mio fratello rischia di morire, per sentirsi libero.

Mio fratello adolescente rischia gli spari dei cecchini e i gas lacrimogeni nelle marce vicino al confine israeliano. Ma, come tutti gli abitanti di Gaza, sente che comunque sta morendo lentamente.

di Muhammad Shehada

Haaretz, 9 aprile 2018.

Un dimostrante palestinese ferito viene soccorso durante gli scontri con l’esercito israeliano vicino a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, 6 aprile 2018. SAID KHATIB/AFP

Il mio fratello più piccolo Salah, asmatico, di 18 anni, ha in programma un’urgente operazione agli occhi in Egitto senza la quale potrebbe perdere per sempre la vista del suo occhio destro. Ha anche ottenuto una borsa di studio in Algeria e ha chiesto per circa due anni di poter uscire dalla striscia di Gaza ed usufruire della borsa, ma senza alcun successo.

La sua vita gli è stata completamente rubata dal blocco israeliano, il suo futuro lo guarda da dietro gli enormi muri che isolano Gaza, ad un passo da lui. È in corsa contro il tempo per non perdere la vista, la mente e anche la vita.

Quasi ogni giorno mio fratello si unisce alla “Marcia del Grande Ritorno” a Gaza, sebbene mia madre abbia disperatamente fatto di tutto per fermarlo dal correre a torso nudo verso la morte.

Dimostranti palestinesi si coprono la faccia mentre bruciano pneumatici nel corso di una protesta al confine Gaza-Israele, ad est di Gaza City, 6 aprile 2018. MOHAMMED ABED/AFP

Le proteste al confine sono l’unico posto dove sente che perlomeno sta facendo qualcosa nel corso della sua lenta morte, anche solo urlare a pieni polmoni per dire al mondo “Noi siamo qui!”

È l’unico posto in cui lui e tutti i miei amici di Gaza riescono a respirare un soffio di libertà, nonostante la puzza dei gas lacrimogeni, anche soltanto per un attimo.

Salah ha imparato velocemente le “regole d’ingaggio” ed è attentissimo a non essere ferito. “Se stai a meno di 300 metri dalla rete di separazione, con una bandiera palestinese e una keffiyeh, è possibile che tu venga colpito alle gambe, alle ginocchia o ai piedi, e probabilmente la parte ferita ti verrà amputata,” ha spiegato mio fratello. “Se hai una manciata di pietre o cerchi di aprire un varco nella rete, i cecchini mireranno al tuo addome, al petto, al collo o alla testa”.

Nonostante ciò, ci sono stati Palestinesi feriti o uccisi mentre correvano via dalla zona cuscinetto (buffer zone). Non è stata data loro una seconda possibilità. Anche mio fratello, fuori dalla zona di pericolo, è svenuto più volte a causa dei gas lacrimogeni; ha visto il ragazzino vicino a lui colpito ad una gamba. In ospedale, mio fratello ha sempre il terrore che il suo nome venga registrato tra i feriti perché Israele gli impedirà per sempre di lasciare Gaza per aver preso parte alle proteste.

Tuttavia, malgrado gli spari evidentemente arbitrari con armi da fuoco, e i gas lacrimogeni che piovono sui dimostranti, 1.600 dei quali sono stati feriti e 29 sono morti, incluso un giovane giornalista il cui unico sogno era di mettere piede fuori da Gaza per una volta nella sua vita, Hamas è certo che le vittime siano attentamente selezionate. “Israele sa chi ferire, mutilare o uccidere” mi ha detto al telefono un capo di Hamas. Almeno 10 giovani, affiliati ad Hamas e alle sue brigate Qassam sono stati colpiti mentre mantenevano l’ordine nelle proteste.

Gas lacrimogeni sparati dall’esercito israeliano attraversano la nuvola di fumo nero prodotta dagli pneumatici bruciati dai manifestanti al confine Gaza-Israele ad est di Khan Yunis, 6 aprile 2018. SAID KHATIB/AFP

Hamas pensa che Israele stia impiegando tecnologie per il riconoscimento facciale, oltre ai numerosi droni di guerra che oscurano il cielo. Il movimento ha avvertito i suoi membri di tenere i volti coperti e lasciare a casa i telefoni.

Hamas ha attivato i suoi servizi di informazione e sicurezza per mantenere quelli che ritiene essere i tre parametri critici della protesta: indipendenza, non violenza e nessun attraversamento della rete in direzione di Israele. Le forze di sicurezza devono prevenire tentativi individuali che possano pregiudicare la non-violenza della manifestazione come per esempio giovani che tirino bottiglie molotov contro Israele. Alcuni casi sfuggono alla loro attenzione, altri vengono trattati con fermezza.

Lo scorso venerdì, mio fratello per caso è entrato in un tendone dove venivano assistiti i feriti. Lui e i suoi amici sono stati interrogati dal personale della sicurezza interna palestinese per aver scattato foto al tendone e per aver fatto interviste spontanee ai feriti.

Hamas, nonostante abbia poche illusioni sulle capacità della protesta di opporsi al blocco israeliano, si è buttato con prontezza nelle proteste, come avrebbe fatto qualsiasi altro partito, per accumulare un vantaggio politico, e poiché aveva capito che il contesto dava la possibilità di fare servizi fotografici che alimentassero il sostegno popolare e promuovessero i suoi particolari interessi.

Una dimostrante palestinese si copre la faccia con i colori della bandiera palestinese durante gli scontri con l’esercito israeliano al confine Gaza-Israele, 6 aprile 2018. MOHAMMED ABED/AFP

Quando Israele risponde alle proteste con la violenza, Hamas sfrutta volentieri la capacità che hanno queste drammatiche immagini di riportare Gaza sulle prime pagine dei giornali del mondo e di concentrare la rabbia delle persone su Israele e sul suo “partner complice,” l’Autorità Palestinese.

Anche se Israele ricorresse a strategie differenti, Hamas crede che, data la crisi del governo di Netanyahu, la miglior offerta che Israele potrebbe fare sarebbe rispondere alle proteste con qualche misura che alleggerisca l’incarcerazione di Gaza, come per esempio ampliare le zone ristrette di pesca e allevamento e aprire i confini per permettere il movimento di merci e di civili.

Ma tali misure, come dimostrano precedenti esperienze, vengono concesse e poi revocate alla prima occasione, essendo lo scopo dichiarato dell’assedio di Gaza quello di “tenere la testa della gente fuori dall’acqua, ma i loro corpi annegati sott’acqua.”

Hamas spera che la protesta in qualche modo contrasterà la pressione che è aumentata dopo il tentato omicidio del primo ministro palestinese Rami Hamdallah. L’Autorità Palestinese all’inizio ha incolpato Hamas dell’esplosione che ha colpito la scorta di Hamdallah che era in visita a Gaza. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha poi minacciato di imporre ulteriori sanzioni su Gaza, anche più severe di quelle che già rendono invivibile questa enclave.

Dimostranti palestinesi bruciano una bandiera israeliana in un accampamento di protesta al confine Gaza-Israele ad est di Rafah nel sud della Striscia di Gaza, 9 aprile 2018. SAID KHATIB/AFP

Hamas spera che le proteste convinceranno Abbas ad aprire ancora una possibilità di riconciliazione, per evitare di essere accusato da Israele di aggiungere benzina sull’imminente esplosione di Gaza.

Hamas calcola pure che sia Israele che l’Egitto stiano osservando quanto rapidamente e facilmente sia riuscito a mobilitare le masse, così che Israele possa far pressioni sull’Egitto per allentare il blocco nella sua zona, placando la tensione e la rabbia popolare.

Ma sarebbe un errore per gli osservatori ritenere che l’appropriazione della protesta da parte di Hamas ne comprometta l’autenticità, e ignorare la genuina sofferenza degli abitanti di Gaza.

Sì, le proteste vengono fortemente spinte da una diffusa promozione nei discorsi per strada, nelle scuole, nelle moschee, nelle università, nei negozi e sui taxi, grazie alle immagini di Ismail Haniya che gioca a calcio vicino al confine, agli interventi infuocati di Yahya Sinwar e ai 3.000 dollari che Hamas paga alle famiglie degli uccisi (nonostante l’organizzazione ne ottenga dieci volte tanto).

Dimostranti palestinesi corrono durante gli scontri con l’esercito israeliano al confine Gaza-Israele, nel sud della Striscia di Gaza, 5 aprile 2018. IBRAHEEM ABU MUSTAFA/ REUTERS

Ma Hamas non ha la capacità di tirare i giovani giù dal letto sotto la minaccia delle armi e trasportarli ai confini per ballare alla sua musica. I giovani di Gaza vanno là da soli, di loro spontanea volontà.

Non fosse per l’infelicità causata dallo status quo di Gaza, nessuno si presenterebbe a quell’appuntamento con la morte. Sebbene alcuni ci siano andati per pura curiosità, per vedere una zona in cui mai avrebbero osato mettere piede prima, e altri si siano uniti per orgoglio nazionale o semplicemente per scattare foto, molti di quelli presenti hanno sentito di dover partecipare alla marcia per sfidare la sensazione della loro lenta, dolorosa morte.

Ogni dimostrante ha una storia straziante e qualche profonda ragione per affrontare, disarmato, un pericolo immediato. Gli abitanti di Gaza hanno vissuto sull’orlo della morte, della fame e del collasso per 11 anni, oltrepassando i limiti della sopravvivenza umana. Queste rivendicazioni non possono essere false e devono avere una risposta.

Nonostante l’evidente pericolo, mio fratello, come la maggior parte di quelli che conosco a Gaza, continuerà a presentarsi ogni giorno alle proteste, finché ci lascerà la vita o riconquisterà la libertà.

Muhammad Shehada

https://www.haaretz.com/middle-east-news/palestinians/.premium-marching-in-gaza-my-brother-risks-death-to-feel-free-1.5983629

Traduzione di Alice Censi

Lascia un commento