dalla Jordan Valley Solidarity
La Jordan Valley Solidarity è una rete formata da comunità palestinesi della Valle del Giordano e da sostenitori internazionali. Il suo obiettivo è la prevenzione delle violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità e dai coloni israeliani contro la popolazione palestinese. Rashed Khudairy è il coordinatore delle attività della Jordan Valley Solidarity.
“Sono nato e cresciuto sotto occupazione. Sono morto tre volte ai checkpoint. Sono stato in prigione. Ho vissuto tutto questo, ma ancora non credo che uccidere Israeliani sia la soluzione. Non ucciderei mai nessuno. Siamo tutti esseri umani.” (Rashed, 4/10/2017)
Muratori per caso
Sveglia all’alba, circa le 9: giovani dotati di acqua, fango e paglia iniziano le attività di Civil Peace nei territori palestinesi occupati. Primo obiettivo: costruire una scuola. La ricetta è sempre la stessa: preparare il terreno, scavare una buca, riempirla d’acqua, aggiungere terra e mescolare il tutto. Al momento giusto, si versa il fango nelle forme e il gioco è fatto.
Al-Fasayil e la Valle del Giordano
Siamo nel villaggio di al-Fasayil, Valle del Giordano, a pochi chilometri da Gerico. L’area della Valle del Giordano occupa il 30% della Cisgiordania. Il 95% della Valle fa parte della cosiddetta Area C, sotto il controllo militare israeliano. Questa area è per la maggior parte cosparsa di insediamenti illegali; il resto del territorio è occupato da muri (0,15%), campi minati (1%), riserve naturali (20%), zone di addestramento militare (56% – non accessibili ai Palestinesi). Il restante 5% della Valle del Giordano è compreso nelle aree A e B: l’area A è sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’area B è sotto controllo misto.
Nel 1967 la popolazione della Valle del Giordano ammontava a circa 320.000 abitanti, mentre oggi possiamo contarne solo 56.000. Al-Fasayil può essere descritto come un tradizionale villaggio palestinese, marginalizzato a causa della presenza minacciosa dei coloni israeliani. Tutto intorno, infatti, si può notare la grande quantità di insediamenti illegali, mentre le comunità palestinesi hanno solo qualche animale, una terra arida e poche case. Ogni azione intrapresa da Israele nella zona è finalizzata a spossessare di ogni avere e infine a cacciare i Palestinesi dalla loro terra, negando loro il diritto di viverci.
Diritti e violazioni
L’agenda di Israele prende di mira alcuni dei diritti umani fondamentali: il diritto alla proprietà privata, all’educazione e alla vita.
La violazione del diritto alla proprietà privata prende forma attraverso la demolizione delle case palestinesi e la successiva costruzione di nuovi insediamenti per i coloni. Durante la costruzione degli insediamenti, Israele promuove una vera e propria campagna pubblicitaria per convincere gli Israeliani a trasferirsi al loro interno, pagando a questi prodi grosse somme di denaro. Ai Palestinesi, intanto, è vietato costruire nell’area C. La famiglia di Abu Sakr, un attivista della Valle del Giordano, ha visto la sua casa demolita per 8 volte. Solo nel 2016, in questa area sono state rase al suolo circa 70 case. All’interno degli insediamenti le luci sono spente, non ci sono bambini che giocano fuori: le case dei coloni sono spesso lasciate vuote o usate come seconde case, altro aspetto tipico dell’occupazione. L’unico momento in cui la presenza israeliana si fa davvero sentire è durante le incursioni contro le famiglie palestinesi che decidono di resistere o durante le azioni tese ad occupare tutta la terra fertile che c’è intorno. È proprio da questa terra, infatti, che i coloni israeliani traggono grande guadagno: il 70% delle esportazioni israeliane verso l’Europa sono prodotte illegalmente proprio negli insediamenti della Valle del Giordano. Una delle più grandi contraddizioni che ne derivano è che una parte di queste merci viene prodotta proprio dai Palestinesi, che per sopravvivere sono costretti a lavorare illegalmente per chi ruba la loro terra e viola ogni giorno i loro diritti.
La negazione del diritto all’istruzione avviene in modo simile, cioè attraverso la demolizione delle scuole: delle sei costruite negli ultimi anni – tra cui una dedicata a Vittorio Arrigoni – due sono state distrutte. Di un’altra rimane oggi solo una struttura in legno, che si spera possa venire gradualmente completata. Limitare l’accesso all’istruzione significa inevitabilmente danneggiare il futuro dei bambini palestinesi, che si trovano con opportunità limitate e ambizioni bloccate sul nascere. Questo, a sua volta, pregiudica lo svilupppo delle comunità e ogni loro prospettiva di diventare completamente autonome.
Un altro aspetto dolente riguarda l’accesso alle strutture mediche: la città più vicina per ottenere pronto soccorso e per ogni emergenza è Nablus, a diversi chilometri dalla Valle del Giordano. Per di più, un rapido accesso è spesso ostacolato dalla presenza dei numerosi checkpoint. In questa zona ci sono cinque posti di blocco che controllano e rallentano i movimenti dei Palestinesi con lunghe ore di attesa e accessi negati. Nei casi più terribili, diversi Palestinesi hanno lasciato la vita in questi posti di blocco: otto persone solo in quello di Al Hamra.
Anche il diritto alla vita è violato: prendere il controllo di un bene essenziale come l’acqua è solo uno tra i vari esempi. Il fiume Giordano rappresenta qui la più grande fonte di acqua potabile per le comunità, ma la Valle è stata sotto il controllo militare israeliano dal 1967. Per i Palestinesi l’unico modo di avere accesso all’acqua è comprarla. Il prezzo varia da un villaggio a un altro (in Kharbat Homsa, per esempio, 1 metro cubo di acqua costa 25 NIS, circa 6 €). Tuttavia, pagare l’acqua non significa necessariamente essere in grado di utilizzarla: infatti, in molti casi i serbatoi vengono distrutti o confiscati dai soldati israeliani.
L’acqua che un tempo scorreva libera verso i villaggi e le case palestinesi è ora utilizzata da più di 10.000 coloni israeliani, che hanno privato le comunità locali del libero accesso.
Un’altra fonte di acqua proviene dal Mar Morto, anche quello sotto controllo israeliano. Il suo accesso ai Palestinesi è molto limitato e soggetto a una tassa di circa 70 NIS (17 €). In questo modo, Israele ha accesso diretto alle risorse minerarie di cui è ricco il Mar Morto, e che sono di solito sfruttate da aziende israeliane (come AHAVA) per realizzare prodotti di bellezza e salute. Ancora una volta, siamo di fronte ad una fonte di reddito sottratta ai Palestinesi e dirottata a sostegno dell’economia israeliana.
Jordan Valley Solidarity (JVS)
Per affrontare queste violazioni, nel corso degli anni si è andata sviluppando più di una forma di resistenza: il rifiuto di abbandonare case e terre, la creazione di organizzazioni di solidarietà per sostenere i Palestinesi in quest’area sono un esempio.
Dal 2003, la Jordan Valley Solidarity è una delle principali organizzazioni che operano in questo territorio. Fondata dalle comunità della Valle del Giordano e frequentata da volontari internazionali, il suo obiettivo principale è sostenere la sopravvivenza delle comunità palestinesi nell’area e proteggere il patrimonio culturale circostante.
Tutte le attività sono impegnate ad adottare un approccio non violento e vengono definite dai bisogni e dalle priorità della gente del posto. Negli ultimi anni, alcune delle attività sono state:
- sostegno di villaggi come Al Fasayil e Ka’abne, in particolare per la costruzione di sei scuole;
- aiuto a diverse comunità per avere accesso all’acqua potabile;
- incoraggiatmento a ricostruire case e rifugi distrutti (costruite 250 nuove case e 2 cliniche);
- costruzione di strade per migliorare i trasporti;
- costruzione di un centro culturale e sociale.
Ogni azione e ogni iniziativa svolta dalla Jordan Valley Solidarity è finalizzata a preservare il diritto fondamentale alla vita. La formula attraverso cui i Palestinesi esprimono la loro esistenza è attraverso la resistenza all’occupazione.
Perché resistere è combattere; resistere è respirare: “ESISTERE È RESISTERE”.
www.jordanvalleysolidarity.org
Traduzione di Orena Palmisano
A cura di AssopacePalestina