Articolo pubblicato sulla rivista Alternative per il Socialismo – Giugno 2017
Sono stati quarantuno i giorni di sciopero della fame denominato per la “Dignità e la Libertà” di più di 1.500 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Iniziato il 17 Aprile giornata internazionale per i prigionieri palestinesi si è chiuso il 28 Maggio per l’inizio del Ramadan, dopo che nel carcere di Ashkelon, il Comitato dei prigionieri , con la presenza del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e dell’ Autorità Nazionale Palestinese hanno raggiunto dopo 20 ore di negoziati,un accordo con il Servizio Penitenziario Israeliano (IPS) che ha accolto, secondo i rappresentanti dei prigionieri, l’ 80% delle rivendicazioni per migliorare le loro condizioni di vita quotidiana. I rappresentanti israeliani però continuano a negare e sostengono di non aver negoziato, ma solo ripristinato una seconda visita familiare dopo che l’autorità palestinese si è fatta carico di pagare alla Croce Rossa Internazionale le spese di trasporto. Eppure le 20 ore di negoziato non sono state smentite ed il dettaglio dell’incontro è stato presentato da Issa Qaraqe, ministro per gli affari dei prigionieri del governo palestinese, comunicando che i punti rimasti in sospeso e sui quali vi è stato solo un accordo di principio verranno discussi successivamente. Certo è che visto le esperienze precedenti non ci si può fidare della parola delle autorità israeliane, basti pensare allo scambio di prigionieri avvenuto con Hamas per la libertà del soldato Gilad Shalit, dopo qualche mese dalla loro liberazione molti dei prigionieri sono stati riarrestati, uno per tutti Samer Issawi, che aveva affrontato uno sciopero della fame che ha messo seriamente a rischio la sua vita.
Le richieste formulate sono basilari ed umane, sono diritti contemplati dalla IV Convenzione di Ginevra e riguardano : il ripristino della seconda visita mensile dei familiari, non bloccare il passaggio ai check point a chi ha avuto i permessi per la visita in carcere (vi sono strazianti testimonianze di mamme, mogli, figli che avevano finalmente avuto il permesso di visita considerato carta straccia dai soldati ai check point ), eliminare il divieto di visita imposto per “motivi di sicurezza”a centinaia di membri delle famiglie tra cui 140 minori, poter fare fotografie con le famiglie, poter avere vestiti e dolciumi, consentire la visita ogni mese per i prigionieri di Gaza e non come avviene ogni due mesi (dal 2007 con l’assedio di Gaza e la chiusura del valico di Eretz, sono davvero pochi i familiari che hanno potuto recarsi in visita), permettere le visite anche ai parenti di secondo grado come nipoti o pronipoti, aumentare le possibilità di accesso ai telefoni pubblici per comunicazioni con i familiari, cure mediche in ospedali o cliniche dove siano garantite condizioni di vita idonee e umane, raccogliere le prigioniere palestinesi in un unico carcere e poter avere materiale di artigianato nonchè le visite dei figli e mariti, modalità diverse per il trasporto dal carcere i tribunali, eliminare il mezzo di trasporto Bosta ([1]Il Bosta o Tomba mobile, è una specie di blindato sigillato per il trasferimento dei prigionieri palestinesi da e per i tribunali israeliani e tra le varie prigioni. All’interno ci sono piccole celle chiuse da tutti i lati, senza finestre e con piccoli fori per far passare l’aria. La loro base, che funge da sedile, è fatta di ferro, torrida d’estate e gelida d’inverno. Il trasporto in queste condizioni è molto doloroso, definito come un vero tormento dai prigionieri), per i prigionieri in transito fornire pasti e poter usare la toilette, miglioramento delle condizioni di vita per i minori detenuti compresa la possibilità di accesso allo studio e all’istruzione, miglioramento delle merci acquistabili nella cantina , avere una zona cucina in ogni sezione delle prigioni, risolvere la questione del sovraffollamento, avere attrezzature sportive, nelle prigioni più lontani dagli ospedali avere a disposizione un ambulanza attrezzata per le cure intensive, porre fine alla detenzione amministrativa:
Lo sciopero promosso da Marwan Barghouthi ed i prigionieri di Al Fatah, ha visto l’adesione di altri leader di diverse forze politiche, del Fronte Democratico come Samer Issawi e dopo 17 giorni dall’inizio della sciopero anche di Ahmad Sadaat del Fronte Popolare ed ha riportato alla luce il problema dei prigionieri e la loro rilevanza nella società palestinese non solo tra gli abitanti della Cisgiordania o Gaza, ma anche tra i palestinesi del 48, cittadini israeliani, e quelli della diaspora palestinese.
Marwan Barghouthi, che ha cessato lo sciopero della fame due giorno dopo l’accordo, perchè, ha voluto verificare che i prigionieri, trasferiti e separati in prigioni diverse per la rappresaglia delle autorità penitenziarie, tornassero nelle prigioni di provenienza, ha rilasciato una dichiarazione resa nota dall’ associazione dei prigionieri palestinesi (PPS) nella quale sostiene che questa lotta ha segnato un punto di svolta nelle relazioni dei prigionieri con il “sistema dell’amministrazione penitenziaria” e che nel caso gli accordi non fossero rispettati ricominceranno a lottare per i loro diritti. Ha reso noto le “condizioni brutali e crudeli ” alle quali sono stati sottoposti i prigionieri, dall’isolamento illegale, alla continua minaccia dell’alimentazione forzata (alla quale per ragioni etiche si è rifiutata l’associazione dei medici israeliani), “la confisca di tutti gli averi personali, compresa la biancheria ed il sequestro di oggetti sanitari o igienici” cosi come il tentativo di rompere l’unità dei prigionieri proponendo accordi nelle singole prigioni e rifiutando di trattare con Barghouthi. Solo la determinazione ed il rifiuto del comitato dei prigionieri di escluderlo ha fatto sì che Marwan fosse portato dalla prigione di Jalameh ad Ashkelon dove si stavano facendo i colloqui. L’arma della diffamazione è stata usata pesantemente contro Marwan ,orchestrando contro di lui una campagna sia interna che a livello internazionale, per denigrarlo e sminuire la sua forza ed il suo esempio morale, per esempio con un video, falso,dove un detenuto che avrebbe dovuto essere Marwan mangiava di nascosto un biscotto, ma non ha avuto l’esito voluto dagli israeliani, ha anzi rafforzato la volontà di resistenza e la solidarietà ai prigionieri. Marwan stesso nell’incontro avuto con il suo avvocato, ha detto che se la sua cella avesse avuto due letti a castello e se fosse stata cosi pulita ne sarebbe stato felice mentre invece la sua cella era stretta e buia. Il suo isolamento nella prigione di Jalamah è avvenuto il primo giorno della proclamazione dello sciopero dopo che il New York Times aveva pubblicato un suo articolo che spiegava le ragioni della lotta, eccone uno stralcio:
“Dopo aver trascorso gli ultimi 15 anni in una prigione israeliana, sono stato sia un testimone, sia vittima, del sistema illegale di Israele di arresti arbitrari di massa e maltrattamenti di prigionieri palestinesi. Dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, ho deciso che non c’era altra scelta che resistere a questi abusi cominciando uno sciopero della fame”.…..
Naturalmente il NYT non è passato indenne da questa pubblicazione, un immediata campagna di pressione da parte della lobby pro Israele che ha minacciato il NYT, sostenendo che Marwan Barghouthi è un terrorista condannato a cinque ergastoli. Sono stati gli stessi argomenti usati anche dall’Ambasciatore Israeliano in Italia, Ofer Sachs in risposta ad una lettera da parte di Luigi Manconi, Presidente della commissione diritti del Senato e di Pia Locatelli, Presidente della commissione per i diritti umani del parlamento italiano, che chiedevano l’accoglimento delle richieste dei prigionieri in sciopero della fame. Scrive l’Ambasciatore: “……Desidero in primis precisare che i detenuti in questione non sono detenuti per questioni riguardanti le loro posizioni politiche o di coscienza ma per tragiche azioni terroristiche……Sono sicuro già sappiate che Marwan Barghouthi è un terrorista che si è reso responsabile di atti criminali gravissimi tra il 2001 e il 2005 (ndr. Marwan Barghouthi è stato sequestrato e detenuto dal 15 aprile 2002 difficile abbia compiuti atti terroristici fino al 2005) determinando la morte di civili innocenti….. la protesta dichiarata di Marwan Barghouthi ha poco a che vedere con i diritti umani…… Lo sciopero della fame andrebbe, invece, letto alla luce di una lotta di potere interno all’establishment palestinese per la successione ad Abu Mazen..”
Sono 6.300 i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, tra loro 300 minori, più di 500 in detenzione amministrativa, molti di loro in carcere da anni ed anni senza un accusa o un processo, 56 le donne. Il 99% dei palestinesi arrestati vengono condannati da un tribunale militare,dove molti giudici sono coloni, le prigioni dove sono detenuti i palestinesi si trovano in Israele, tranne quella di Ofer contrariamente alle convenzioni internazionali, che non permettono di trasferire la popolazione occupata nel paese occupante. Innumerevoli rapporti delle Nazioni Unite, di Amnesty, di BetSelem, organizzazione per i diritti umani israeliana denunciano le torture, gli abusi, sopratutto sui minori anche di 10- 11-12-14 anni, i processi farsa, lo stesso processo di Marwan Barghouthi è stato considerato da una delegazione di osservatori internazionali illegale e la campagna internazionale per la sua liberazione e quella dei prigionieri palestinesi è stata lanciata a Robben Island, dalla cella di Nelson Mandela sostenuta da 8 premi Nobel e centinaia di parlamentari, giuristi, intellettuali, mentre in Palestina ne fanno parte tutte le fazioni politiche.
Molti, cosi’ come la narrativa israeliana, hanno sostenuto, sottovalutando l’importanza dello sciopero, che questo veniva usato da Marwan Barghouthi per avere maggior potere nella leadership palestinese, nulla di negativo in ciò, sa di essere un leader che può contribuire all’unità delle divisioni tra le diverse fazioni palestinesi. Ma le rivendicazioni degli scioperanti sono reali, sono diritti violati e storicamente fin dal 1970 vi sono stati molti altri scioperi della fame collettivi, anche se negli ultimi anni erano principalmente individuali .
Marwan, malgrado sia in carcere da quindici anni continua ad essere, ed oggi ancora di più, un leader amato in Palestina e nella diaspora , nelle elezioni dei gruppi dirigenti di Al Fatah, è stato il primo eletto. Prima della totale deriva nazionalista e colonialista del governo Nethaniahu persino nel Likud vi sono stati ministri che ne avevano chiesto la liberazione .
Non c’è dubbio che lo sciopero dei prigionieri palestinesi sia stato una scossa ed una sfida anche per Fathah e la sua leadership , ma le previsioni sulla repressione da parte dell’ Anp di chi avrebbe manifestato, non è avvenuta così come non è stata smantellata la tenda in solidarietà con i prigionieri a Manger Square a Betlemme, in occasione delle venuta di Trump. Non c’è dubbio che questo sia avvenuto per la forte pressione della gran parte delle base ma anche di dirigenti di Al Fatah e della popolazione a sostegno dello sciopero dei prigionieri.
Una lotta che ha riportato nell’agenda politica palestinese la questione centrale dei prigionieri palestinesi. Una questione oscurata dopo gli accordi di Oslo, a differenza del Sud-Africa dove l’ Anc e Mandela per negoziare hanno richiesto la liberazione di tutti i prigionieri, la leadership palestinese ha accettato o dovuto accettare che solo un certo numero di prigionieri venisse liberato.
Oscurata ancora di più dopo la seconda Intifadah, scatenata dalla prova di forza di Sharon alla Spianata della Moschea il 29 settembre del 2000 per affermare la sovranità di Israele su tutta Gerusalemme. Il presidente Arafat aveva pregato Ehud Barak, laburista, a quel tempo al governo, di non permettere questa azione che avrebbe suscitato rivolte da parte palestinese, la risposta di Barak fu quella di inviare l’esercito a protezione di Sharon. La seconda Intifadah all’inizio pacifica e popolare,repressa violentemente da Israele, è poi sfociata nella deriva della resistenza militare ma anche di azioni fuori dalla legalità come quelle dei kamikaze contro i civili israeliani attuati principalmente da Hamas (non giustificabili dal fatto che l’esercito israeliano continuasse ad uccidere e giustiziare civili). Israele ha messo in atto, come di consueto, la punizione collettiva della popolazione palestinese con l’aggressione del’esercito israeliano che ha occupato e distrutto città e villaggi con l’operazione chiamata “Defensive Shield” iniziata il 29 marzo e terminata il 21 aprile del 2002, assediando il Presidente Arafat all’interno di un ala della Muqata bombardata, assediata anche la Chiesa della natività a Betlemme e sequestrato Marwan Barghouthi il 15 aprile a Ramallah. La popolazione palestinese ha pagato un prezzo enorme, demolizione di case, migliaia di arresti (8.500, 2.500, rilasciati dopo una settimana), cacciati dai posti di lavoro in Israele, ritorno dell’esercito israeliano anche nelle zone di area A, da dove l’esercito si era ritirato con l’accordo di Oslo. A Gaza, dove pur con enormi restrizioni si entrava ed usciva ancora, le distruzioni di ospedali, ministeri, abitazioni sono state immense, la striscia tagliata in tre parti non comunicanti tra loro, la popolazione si muoveva con gli asini cercando di raggiungere le varie locazioni dalla spiaggia, mentre i Ministri del governo di Sharon tuonavano che avrebbero fatto tornare i palestinesi all’età della pietra o del medioevo. In questo contesto donne di varie organizzazioni dicevano alle delegazioni di parlamentari che accompagnavo : “in questa seconda Intifadah le nostre voci, i nostri progetti di sviluppo e di emancipazione, il mutamento delle leggi ancora patriarcali che stavamo proponendo con successo sono bloccati, siamo tornate a curare i feriti, a pensare ai nostri figli, uomini, padri arrestati, non c’è partecipazione popolare quando si spara”.
Israele ha sconfitto totalmente una rivolta militare messa in atto senza strategia, dettata dalla continua colonizzazione del territorio palestinese, alla crescita dei coloni (150 mila alla firma dell’accordo di Oslo del 93, 700mila oggi) ed anche dalla falsa illusione di poter costringere Israele ad andarsene dai territori occupati cosi come era stata costretta ad abbandonare il Libano nel 2000 dalla resistenza di Hezbollah.
Illusione nella quale era caduto anche Arafat che aveva offerto il ramo d’olivo e riconosciuto lo Stato d’ Israele sui territori della linea verde del 1967, il 22% della Palestina storica, già nel Novembre 1988 ad Algeri nella conferenza del Consiglio Nazionale Palestinese, sottoscritto poi nell’accordo di Oslo, mentre Israele non aveva riconosciuto lo Stato di Palestina ma solo l’ Olp , continuando la colonizzazione dei territori palestinesi, accentuando le restrizioni di movimento di persone e merci, confiscando terre e risorse idriche, costruendo strade nei territori occupate proibite ai palestinesi, strade dell’apartheid come dicono innumerevoli rapporti delle Nazioni Uniti. Nel Novembre del 2004, Arafat muore in un ospedale di Parigi, un funerale immenso lo accoglie a Ramallah . Mahmoud Abbas, principale artefice degli ormai falliti accordi di Oslo, viene eletto Presidente, malgrado le sue dichiarate scelte di rifiuto di ogni azione militare, il governo Sharon continua la sua propaganda che non ci sono partners per la pace in Palestina.
Mentre la seconda Intifadah con la sua deriva militare si spegne e centinaia di giovani che avevano fatto parte dei gruppi militari e che non erano stati uccisi sono in carcere e condannati a vari ergastoli, la maggioranza della popolazione palestinese è ammutolita e provata dalla repressione, dai check point, vogliono solo sopravvivere e decresce la solidarietà tra i palestinesi che vi era stata nella prima Intifadah.
Eppure proprio nei tempi bui della seconda Intifadah durante l’operazione Scudo Difensivo, nasce un movimento per la protezione della popolazione civile palestinese con israeliani e internazionali, tentando insieme di aprire le strade per permettere il movimento ai palestinesi rinchiusi nei loro villaggi o nelle città, e poi successivamente una resistenza popolare non violenta partita da Jayush, Budrus estesa a Bili’in, al Masara, Colline a Sud di Hebron, Nabi Saleh per resistere alla costruzione del Muro che Israele chiama Barriera di Sicurezza ma che invece penetra profondamente nei territori occupati, sottraendo terra fertile e coltivata, falde acquifere, distruggendo centinaia di migliaia di alberi di ulivi, fruttetti, lasciando i villaggi palestinesi rinchiusi al di là del muro ed i contadini senza poter coltivare la loro terra. Un muro di annessione coloniale che deve per questo essere smantellato sentenzia nel Luglio del 2004,la Corte di Giustizia dell’Aja che però non ha valore penale .
In questo contesto i prigionieri erano diventati un problema individuale delle famiglie anche se il Club dei Prigionieri e l’ Olp continuavano e continuano a dare un sostegno economico sia all’interno del carcere che all’esterno alle famiglie colpite. I prigionieri liberati non erano più gli eroi, ma ex prigionieri che non trovavano collocazione se non nelle forze di sicurezza oppure finivano nelle file della malavita e molti con trauma e depressioni.
Malgrado ciò proprio dalle carceri e dai leader detenuti come Marwan Barghouthi sono venute le indicazioni e gli appelli per l’unità nel conflitto interno tra Fatah e Hamas, è stato il Comitato dei prigionieri, rappresentativo di tutte le forze politiche, a presentare la proposta della formazione di un governo di unità nazionale su 21 punti dopo il fallimento del governo formatosi con la vittoria elettorale della lista Cambiamento e Riforme di Hamas il 25 Gennaio del 2006 , costretto a dimettersi per il boicottaggio da parte dell’ Unione Europea e della comunità internazionale .
Questo sciopero ed il suo esito positivo ha rimesso in moto sopratutto tra i giovani, un bisogno di partecipazione collettiva e di orgoglio per i prigionieri che affrontavano un tale sacrificio chiedendo dignità e libertà. Da lungo tempo non si erano visti scioperi generali, manifestazioni, tende di solidarietà in ogni villaggio e città .Lo stesso accadeva in gran parte del mondo arabo e tra i profughi palestinesi. Ero in Libano nei primi giorni del mese di Maggio e non c’era campo profugo, ma anche popolazione libanese che non manifestasse la propria solidarietà e sostegno alla resistenza dei prigionieri. Le televisioni arabe davano notizie quotidiane dello sciopero, non da noi dove i media hanno mantenuto un embargo vergognoso sulle condizioni di vita degli scioperanti, lo stesso ha fatto il nostro governo e parlamentari (tranne alcuni di Sinistra italiana, Art 1 e del Pd), solo dopo molti giorni di sciopero l’Unione Europea e poi le Nazioni Unite hanno chiesto ad Israele il rispetto dei diritti dei prigionieri . Eppure le dichiarazioni di Ministri israeliani come Lieberman che hanno sostenuto che “i prigionieri per quel che mi riguarda possono finire tutti sottoterra” , “faremo come la Tachther”o la provocazione di coloni che sono andati davanti la prigione di Ofer ha fare un barbecue per fare arrivare l’odore della carne arrostita agli scioperanti, avrebbero dovuto fare notizia, ma sopratutto il fatto che 1.500 essere umani per 41 giorni hanno fatto lo sciopero della fame bevendo solo acqua e sale rischiando la vita. ma in Italia se le isituzioni non hanno risposto, ogni giorno vi sono state nelle diverse città italiane manifestazione a sostegno dei prigionieri.
Ora la grande sfida, non lasciare cadere un altra volta nell’oblio la questione dei prigionieri, nella sua dichiarazione Marwan Barghouthi chiede al presidente Mahmoud Abbas di tenere in ogni ipotesi di negoziato come prioritaria la liberazione dei prigionieri palestinesi.
Ma la presidenza di Trump, la protervia coloniale del governo israeliano che ormai parlano chiaramente di annessione del 60% di quel 22% della Palestina occupata nel 67 e l’asservimento alla narrativa israeliana del mondo “occidentale” nel breve periodo non lasciano non molte speranze.
Noi che crediamo nella verità e giustizia dobbiamo continuare a sostenere il diritto alla libertà e alla terra del popolo palestinese.