Uri Avnery – già parlamentare della Knesset – leader pacifista di Gush Shalom
22 aprile 2017
Devo confessare una cosa: Marwan Barghouti mi piace.
Sono andato a trovarlo varie volte nella sua modesta casa di Ramallah. Nelle nostre conversazioni abbiamo parlato della pace israelo-palestinese. Avevamo le stesse idee: creare uno Stato di Palestina a fianco dello Stato di Israele e instaurare la pace tra i due Stati, sulla base dei confini del 1967 (con lievi modifiche), prevedendo frontiere aperte e cooperazione.
Non era un’intesa segreta: Barghouti ha ripetuto a più riprese questa proposta, sia in carcere che fuori.
Anche sua moglie, Fadwa, mi piace. Ha una formazione da avvocato ma dedica tutto il suo tempo alla lotta per la liberazione del marito. Tra la moltitudine di persone presenti al funerale di Yasser Arafat mi è capitato di stare accanto a lei e ho visto il suo volto rigato dalle lacrime.
Questa settimana Barghouti, insieme a un migliaio di prigionieri palestinesi in Israele, ha iniziato una sciopero della fame illimitato. Ho appena firmato una petizione per la sua liberazione.
Marwan Barghouti è un leader nato. Nonostante la sua bassa statura fisica, la sua figura si staglia tra la folla a ogni raduno. All’interno del movimento Fatah divenne il leader della divisione giovanile (la parola Fatah è l’acronimo, in arabo, di “Palestinian Liberation Movement”, letto al contrario).
I Barghouti sono una famiglia molto estesa e autorevole in diversi villaggi vicino a Ramallah. Marwan è nato nel 1959 nel villaggio di Kobar. Un suo avo, Abd-al-Jabir al-Barghouti, è stato a capo di una rivolta araba nel 1834. Ho incontrato Mustafa Barghouti, un attivista per la democrazia, in occasione di varie manifestazioni, dove abbiamo condiviso l’esperienza dei gas lacrimogeni. Omar Barghouti è uno dei leader del movimento internazionale di boicottaggio di Israele.
Forse la mia simpatia per Marwan è influenzata da alcune analogie che legano la nostra gioventù. Lui è entrato a far parte del movimento di resistenza palestinese all’età di 15 anni, la stessa età a cui io mi sono unito al movimento Hebrew underground circa 35 anni prima. Io e i miei amici ci consideravamo dei combattenti per la libertà, ma eravamo bollati dalle autorità britanniche come “terroristi”. Lo stesso accade ora a Marwan: un combattente per la libertà ai suoi occhi e agli occhi della stragrande maggioranza del popolo palestinese, un “terrorista” agli occhi delle autorità israeliane.
Quando è stato processato al tribunale distrettuale di Tel Aviv, io e i miei amici membri del movimento pacifista israeliano Gush Shalom abbiamo provato a dimostrare in aula la nostra solidarietà nei suoi confronti. Siamo stati espulsi da guardie armate. Uno dei miei amici ha perso un’unghia del piede in questo scontro epocale.
Anni fa ho chiamato Barghouti il “Mandela palestinese”. Nonostante la loro differenza di altezza e di colore della pelle, c’era una somiglianza fondamentale tra i due: entrambi erano uomini di pace, ma giustificavano l’uso della violenza contro i loro oppressori. Tuttavia, mentre il regime di apartheid si è accontentato di infliggere un ergastolo, Barghouti è stato condannato in maniera grottesca a cinque ergastoli più altri 40 anni per atti di violenza compiuti dalla sua organizzazione Tanzim.
(Questa settimana Gush Shalom ha pubblicato una dichiarazione in cui spiega che, secondo la stessa logica, Menachem Begin avrebbe dovuto essere condannato dai britannici a 91 ergastoli per il bombardamento del King David Hotel, in cui hanno perso la vita 91 persone, molte delle quali ebree.)
Vi è un’altra analogia tra Mandela e Barghouti: quando il regime di apartheid è stato distrutto da una combinazione di “terrorismo”, scioperi violenti e azioni di boicottaggio a livello mondiale, Mandela è emerso come il leader naturale del nuovo Sud Africa. Molti si aspettano che quando sarà istituito uno Stato palestinese Barghouti ne diventi il presidente, dopo Mahmoud Abbas.
C’è qualcosa nella sua personalità che ispira fiducia e che lo rende l’arbitro naturale dei conflitti interni. Gli appartenenti ad Hamas, oppositori di Fatah, sono propensi ad ascoltare Marwan. È il conciliatore ideale tra i due movimenti.
Alcuni anni fa, sotto la leadership di Marwan, un numero elevato di prigionieri appartenenti alle due organizzazioni ha firmato un appello congiunto per l’unità nazionale, definendo condizioni concrete, Poi non se ne è fatto più nulla.
A proposito, questo potrebbe essere un altro dei motivi per cui il governo israeliano ha respinto qualsiasi proposta di liberazione di Barghouti, anche quando uno scambio di prigionieri avrebbe offerto una buona opportunità. Barghouti libero potrebbe divenire un potente attore per l’unità palestinese, e questa è l’ultima cosa che i grandi signori israeliani vogliono.
Divide et impera – “dividi e comanda” – dai tempi dei romani questo è stato un principio guida di ogni regime che opprime un altro popolo. Una cosa che riesce incredibilmente bene alle autorità israeliane. La geografia politica offre uno scenario ideale. La Cisgiordania (sulla sponda occidentale del fiume Giordano) è separata da Gaza da circa 50 km di territorio israeliano.
Hamas, che si è impossessato della Striscia di Gaza con le elezioni e la violenza, si rifiuta di accettare la leadership dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), un’unione delle organizzazioni più secolari che governa la Cisgiordania.
Non è una situazione insolita per le organizzazioni di liberazione nazionali che, spesso, si dividono in ali più o meno estreme, per la gioia dell’oppressore. L’ultima cosa che le autorità israeliane son disposte a fare è rilasciare Barghouti e permettergli di ristabilire un’unità nazionale palestinese. Che Dio ce ne guardi!
Chi intraprende lo sciopero della fame non chiede il proprio rilascio, quanto il miglioramento delle condizioni carcerarie. Chiede, tra l’altro, di poter ricevere viste più frequenti e più lunghe da parte di moglie e famiglia, la cessazione delle torture, un’alimentazione dignitosa e cose simili. Ci ricorda inoltre che il diritto internazionale vieta a una “potenza occupante” di trasferire i prigionieri da un territorio occupato al paese di origine dell’occupante. Esattamente ciò che accade alla quasi totalità dei “prigionieri di sicurezza” palestinesi.
La scorsa settimana Barghouti ha illustrato queste richieste in un articolo che il New York Times ha deciso di ospitare, compiendo un atto che mostra il lato migliore del giornale. La nota editoriale descriveva l’autore come un politico palestinese e membro del Parlamento. È stato un atto di coraggio del giornale (che, in qualche modo, ha riacquistato credito ai miei occhi, dopo la condanna di Bashar al-Assad per l’utilizzo di gas tossico senza uno straccio di prova).
Ma il coraggio ha i suoi limiti. Il giorno dopo il NYT ha pubblicato una nota editoriale in cui dichiarava che Barghouti era stato condannato per omicidio. Una vile capitolazione alle pressioni sioniste.
Colui che poteva gloriarsi di questa vittoriaè un individuo che trovo particolarmente spregevole. Si fa chiamare Michael Oren e ricopre ora la carica di viceministro in Israele, ma è nato negli Stati Uniti e appartiene al sottogruppo degli ebrei americani ultra patrioti di Israele. Ha adottato la cittadinanza israeliana e un nome israeliano per ricoprire la carica di ambasciatore di Israele negli Stati Uniti. In questa veste ha attirato attenzione utilizzando una retorica antiaraba particolarmente virulenta, talmente estrema da far apparire Benjamin Netanyahu come un moderato.
Dubito che questa persona abbia mai sacrificato niente per il suo patriottismo; al contrario, ci ha costruito la sua carriera. Eppure parla con disprezzo di Barghouti, che ha trascorso gran parte della sua vita in prigione e in esilio. Descrive l’articolo di Barghouti sul New York Times come un “atto di terrorismo giornalistico”. Senti chi parla.
Lo sciopero della fame è un atto molto coraggioso. È l’ultima arma di cui dispongono le persone meno protette sulla Terra, i prigionieri. L’odiosa Margaret Thatcher lasciò morire di fame i prigionieri irlandesi che avevano intrapreso lo sciopero della fame.
Le autorità israeliane volevano costringere gli scioperanti palestinesi all’alimentazione forzata. L’associazione dei medici israeliani (a cui rendiamo onore) si è rifiutata di cooperare poiché tali atti, in passato, hanno portato alla morte delle vittime. E ciò ha messo fine a questo tipo di torture.
Barghouti chiede che i prigionieri politici palestinesi siano trattati come prigionieri di guerra. Ma niente da fare.
Tuttavia, si dovrebbe chiedere che i prigionieri di ogni tipo siano trattati umanamente, e cioè che la privazione della libertà sia l’unica punizione imposta e che all’interno delle carceri siano concesse condizioni più dignitose possibile.
In alcune prigioni israeliane sembra sia stato trovato un modus vivendi tra le autorità penitenziarie e i prigionieri palestinesi. In altre no. Si ha l’impressione che il servizio carcerario sia il nemico dei carcerati, rendendo la loro vita più dura possibile. Un atteggiamento peggiorato ulteriormente in risposta allo sciopero.
Si tratta di una politica crudele, illegale e controproducente. Non è possibile vincere contro uno sciopero della fame. I prigionieri sono destinati a vincere, soprattutto quando sono sotto gli occhi di persone dignitose di tutto il mondo, forse anche del NYT.
Aspetto il giorno in cui potrò nuovamente rendere visita a Marwan come uomo libero nella sua casa di Ramallah. Ancora di più se, quel giorno, Ramallah sarà una citta dello Stato libero di Palestina.
Traduzione di Daniele Melli – A cura di Assopace Palestina
Articolo originale: http://zope.gush-shalom.org/home/en/channels/avnery/1492778721