Israele ha la capacità e la responsabilità di evitare che si avveri l’allarme lanciato dall’ONU e cioè che nel 2020 Gaza non sia più vivibile per gli esseri umani.
Editoriale Haaretz, 10 gennaio 2017.
Dopo il suo disimpegno del 2005, Israele sostiene di non controllare più la Striscia di Gaza e di non essere responsabile per i suoi 2 milioni di residenti. Il governo di Hamas a Gaza e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania insistono entrambi che Israele, invece, è responsabile, salvo poi accusarsi a vicenda; gli abitanti di Gaza accusano tutte e tre le parti, e anche la comunità internazionale. Ma il Ministro della Difesa di Israele, il servizio di sicurezza Shin Bet e il Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT) dispongono tutti di personale il cui lavoro implica la conoscenza della disastrosa situazione di Gaza, situazione che sta costantemente peggiorando.
La questione se Israele abbia o meno l’effettivo controllo su Gaza non cambia i fatti: quasi il 95% dell’acqua della falda acquifera di Gaza non è potabile e l’acqua depurata che viene distribuita alle famiglie non rispetta le norme igieniche; l’elettricità è presente per 8 ore al giorno o anche meno; circa 100 milioni di litri di scarichi fognari si riversano nel mare ogni giorno, sia a causa delle interruzioni di corrente sia a causa dei ritardi nel portare parti di ricambio e nuove pompe a Gaza; i residui bellici israeliani impattano sull’ambiente e sulla salute delle persone con modalità che devono ancora essere indagate; la disoccupazione è salita fino a circa il 40%, visto che le restrizioni israeliane alla mobilità hanno strangolato la produzione e centinaia di migliaia di giovani, che non hanno mai lasciato questa affollata enclave, non conoscono nessuna altra realtà.
Ogni problema si ripercuote sugli altri problemi e li aggrava, rendendo impossibile separarli uno dall’altro. Se tutte queste difficoltà stiano aumentando oppure no l’incidenza delle malattie a Gaza verrà chiarito dai ricercatori ma, in ogni caso, centinaia di pazienti sono nella condizione di non poter ricevere cure adeguate.
I commentatori online possono permettersi di essere indifferenti rispetto all’esistenza di malati di cancro ai quali Israele – con un’operazione priva di trasparenza o di supervisione esterna – non sta permettendo di uscire da Gaza per ricevere i trattamenti medici o ai quali ha ritardato il rilascio dei permessi fino a che la malattia non si è aggravata (“Malati di cancro a Gaza: il rifiuto di Israele a farci entrare per le cure è una ‘sentenza di morte’ “, Jack Khoury, Haaretz, 6 gennaio).
Ma il COGAT, che sapeva esattamente come sfruttare i vantaggi di immagine quando ha fatto ottenere ai parenti di Ismail Haniyeh, primo Ministro di Gaza, le cure mediche in Israele, sa anche molto bene che quando organizzazioni come Physicians for Human Rights (Medici per i Diritti Umani) e Gisha intervengono, le restrizioni di sicurezza vengono spesso annullate.
I predicatori dei social media possono affermare che non è affar loro ciò che accade a 10 km da Sderot e a 3 km dal Kibbutz Zikim. Coloro che prendono le decisioni, per contro, sanno molto bene che gli scarichi fognari a mare e le malattie infettive non conoscono confini.
Responsabile oppure no, è Israele che ha in mano le chiavi del potere. La sua pratica – che sconfina nel sadismo – di giocare con le vite dei pazienti deve cessare. Israele deve creare un percorso sorvegliato, trasparente ed umano per i pazienti che lasciano Gaza, come primo passo verso un radicale ripensamento della sua fallita tattica di blocco della Striscia di Gaza. Deve inviare acqua a Gaza in quantità sufficienti per preservare le falde e deve installare linee elettriche aggiuntive per fermare la devastazione ambientale. Israele ha la capacità e la responsabilità di evitare che si avveri l’allarme lanciato dall’ONU e cioè che nel 2020 Gaza non sia più vivibile per gli esseri umani.
Traduzione di Gigliola Albertano