Roma 31 gennaio: sit-in per i “Palestinesi del 48”.

AssopacePalestina partecipa, e chiede a tutti di partecipare, al sit-in del 31 gennaio dalle ore 16 alle ore 18 in Piazza Santi Apostoli, Roma, per sostenere i diritti dei “Palestinesi del 48,” oggi  cittadini israeliani, ai quali vengono negati diritti umani e diritti sociali.

Inoltre Israele continua a distruggere ed evacuare villaggi palestinesi che esistono ma che non vengono riconosciuti.

Gli ultimi avvenimenti  riguardano il  villaggio beduino  di Umm al-Hiran, che è stato evacuato ed alla manfestazione pacifica la polizia israeliana ha risposto con gas lacrimogeni e pallottole. Due persone sono rimaste uccise, e Ayman Odeh, leader parlamentare della Lista Unita, è stato ferito alla testa.

Diritti e uguaglianza per la popolazione palestinese del 48 !

Giornata Internazionale a Sostegno dei Diritti dei Palestinesi del 1948

Si è celebrata anche quest’anno, per la seconda volta da quando è stata istituita il 30 gennaio 2016, la Giornata Internazionale a Sostegno dei Diritti dei Palestinesi del 1948. Nata per iniziativa di leader e movimenti politici palestinesi in Israele, in Palestina e nella Diaspora, questa giornata sollecita puntualmente l’attenzione di tutti gli amici della Palestina sparsi per il mondo affinché si oppongano alla repressione dei cittadini arabi palestinesi rimasti in quello che è divenuto lo Stato di Israele dopo la Nakba del 1948, sostenendo gli sforzi di questi cittadini di serie B per contrastare le politiche di discriminazione e Apartheid messe in campo da Israele con l’obiettivo di negare il patrimonio storico, nazionale e culturale della Palestina.
Negli anni successivi alla nascita dello Stato di Israele, le nuove autorità mapparono l’intero Paese lasciando fuori dai registri ufficiali la metà dei villaggi palestinesi esistenti, per poi accusarli di essere stati costruiti illegalmente. Cominciò così il calvario di chi era riuscito a resistere alla deportazione mentre si verificava la fuga in massa della popolazione palestinese, l’80% della quale, pari a circa 800mila persone, venne letteralmente cacciata dalle milizie armate israeliane. Solo 153.000 palestinesi rimasero in Israele, rifugiati nella loro stessa terra nel 25% dei casi, quando le loro abitazioni furono distrutte e la loro terra fu confiscata dal nuovo Stato.
Gli abitanti dei villaggi che non furono distrutti ma non vennero nemmeno riconosciuti furono immediatamente costretti ai margini dello Stato di Israele, senza servizi pubblici, senza allacci alla rete idrica o elettrica, e al di fuori di un qualsiasi piano urbanistico, sebbene avessero in mano la carta d’identità israeliana. Ancora oggi questi abitanti sono bersaglio costante di demolizioni e tentativi di sfollamento da parte delle autorità israeliane. L’ultimo progetto, il Piano Prawer, prevede la distruzione di 45 villaggi beduini non riconosciuti nel Negev, la confisca di oltre 850mila dunam di terre (un dunam è pari a mille metri quadrati) e il trasferimento forzato di 40mila beduini palestinesi in township ad hoc, per fare largo ad insediamenti israeliani. Bloccato dagli scioperi di massa di tre anni fa che hanno visto scendere in piazza tutta la Palestina storica, il Piano è rimasto nel cassetto, ma non le azioni contro le singole comunità.
Ricordiamo l’apice raggiunto lo scorso 18 gennaio nel villaggio beduino di Umm Al-Hiran, quando, durante una manifestazione di protesta, il maestro di scuola Yacoub Abu Al-Qiyan è stato ucciso mentre procedeva a bordo di una jeep caricata delle sue cose prima che demolissero la sua casa, e uno dei proiettili sparati dalla polizia ha ferito al volto il deputato della Knesset Ayman Odeh, leader della Lista Araba Unita, terzo partito del Parlamento israeliano.
Ma ricordiamo anche l’immediata risposta palestinese, con uno sciopero generale indetto in tutto lo Stato di Israele da parte della popolazione palestinese, da Haifa a Nazareth, da Tel Aviv a Wadi Ara, mentre in migliaia raggiungevano Umm Al-Hiran per partecipare ai funerali di Yacoub Abu Al-Qiyan e tentare di riscostruire il villaggio. Le comunità di Wadi Ara – il cosiddetto “triangolo”, nel Nord Est di Israele –, i cittadini palestinesi di Jaffa e la Arab Lawyers Union hanno perfino donato tre case mobili per accogliere alcune delle famiglie sfollate, lanciando al contempo una campagna di raccolta fondi via WhatsApp. E’ a questo punto che la polizia israeliana ha deciso di comparire di nuovo, il 29 gennaio, con l’ennesimo ordine di demolizione a cui gli abitanti palestinesi del villaggio hanno risposto appellandosi ai loro concittadini di Israele per impedire la distruzione ad opera di bulldozer che non si stancano mai: si pensi solo al villaggio di Al-Araqib, demolito dalle forze israeliane e ricostruito dai suoi abitanti palestinesi per ben 93 volte negli ultimi 5 anni.
Ecco, la Giornata Internazionale a Sostegno dei Diritti dei Palestinesi del 1948 vuole denunciare tutto questo, insistendo sul fatto che lo Stato di Israele è organizzato secondo due diversi parametri, che distinguono la popolazione arabo-palestinese da quella israeliana e che caratterizzano, oltre al sistema abitativo, anche quello educativo e giuridico, così come la libertà di espressione, il mercato del lavoro e la distribuzione del reddito. Se le scuole palestinesi costituiscono “un mondo a parte” scarsamente finanziato dal governo, se i cittadini palestinesi di Israele svolgono per lo più lavori mal pagati, e se perfino la sanità viaggia su binari paralleli discriminando palesemente i bisogni dei palestinesi, vittime di una mortalità infantile doppia rispetto a quella dei cittadini israeliani, non sorprende che questa Giornata invochi “il nostro diritto alla giustizia e all’uguaglianza”.
L’Ambasciata di Palestina in Italia e La Comunità Palestinese

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