Al punto di ebollizione con Israele
dal Comitato di Redazione del New York Times
6 ottobre 2016
Se l’obiettivo del governo israeliano è quello di impedire un accordo di pace con i Palestinesi, sia ora che in futuro, quell’obiettivo si avvia a realizzarsi. La settimana scorsa il governo israeliano ha approvato la costruzione di un nuovo insediamento ebraico in Cisgiordania, un altro passo nel cammino ininterrotto del primo ministro Benjamin Netanyahu, volto a costruire su territori che sono necessari per la creazione di uno stato palestinese.
L’amministrazione Obama, a buon diritto, ha condannato decisamente questo atto come un tradimento dell’idea di una soluzione a due stati in Medio Oriente. Ma evidentemente a Netanyahu non interessa l’opinione di Washington: spetta quindi al presidente Obama, prima della fine del suo mandato, trovare una soluzione per salvare l’idea dei due stati.
La migliore soluzione di cui si sta ora discutendo sarebbe che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con una risoluzione ufficiale, dettasse le linee guida di un accordo di pace in cui si trattassero questioni come la sicurezza di Israele, il futuro di Gerusalemme, il destino dei rifugiati palestinesi e i confini dei due stati. In passato, l’ONU ha già stabilito i princìpi di un accordo di pace con la Risoluzione 242 (1967) e la Risoluzione 338 (1973); una nuova risoluzione potrebbe essere più specifica e prendere in considerazione la realtà attuale. Un’altra (più debole) opzione sarebbe che Obama agisse autonomamente ed enunciasse in modo unilaterale queste linee guida per le due parti.
Il nuovo insediamento, che comprenderebbe fino a 300 case, è uno di quei cordoni di nuove abitazioni che quasi dividono in due la Cisgiordania. È progettato per accogliere i coloni di un vicino avamposto illegale, chiamato Amora, di cui un tribunale israeliano ha ordinato la demolizione perché costruito su un terreno privato di proprietà palestinese.
In una apposita dichiarazione, il Dipartimento di Stato americano ha denunziato il nuovo progetto di costruzione, dicendo che creerebbe “un consistente nuovo insediamento” così profondamente avanzato entro la Cisgiordania da essere “molto più vicino alla Giordania che a Israele.” Dice anche che il progetto “dividerebbe di fatto la Cisgiordania e renderebbe ancor più remota la possibilità di uno stato palestinese sostenibile,” oltre a contraddire precedenti impegni del governo israeliano a bloccare ulteriori insediamenti.
Il mancato blocco degli insediamenti è da tempo al centro di tensioni tra i recenti governi americani e Israele. Quest’ultima decisione è particolarmente oltraggiosa perché arriva solo poche settimane dopo che Stati Uniti e Israele hanno concluso un accordo militare che garantisce a Israele 38 miliardi di dollari di aiuti in 10 anni. Se si fosse saputo prima del nuovo insediamento, questo avrebbe potuto influire su quell’accordo. In teoria, questo aiuto fornisce agli Stati Uniti uno strumento di pressione su Israele, ma varie amministrazioni americane si sono mostrate riluttanti ad usare questa leva. Il presidente Bush senior nel 1990 trattenne 400 milioni di dollari in garanzie di prestito a Israele, proprio per la questione degli insediamenti; si disse in seguito che questa azione fu una della cause della sua mancata rielezione.
Per quanto gli armamenti e l’assistenza militare possano essere importanti, il modo migliore per aumentare la sicurezza di Israele sta nel raggiungere un accordo di pace onnicomprensivo con i Palestinesi. La continua crescita degli insediamenti ha avvelenato le speranze dei Palestinesi ed ha funzionato, di volta in volta, da scintilla, da bersaglio o da scusa per la violenza, esasperando il conflitto.
Ma Netanyahu non si sente veramente sotto pressione per arrestare gli insediamenti. Certamente non da parte dei Palestinesi che sono divisi e hanno un leader debole. Certamente non da parte di stati arabi come l’Arabia Saudita, che hanno mostrato di impegnarsi assai poco per uno stato palestinese e che stanno ora intessendo legami di affari e di informazioni con Israele, un vecchio nemico che è ora una fiorente economia e un polo tecnologico.
La pressione più persuasiva potrebbe venire da un Obama che spingesse il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a mettere tutta la sua autorità in una risoluzione che sostenesse la soluzione a due stati e ne tracciasse le linee generali. Questa può sembrare una risposta burocratica con poche probabilità di incidere sulla realtà, ma è proprio quel tipo di pressione politica che Netanyahu aborre e che ha cercato in ogni modo di prevenire.
http://www.nytimes.com/2016/10/07/opinion/a-way-to-keep-the-2-state-option-alive.html?em_pos=sm
Traduzione di Donato Cioli