Arriva alla VII edizione la campagna nonviolenta internazionale Open Shuhada Street, lanciata per protestare contro le misure di chiusura e separazione messe in atto dal governo israeliano nella città di Hebron in Cisgiordania e, in generale, per chiedere uguaglianza, rispetto dei diritti umani e la fine della occupazione militare israeliana. Dal 2010 ogni anno, in occasione del 25 febbraio, giorno in cui si commemora il ‘massacro della Moschea’, attivisti e organizzazioni in tutto il mondo mettono in atto azioni nonviolente e organizzano incontri per chiedere la riapertura di Shuhada Street, la via principale di Hebron preclusa ai palestinesi e diventata simbolo di apartheid. Quest’anno, dal 19 al 28 febbraio invitiamo tutti anche a partecipare a una campagna twitter all’insegna dell’hashtag #Hebron #Palestine #OpenShuhadaSt.
Hebron è tra le quattro città sante sia dell’ebraismo e dell’Islam. Come il resto della Cisgiordania, è sotto occupazione militare israeliana dal 1967. Insediamenti di coloni iniziarono a diffondersi allora e continuano ancora oggi ad espandersi, pur se ritenuti illegali secondo il diritto internazionale. Oltre ai grandi insediamenti di Kiryat Arba e Givat Ha’avot costruiti su terra palestinese, nelle immediate vicinanze della città di Hebron, ci sono circa 600 coloni israeliani che vivono nel cuore della vecchia città palestinese ‘difesi’ da più di 1500 soldati. Tensioni e aggressioni sono culminate il 25 febbraio 1994 quando il colono israeliano Baruch Goldstein uccise 29 palestinesi mentre pregavano in moschea durante il Ramadan. In risposta a questo evento, l’esercito israeliano ha introdotto una politica di separazione, che ha visto la chiusura di Shuhada Street ai palestinesi, così come la chiusura di tutti i loro esercizi commerciali che vi si trovavano. Simbolo di una più ampia politica di apartheid condotta da Israele nei territori palestinesi occupati, la chiusura di Shuhada Street limita la libertà di movimento per i palestinesi e massacra l’economia di Hebron, una volta fiorente snodo commerciale e ora quasi diventata una città fantasma.
Non mancano tentativi di opporsi a questo stato di cose attraverso la disobbedienza civile. Come quella portata avanti da Youth Against Settlements, gruppo di attivisti palestinese che conduce quotidiana attività di diffusione delle informazioni di quanto accade ad Hebron. Vittima di minacce e rappresaglia da parte dell’esercito israeliano, l’associazione ha avuto di recente la sede devastata e saccheggiata di telecamere e macchine fotografiche che servono per raccogliere e mostrare al mondo testimonianze di quanto accade.
Materiale campagna Open Shuhada Street
Video di 16 minuti su Hebron
Altro materiale stampa e aggiornamenti li trovate qui:http://hyas.ps/activities/open-shuhada-st/
Domande frequenti sulla campagna Open Shuhada Street
Che cosa è Shuhada Street: è la via principale di Hebron, città dove vivono 170.000 palestinesi e 500 coloni israeliani e unica località, in tutta la West Bank, oltre a Gerusalemme Est, dove gli insediamenti, o “settlements”, sono proprio all’interno del centro storico. Una volta sede principale dei commerci cittadini, Shuhada Street oggi è completamente inaccessibile: negozi e botteghe sono stati sigillati, persino le porte di accesso alle abitazioni sono state murate dall’esercito israeliano. Riaprirla è un primo passo verso la libertà e la giustizia per il popolo palestinese!
Come si è arrivati a questo punto: nel 1967, dopo la Guerra dei Sei giorni, che ha visto l’esercito israeliano occupare i territori della Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme, un gruppo di ebrei guidati dal rabbino Moshe Levinger, occupò un hotel a Hebron, rifiutando di lasciarlo. Il processo di espansione della presenza ebraica in quella da loro definita la “città dei patriarchi” è proseguito in modo esponenziale, sia nell’interno della città che all’esterno dove è situata la colonia di Kyriat Arba. Da qui il 25 febbraio 1994, Baruch Goldstein, partì per fare irruzione nella moschea di Abramo e aprire il fuoco sui musulmani in preghiera: 29 le vittime Dopo questo episodio, per la “sicurezza” dei coloni, Shuhada Street, dove si sono insediati i coloni, è stata chiusa ad auto e pedoni palestinesi e la città divisa in due parti: H1, sotto il controllo palestinese, e H2, il centro storico con i principali edifici religiosi, sotto il controllo israeliano.
Quale la situazione oggi: check point e telecamere sono ovunque in quella che è ormai diventata una vera e propria ‘città fantasma’. ‘Morte agli arabi’, sono scritte che si vedono di frequente sui muri, le finestre delle abitazioni palestinesi e persino ciò che resta del mercato, sono difese da reti metalliche per evitare il lancio di sassi e di oggetti da parte dei coloni. I palestinesi sottoposti a continui controlli, le attività commerciali ridotte al minimo. Le provocazioni dei coloni, con la protezione dell’ esercito israeliano, e il loro tentativo di occupare altre case palestinesi sono continue. I ‘Giovani contro gli insediamenti’ (Youth Against Settlements), lo sperimentano ogni giorno, sopratutto nella zona di Tal al Rumeida dove coloni fanatici si sono insediati in case palestinesi cacciando i proprietari.
Cosa possiamo fare: il 25 Febbraio 2016 ricorre l’anniversario del massacro di palestinesi in preghiera e, anche quest’anno, contemporaneamente alle manifestazioni che si tengono in Palestina, i ‘Giovani contro gli insediamenti’ e molte altre associazioni palestinesi hanno lanciato un appello affinché si manifesti a livello internazionale per la riapertura ai palestinesi la strada centrale della città. AssoPace Palestina ha raccolto l’appello e invita a manifestare, partecipare agli incontri, diffondere informazione per contribuire a porre fine ad una occupazione militare da parte di Israele che lede i diritti umani e viola ogni legalità internazionale.
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