La forza delle organizzazioni che lavorano per la fine dell’occupazione e dei loro sostenitori è più grande di quello che pensiamo.
di Michael Sfard.
Haaretz, 23 gennaio 2016
Un giorno l’occupazione finirà. Probabilmente finirà in un sol colpo. E quando questo succederà, ci si accorgerà all’improvviso che tutti erano contro l’occupazione. Che i politici si erano dati da fare per mettervi fine, che i giornalisti si erano instancabilmente adoperati a denunciare le sue ingiustizie, che le istituzioni culturali l’avevano condannata coraggiosamente e che il mondo accademico era un centro di ostinata resistenza da cui la battaglia traeva supporto ideologico e morale. Insomma, tutti facevano parte della Resistenza.
Un giorno l’occupazione finirà perché regimi di questo tipo non sono sostenibili. Sono destinati a cadere perché i regimi di oppressione, quasi per definizione, sono precari.
È vero che è difficile immaginarselo ora, perché razionalmente ci aspetteremmo di vedere in anticipo dei segnali che presagiscano un cambiamento di questa portata, e in realtà attualmente non vediamo simili premonizioni. Ma i processi storici non seguono necessariamente un cammino lineare.
Le basi su cui posa l’occupazione possono sembrare stabili. Ma è certamente possibile che al di sotto, vicino alla crosta, si stiano formando delle fessure. Nascono crepe sempre più ampie. Chi ci sta sopra non le vede. Pensano che il terreno sia più solido che mai. E poi, senza preavviso, le crepe si allargano e il suolo crolla come in una pozza del Mar Morto. Un giorno l’occupazione finirà, così come è stato sgominato l’apartheid in Sud Africa, così come è caduto il muro di Berlino, senza che nessuno si aspettasse questi eventi nemmeno poco prima che accadessero.
E allora, quando l’occupazione sarà finita, scopriremo che gli Israeliani che facevano dimostrazioni nel villaggio cisgiordano di Bil’in non erano qualche centinaio, ma decine di migliaia. E che tutti sostenevano l’organizzazione per il diritti B’Tselem. Succede così quando la memoria è corta. Nel migliore dei casi viene rimossa, nel peggiore viene sostituita con una memoria immaginaria.
E allora, quando l’occupazione sarà finita, è poco probabile che noi istituiremo comitati per la verità e la riconciliazione, perché non abbiamo una tradizione di pubbliche contrizioni. Dopo tutto, veniamo da una cultura in cui si chiede scusa e ci si pente solo un giorno all’anno [lo Yom Kippur, ndt], e anche allora è una cosa che rimane tra noi il Signore. Eppure, quando l’occupazione sarà finita e dovremo riabilitare la società israeliana, non lo potremo fare senza ammettere le colpe del passato, senza trarne un insegnamento. Gli avvenimenti degli ultimi giorni mostrano quanto dovrà essere grande il lavoro di riabilitazione, quante ferite dovranno essere curate profondamente. E allora, quando formuleremo un nuovo patto sociale per Israele, dovremo esaminare attentamente quello che abbiamo fatto agli altri e a noi stessi, e capire cosa, presi come società, siamo capaci di fare.
Se non interiorizziamo il crimine che abbiamo commesso su milioni di persone per un’intera generazione, se non ci rendiamo conto del razzismo, del fascismo e del maccartismo che è cresciuto in mezzo a noi, non saremo capaci di formulare le linee guida che ci permettano di evitare tutto ciò nel futuro.
Questi sono tempi difficili. La destra vuole seppellire ad ogni costo qualunque critica alla politica del governo, per far sì che l’occupazione coloniale diventi un fatto compiuto irreversibile. Per questo ci troviamo ora di fronte a un attacco sistematico e coordinato, che si avvale di spie, di provocazioni aggressive, di leggi ‘alla Putin’ dirette contro le ultime sacche di resistenza all’occupazione, cioè contro le organizzazioni della società civile. Tutte le altre sono state già sconfitte e ridotte al silenzio, o hanno abbandonato.
Ci si accorge all’improvviso che il rinoceronte non solo non è in via di estinzione, ma che è stato prolifico, si è moltiplicato e ha invaso il territorio. Rimangono solo gli ostinati bastioni di Breaking the Silence, B’Tselem, Yesh Din, Peace Now e loro simili. Non si può non vedere il sangue che cola dalle labbra di quelli che assaltano questi bastioni. Non si può non scorgere il metodo di combattimento con cui le forze di assalto distruggono nel loro percorso l’intero patrimonio morale di questo paese. Non si può non essere preoccupati.
Ma a questo punto dobbiamo ammettere che questa brutale offensiva dimostra che la destra apparentemente sa qualcosa che noi non sappiamo. Sanno di avere buoni motivi per preoccuparsi di noi. Dobbiamo metterci in testa una cosa: che la forza delle organizzazioni che lavorano per la fine dell’occupazione e dei loro sostenitori è più grande di quello che pensiamo. L’ironia disfattista che sentiamo spesso tra coloro che si battono contro l’occupazione è ingiustificata. La forza tremenda, minacciosa e violenta che si è scatenata contro di noi, dice qualcosa di buono per noi. Dato che nel frattempo la destra estrema, il centro-destra e i loro alleati del misero centro non crollano nei sondaggi, qual è allora il motivo di questa paura e, allo stesso tempo, il segreto della nostra forza?
La risposta è semplice. Il mondo è governato da forze diverse. Noi vediamo e avvertiamo chiaramente ogni giorno le forze politiche, economiche e militari. Ma ci sono anche altre forze meno visibili, che operano in modo meno scoperto. Una di queste è proprio un’idea: che tutti gli esseri umani sono uguali ed hanno tutti uguali diritti perché sono esseri umani. Questa idea è alla base delle più grandi e più importanti rivoluzioni della storia. È un’idea che funziona come la materia oscura dell’universo: in silenzio. E quest’idea, insieme a coloro che combattono l’occupazione, ci spinge verso la fine dell’occupazione e all’avvento di un sostanziale cambiamento nel modo in cui funziona la società israeliana. Conferisce a queste che sembrano piccole e deboli organizzazioni una potenza incredibile. E porterà alla fine dell’occupazione. Non dico che l’occupazione finirà domani, non so quando succederà. È purtroppo possibile che ancora molto sangue debba essere versato lungo il cammino. So solo che la lotta non è finita. Non è finita né la lotta per porre fine all’occupazione, né la lotta per cambiare la società israeliana.
Michael Sfard è consulente legale per alcune delle organizzazioni ricordate in questo articolo.
Michael Sfard
Collaboratore di Haaretz
http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.698821
(traduz. di Donato Cioli)